Immaginatevi per un momento come
sarebbe questo paese se le cose fossero andate in modo diverso: per
esempio se l'agenda di Paolo Borsellino, quella rubata in via
D'Amelio al giudice dopo l'attentato, dopo lunghe ricerche, fosse
stata ritrovata.
Leggere tutte le annotazioni, tutti gli
appunti lasciati su di essa da Borsellino, così importanti che
Borsellino da quella agenda rossa, un regalo dei carabinieri, non se
ne separava mai.
Cosa potremmo leggere, di così
importante? Borsellino stava lavorando al filone tra mafia, appalti e
politica, nell'ultima intervista alla TV francese (l'intervista
censurata dalla Rai, servizio pubblico al servizio dei partiti) aveva
parlato di Mangano, testa di ponte della mafia la nord.
Chissà, forse la storia della seconda
Repubblica avrebbe potuto andare in modo diverso....
Che riscatto potrebbe essere per lo
stato italiano, per la sua credibilità, ritrovare l'agenda e con
essa tirare finalmente i fili della tela che lega assieme la mafia,
quel pezzo dell'imprenditoria italiana e della politica italiana che
alle mafie chiedono aiuti, favori, servizi.
Un riscatto per lo Stato e anche per
tutte quelle persone, non solo magistrati, che hanno combattuto e
combattono la lotta alle mafie in una condizione di solitudine.
Le stessa sensazione che, possiamo
immaginare, deve aver vissuto anche Borsellino, in quei 55 giorni che
separano Capaci da via D'Amelio. La sua consapevolezza di essere il
prossimo, dopo Falcone.
Ma gli scrittori non sono degli
storici, non hanno l'obbligo del rispettare pedissequamente la
storia. Loro possono immaginarselo un paese diverso, anche per
ribellione alla realtà: un paese, (come scrive Marco Balzano nella
prefazione) dove alla fine, l'agenda rossa venga ritrovata.
“Il ritrovamento dell’agenda rossa metaforicamente è il recupero di una forma di dignità, di un senso delle cose che finalmente si disvela, di una consapevolezza che un altro mondo, un’altra vita sono più che mai possibili.”
Con “L'agenda
ritrovata”, sei scrittori si sono cimentati in questa
raccolta letteraria sul giudice Borsellino, sulla mafia, sui
rapporti tra mafia e potere in Italia. Una raccolta che unisce il
paese dal punto di vista letterario, dal nord al sud, da Helena
Janeczek che ci racconta della mafia al nord, a Evelina Santangelo,
nella Sicilia di Messina Denaro, che testimonierà l'importanza della
memoria e della società civile nella lotta alle mafie.
La raccolta è curata da Gianni
Biondillo e Marco Balzano (le
cui prefazioni costituiscono di fatto l'ottavo e il nono
racconto), partendo da un'idea, una pazzia forse, dell'associazione
culturale L'oraBlu, di Bollate.
Non è un caso.
La lotta alla mafia, diceva Falcone,
non è solo una questione di magistrati, di forze dell'ordine, di
leggi speciali. È anche una questione di cultura, di diritti civili,
di memoria.
Helena Janeczek - Pochi gradi di
separazione
Da un incontro fortuito con Salvatore
Borsellino, il fratello di Paolo, un lungo racconto che diventa poi
una riflessione sulla presenza della mafia al nord, nell'hinterland
milanese. Le storie raccontate da Ester
Castano, la cronista che ha sfidato la mafia (mentre altri
giornalisti e altri amministratori locali di fronte alle
intimidazioni hanno preferito non vedere e non scrivere).
