19 aprile 2018

Che idea di giustizia abbiamo (per il governo che verrà)?

L'ultimo libro di Riccardo Iacona parla di (in)giustizia: uno dei cardini della nostra democrazia declinato secondo le tante formule ricorrenti, quello della "legge uguale per tutti", della dea bendata perché la giustizia non guarda in faccia al censo o al potere.
Ma la parola giustizia, in questi anni, ha assunto anche altri significati: lo scontro sulla giustizia tra Berlusconi e i suoi ministri e le procure che si permettevano di processarlo (in particolare i ribelli di Milano).
Le riforme sulla giustizia varate in questi anni, con lo scopo di facciata di essere garantiste, di snellire i processi, di efficientare la macchina (da notare i termini manageriali).
Ma dietro questo, emergeva il tentativo di inquadrare l'operatività delle procure secondo i desiderata dell'esecutivo: un occhio di riguardo nei confronti dei reati dei colletti bianchi, specie alcuni (le immunità richieste da Berlusconi), azioni di responsabilità contro i magistrati che sbagliano da usare come armi di minaccia, la gerarchizzazione degli uffici per bloccare magistrati troppo zelanti.

Non è successo troppi anni fa.
Erano gli anni delle leggi ad personam, che l'attuale presidente del Senato conosce bene.
Anche perché è stata tra i deputati del PDL ad aver marciato contro il Tribunale di Milano reo di aver condannato il loro caro leader nel 2013.
La Casellati è stata premiata (anche coi voti del PD) con un posto al CSM, l'autogoverno che dovrebbe gestire carriere e posti dentro la magistratura.
O anche aprire azioni disciplinare contro i magistrati che commettono errori, illeciti, che ostacolano il funzionamento della giustizia stessa.

Chissà se il concetto di giustizia di cui parla Iacona (sul racconto del procuratore aggiunto Alfredo Robledo) è lo stesso della Casellati o di Salvini, quando parla di riforma della giustizia ..
Nei punti proposti dal reggente Martina non si parla di giustizia, ma si tocca il punto della povertà. 
Ovvero dare voce ai diritti delle persone senza santi in paradiso, senza amici potenti, magari senza la tessera giusta in tasca.
I familiari delle vittime di amianto ad Ivrea, che hanno visto i loro cari morire ma nessuno ne ha colpa.
I riders di Foodora che sono considerati lavoratori autonomi ma con turni ben prestabiliti.

Del saggio di Iacona ne parla l'ex magistrato Antonio Exposito oggi sul Fatto Quotidiano soffermandosi sulla correntizzazione dentro il CSM che ne minerebbero l'indipendenza:

L’autore racconta lo scontro richiamando documenti inediti tra i quali i provvedimenti con i quali l’A.G. di Brescia (Procura e Gip) – pur archiviando le accuse contro Bruti Liberati (seppur con motivazioni non sempre molto convincenti) – censurano duramente le iniziative dello stesso (sicuramente suscettibili di accertamenti disciplinari che non saranno mai espletati). Significativo è il decreto di archiviazione del Gip ove – in relazione alla circostanza che Bruti Liberati aveva “dimenticato” in cassaforte il fascicolo dell’inchiesta sulla vicenda Sea Gamberale e non lo aveva passato per tempo a Robledo affinché potesse subito indagare – si legge che tale dimenticanza “ha fatto sì che Gamberale partecipasse indisturbato alla gara, quale unico concorrente, aggiudicandosela con un euro solo in più. Tale evento rappresenta certamente un vantaggio patrimoniale per la società di Gamberale e allo stesso tempo un danno per il Comune di Milano”. E così, ancora, il Tribunale di Brescia archivia la posizione di Bruti Liberati in relazione alle indagini sulla falsità delle firme dei candidati di FI anche se “alcune remore del Procuratore appaiono caratterizzate da valutazioni di natura squisitamente politica”. Il libro ricorda anche il provvedimento con il quale Bruti Liberati riserva a se stesso il coordinamento di tutte le indagini “Expo” esautorando l’aggiunto Robledo dalle relative indagini, provvedimento duramente censurato dal Procuratore Generale che accusa Bruti Liberati di aver “bypassato ingiustificatamente il sistema dei criteri obiettivi e automatici di assegnazione dei procedimenti all’interno di ciascun dipartimento con indubbio vulnus alla trasparenza”. E quando Robledo si rivolge al Csm – l’organo più politicizzato di tutti – non può immaginare che la vicenda si sarebbe conclusa con la sua sconfitta, con “esito per lui infausto”; non avrebbe mai immaginato che sulla vicenda vi sarebbe stato un irrituale, intervento del capo dello Stato (“Re Giorgio”) – che non sarebbe mai dovuto intervenire su un caso specifico, sul conflitto tra un Procuratore capo e un Procuratore aggiunto – il quale, con il suo “monito”, il suo “diktat” – cui obbediscono i silenti consiglieri – fa pendere la bilancia in favore di Bruti Liberati che uscirà indenne dalla vicenda. Ed è a questo punto che l’autore affronta la questione, anche con inedite interviste a vari magistrati, del “sistema delle correnti”, ritenute dal giudice Andrea Mirenda “associazioni di diritto privato che si sono impadronite di un organo di rilevanza costituzionale come il Csm distribuendo incarichi e trasformandolo in un mezzo di asservimento dei magistrati… Il Csm non è più l’organo di autotutela, non è più garanzia dell’indipendenza, ma è diventato una minaccia, perché non vi siedono soggetti distaccati ma faziosi che promuovono i sodali e abbattono i nemici”. Per comprendere a quale punto di non ritorno sia giunta la degenerazione correntizia basterà rifarsi alla frase rivolta a Robledo da Bruti Liberati – mai dallo stesso smentita e ritenuta una “battuta di spirito” – “ricordati che al Plenum sei stato nominato aggiunto per un solo voto di scarto, un voto di Magistratura democratica. Avrei potuto dire a uno dei miei colleghi al consiglio che Robledo mi rompeva i c. e di andare a fare la pipì al momento del voto, così sarebbe stata nominata la Gatto che poi avremmo sbattuto all’esecuzione”. A quando, allora, lo scioglimento delle correnti?

Nessun commento: