La prima pagina de l'Unità nei giorni successivi la tragedia del Vajont |
La frana del Monte Toc |
Longarone dopo |
Anche quest'anno mi sono fatto un
nodo al fazzoletto. È il 9 ottobre, e 52 anni fa a Longarone,
in provincia di Belluno, si consumava una delle più gravi tragedie
civili della nostra storia.
Una frana di 256 milioni di metri cubi
di fango e roccia cadeva dal monte Toc nell'invaso della diga del
Vajont, sollevando un'onda di 50 milioni di metri cubi
d'acqua. Che solo per metà oltrepassò il ciglio della diga della
Enel Sade, per abbattersi sul paese di Longarone. La compressione del
muro d'acqua, che si abbatté sul paese dopo 1.20', fu pari ad un
fallout di due bombe nucleari di Hiroshima. 2000 morti, di cui
solo un migliaio furono i corpi recuperati.
Per giorni a seguire, si pescarono
corpi dall'onda della piena.
Quella del Vajont è una storia
che Marco Paolini ha già raccontato nel suo teatro civile,
e invito tutti a comprarsi il DVD per comprendere meglio questa
vicenda tipicamente italiana, o per scoprirla se nessuno ve ne aveva
parlato prima.
Una storia tipicamente italiana e da
cui non abbiamo imparato alcuna lezione.
C'è dentro tutto il peggio della
classe dirigente e politica: il mancato rispetto della natura,
l'asservimento della politica non all'interesse generale ma
all'interesse speculativo del provato. La Sade, la idroelettrica
privata, di proprietà del conte Volpi di Misurata, che in quella
valle si comportava come un padrone. Con gli espropri, nei confronti
dei contadini, col nascondere al sindaco e alla popolazione i rischi
causati dalla diga.
Le scosse, le frane, i movimenti della montagna, le crepe sulle case di Erto e Casso (i paesi che si affacciavano sulla diga).
Uno stato nello stato, la definì Da Borso, presidente delle provincia di Belluno, quando aveva cercato di far luce sul progetto a Roma senza avere risposte.
Le scosse, le frane, i movimenti della montagna, le crepe sulle case di Erto e Casso (i paesi che si affacciavano sulla diga).
Uno stato nello stato, la definì Da Borso, presidente delle provincia di Belluno, quando aveva cercato di far luce sul progetto a Roma senza avere risposte.
Un padrone che non doveva rispondere
agli amministratori pubblici e alla politica, semmai il contrario:
era la politica che doveva rispondere alla Sade, allontanando
qualunque funzionare intendesse mettere i bastoni tra le ruote.
A cominciare dal genio civile di Belluno che cacciò l'ingegner Desidera colpevole di ostacolare i lavori, senza tutte le autorizzazioni, della Sade.
A cominciare dal genio civile di Belluno che cacciò l'ingegner Desidera colpevole di ostacolare i lavori, senza tutte le autorizzazioni, della Sade.
Una storia tipicamente italiana per
i troppi conflitti di interesse tra controllati e controllori:
l'allegra commissione di collaudo (come la chiama nel suo teatro
Paolini) composta da geologi e ingegneri che avevano già lavorato
per la stessa azienda.
Una storia che racconta dell'assenza di
qualsiasi remora di coscienza: la Sade era consapevole dei
rischi di quell'impianto, costruito su una frana preesistente, sapeva
della frana che incombeva sulla valle (per la relazione del professor
Muller, anche questa tenuta nascosta), sapeva dei rischi di
esondazione (per le prove fatte dall'università di Padova dal prof
Ghetti, anche queste tenute nel cassetto).
Sapeva che le prove di invaso, necessarie per collaudare e vendere al prezzo migliore la diga all'Enel, potevano mettere a rischio l'incolumità degli operai e delle persone in quel paese a valle ..
Ma si doveva vendere al pubblico al miglior prezzo.
Sapeva che le prove di invaso, necessarie per collaudare e vendere al prezzo migliore la diga all'Enel, potevano mettere a rischio l'incolumità degli operai e delle persone in quel paese a valle ..
Ma si doveva vendere al pubblico al miglior prezzo.
Nonostante questi rischi noti, si è
andato avanti. Nemmeno nell'ultima notte, quando la montagna si
muoveva a vista d'occhio e furono messi dei posti di blocco sulle
strade, si avvisarono gli abitanti di Longarone. Perché?
Perché si doveva fare profitto, dopo
gli investimenti, in parte finanziati dallo stato. Perché chi portò
avanti la battaglia erano giornalisti rompiscatole come la Merlin
(autrice di un libro che ha come sottotitolo “come si costruisce
una catastrofe”). Erano contadini ignoranti come i malgari di Casso
e Erto. Di cui l'Italia, in pieno boom industriale, non aveva più
bisogno.
No, Vajont non era una tragedia che non
si poteva prevedere, come scrisse l'11 ottobre Giorgio Bocca.
Quelli che dopo la catastrofe puntarono il dito contro il ministro
Togni e la Sade non erano sciacalli come scrisse Montanelli.
Sciacalli.
No, la tragedia del Vajont è una
storia italiana.
E non dobbiamo dimenticarla.
Perché altre
Vajont incombono sul nostro paese.
Perché ancora oggi viviamo un'epoca di
scarso rispetto per la natura.
Perché ancora oggi sulle grandi opere
si specula, si corrompe, si abusa, si lavora in conflitto di
interesse per l'interesse dei pochi, privati, a danno della
collettività.
1 commento:
Raccomando siate
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