Ricordando le parole del magistrato
Alessandra
Dolci della DDA, sul capitale sociale della ndrangheta e sul
terreno fertile che ha trovato al nord:
Il capitale sociale della ‘NdranghetaLa Dolci prende spunto dall’ultima inchiesta da lei condotta per raccontare i legami e le fitte trame che intercorrono tra imprenditoria lombarda e mafia. E’, infatti, notizia di pochi giorni fa l’arresto di 29 persone accusate di associazione mafiosa della locale di Mariano Comense (Como) condotto dalla Dolci, durante l’operazione denominata Crociata. Il vero problema per il sostituto procuratore è il rapporto ormai inscindibile tra l’imprenditoria del Nord e l’organizzazione mafiosa. “La ‘ndrangheta – racconta Dolci davanti a un’aula stracolma di studenti e cittadini castanesi e non – ormai viene vista come la componente sociale che può risolvere qualsiasi problema. Dalle prime operazioni antimafia della fine degli anni ’80 non è cambiato molto. Continua a non esserci il rispetto delle regole”. E ricorda storie di almeno 30 anni fa, ma che ancora oggi risultano essere attuali. Molto. Anzi, a malincuore, troppo. Nel 1983, l’ex sindaco di Giussano Erminio Barzaghi dichiarò: “Il peggio del Sud si sta legando al peggio del Nord”. Parole forti, che però fanno pensare. Oggi è cambiato qualcosa? No. E basta guardare alle continue notizie che ci giungono: politici corrotti, imprenditori collusi. In molti cercano la mafia per avere una protezione e una sicurezza. Tuona Dolci: “Ancora oggi non c’è il rispetto delle regole. Ricordiamo che non è la mafia che s’infiltra nel territorio lombardo, sono gli imprenditori e i politici, tutti lombardi, che chiedono aiuto alla mafia, che la cercano. C’è una devianza da parte di tutti i settori: corruzione, evasione fiscale, l’idea che è meglio essere furbi. La ‘ndrangheta punta a creare il consenso sociale, che è il vero capitale dell’organizzazione criminale”.
Così, con un colpevole ritardo (e come
ci ha ricordato il procuratore della DNA
Franco Roberti), scopriamo quando sono pochi i gradi di
separazione tra la mafia del sud e quella del nord.
Carlo Lucarelli - Hanno ucciso
l'uomo ragno
Ritorna la giudice bambina, Valentina
Tagliafferri, che avevamo già conosciuto nella raccolta
"Giudici"
: sopravvissuta alla guerra tra servizi, trasferita a Como dal CSM
come sanzione disciplinare, si trova ora tra le mani delle carti
scottanti. Siamo nell'estate del 1992 e a Milano è già scoppiata
l'inchiesta di Tangentopoli. A Palermo è invece scoppiata un'altra
bomba. Contro il giudice Falcone.
Sono documenti che provano il
collegamento tra società che riciclano denaro e la mafia. Al nord,
non in Sicilia.
“Comunque, di solito è un viaggio a senso unico. Quello di ritorno, i soldi della mafia al nord, invece, non è ancora stato esplorato. E non intendo il riciclaggio, le lavanderie di denaro, ma qualcosa di più. Un vero e proprio radicamento.”
Di chi fidarsi? Dello Stato che già
una volta ha cercato di ucciderla?
Rimane solo quel giudice, giù a
Palermo, l'amico di Falcone. Che sulla sua agenda rossa si segna
l'appuntamento con Valentina.
Vanni Santoni - La solitudine
della verità.
Il racconto di Vanni Santoni parte
dalla provincia toscana, dove un concerto rave attira dal resto
dell'Italia tanti ragazzi in cerca di musica e sballo.
Anche Caterina, Cate, che abita in
valle, decide di andare al concerto.
Ma più che la musica, è un'altra
scoperta che la colpisce: una discarica abusiva dentro un residence
abbandonato, un cubo di cemento sulla collina.
Bidoni dal colore verde che forse
contengono amteriali che non dovrebbero essere lì.
Cate fa quello che ogni cittadino
dovrebbe fare.
Cerca di denunciare il pericolo ad a
una pattuglia di carabinieri.
Ad un giornale locale.
Va persino a parlarne in caserma.
Dov'è lo Stato. Ma lo stato non c'è.
Perché ci sono cose che è bene non vedere.
Alessandro Leogrande - Le
maschere di San Giovanni
Alessandro Leogrande fa incontrare un
giornalista con un ex ministro (socialista?) del governo Andreotti,
quello in carica quando scoppiarono le bombe di Capaci di via
D'Amelio.
Un politico della prima repubblica, dei
partiti di massa. Poi travolti da Tangentopoli.
Che gli parla di quelle bombe, delle
maschere dei politici ai funerali di Falcone. Come le maschere di
altri politici, o forse gli stessi, ad un altro funerale, quello del
presidente DC Aldo Moro.
Che in una sua lettera a Zaccagnini
(una di quelle trovate nel covo di via Montenevoso) ragionava sul
carattere gli italiani.
“Si tratta di capire cosa agita nel profondo la nostra società, la rende inquieta, indocile, apparentemente indominabile, irrazionale.”
Irrazionale: Moro temeva questa
società di cui non riusciva a leggere bene gli sconquassi, le
fratture.
Moro vedeva una società senza alcuna
autorità morale, politica, economica, in grado di governare il
disordine o gestire i problemi.
Le bombe degli anni settanta, la guerra
a bassa intensità che serviva per stabilizzare il sistema.
E le bombe scoppiate dopo la caduta del
Muro, che servivano a spazzare via una classe dirigente marcia:
“Una parte della Democrazia Cristiana, degli apparati dello Stato, dei servizi segreti. Anche alcuni superpoliziotti troppo potenti per essere intaccati, troppo sicuri di sé per essere ostacolati: uomini delle forze dell'ordine, che avevano lavorato con altri uomini della forze dell'ordine ammazzati dalla mafia, e che poi all'improvviso si sono ritrovati a condurre il gioco sporco”.
Diego De Silva - Notturno
pendolare
Il racconto dello scrittore napoletano
tocca del tema della mafia da lontano. Si parte da una donna che vive
in via Chiaia e che passa la notte, per insonnia, nei cinema di
notte.
Finché una sera non incontra un
ragazzo che la colpisce e si mette a seguirlo, per le vie dei
Quartieri ..
Gioacchino Criaco – La memoria del
lupo
Un carabiniere di Africo,
appartenente ad una squadra speciale, che da cacciatore diventa
preda, per una vendetta portata avanti da un killer con gli occhi
azzurri. Che ha ammazzato il suo generale e poi tutti gli altri
membri della squadra.
Stanco di scappare, torna al suo paese,
in Calabria. Africo, in pieno Aspromonte. Per trovarsi di fronte al
lupo.
E scoprire che il nemico non è lui, ma
qualcuno che sta alle sue spalle.
“Il Giuda del generale, dei tuoi compagni, il tuo nemico sta da un'altra parte. Che forse è la tua stessa parte.”
Evelina Santangelo - Presenze
L'importanza della memoria nella lotta
alla mafia. Affinché tutti i fatti, tutte le persone, siano ancora
vive.
La strage di Ciaculli del 1963.
La vita e la tragica morte di Peppino
Impastato.
Quel ragazzo venuto da nord a creare
una comunità contro la tossicodipendenza, Mauro Rostagno.
Nella Trapani che è lo zoccolo duro
della mafia, da dove partono i picciotti per l'America. Come da
quelle coste e dall'aeroporto partiva la droga raffinata e poi
inviata al nord.
Con la benedizione dei fratelli massoni
e la protezione della politica.
Quei politici come Totò Cuffaro che, a
Samarcanda, aveva attaccato Falcone e l'azione del pool antimafia.
Così colpevoli da meritare la pena di
morte.
Ma forse Falcone era già stato ucciso
da quei giuda nel CSM e nella stessa magistratura che gli avevano
sbarrato il posto all'Ufficio Istruzione e poi alla procura
antimafia.
Nell'ultimo suo discorso pubblico,
nella biblioteca di Palermo, Paolo Borsellino lo aveva ricordato: si
voleva ammazzare quel giudice per quello che aveva fatto, uccidere
lui e fermare il pool antimafia.
E poi altre morti. Il 19 luglio 1992
Borsellino. E l'anno successivo, don Pino Puglisi.
La fine di tutte le speranze.
O forse no.
Questo
il sito dell'associazione culturale L'Ora blu di Bollate e il link
con tutte le tappe della staffetta e quello dell'iniziativa,
a cui tutti possono partecipare!
La scheda del libro sul sito di
Feltrinelli
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