L'impatto ambientale dell'industriatessile, quanto è inquinata l'aria che respiriamo e quello che
possiamo fare. Ma prima la consueta (da questa stagione) pagina di
Sabrina Giannini sull'alimentazione.
Indovina chi viene a cena
Dalla Cina della scorsa puntata, agli
Stati Uniti, dentro il laboratorio di Minneapolis: qui stanno
lavorando ad un progetto per far battere il cuore fuori dal corpo
umano.
A cosa serve? Per i trapianti di
organi, per consentire il trasporto del cuore, che spesso necessita
di qualche ora, prima di arrivare al paziente.
Si sono ispirati al cuore dell'orso,
anzi a mamma orsa che fa nascere i cuccioli mentre è ancora in
letargo: li hanno studiati, i cuori degli orsi, i loro acidi biliari
che proteggono i loro cuori.
Ricerche fatte in modo scientifico
senza danneggiare la salute degli orsi.
Diversamente da quanto accade in Cina
con la presunta medicina tradizionale, che prescrive la bile degli
orsi senza alcuna valutazione scientifica.
Il professor Iaizzo cosparge il cuore
di questa bile sintetico e una miscela di acidi, per consentire il
suo battito anche una volta trapiantato, anche per sette ore.
Tutte sostanze sintetiche, più
affidabili ed etiche rispetto a quelle prelevate dagli orsi allevati.
A Taiwan troviamo la più grande
fabbrica cinese di farmaci, sempre realizzati secondo la medicina
tradizionale: le medicine derivano da piante, processate e dosate con
formule antiche ma con macchinari moderni.
La medicina tradizionale è molto in
voga in Cina, i medici prescrivono queste cure in alternativa alla
medicina moderna.
Erbe e radici come ginseng e
liquirizia, da noi usate per caramelle e dolci: in Cina si usano per
le mestruazioni, per la menopausa, per lo stress.
Ad essere segreto è la dose, non gli
ingredienti.
Ma funzioneranno?
Che prove hanno per dire che una certa
miscela di vegetali cura una patologia?
Questa medicina, che va usata assieme
alla medicina moderna, potrebbe curare anche il cancro, la malattia
dei nostri giorni?
Alla Yale University, il professor
Cheng sta studiando un rimedio per il cancro partendo da antiche
formule della medicina del suo paese: forse ha veramente trovato la
formula giusta, andando a leggersi antichi testi, vecchi di centinaia
di anni.
Nella pillola 906 si trovano i 4
ingredienti vegetali ed è stata testata su diversi tipi di tumori e
aiuterebbe l'azione di altri farmaci antitumorali.
L'obiettivo è dare scientificità alla
medicina antica cinese, alla fitoterapia: non basta l'esperienza,
serve un processo controllato, serve un impianto che certifichi il
prodotto finale.
La Cina vuole conquistare il mercato
della fitoterapia nel mondo, coi suoi prodotti.
Come l'Artemisimina, scoperta da una
professoressa cinese, che cura la malaria.
Presadiretta – panni sporchi
Il governo Conte bis forse raccoglierà
la proposta di Presadiretta, creare nuovi asili per sconfiggere la
crisi demografica.
Vedremo se ascolterà anche quanto
racconterà stasera, a proposito di inquinamento, microplastiche, gli
abiti prodotti dalla nostra industria tessile.
Ma l'industria tessile è la secondo
industria più inquinante, dopo quella petrolifera, produce capi che
sono difficilmente riciclabili: il forte impatto ambientale di questa
industria della moda, 1,2 miliardi di co2 emessa, dovrebbe
costringere le aziende a sentirsi responsabili dei cambiamenti
climatici.
Una T-shirt prodotta da fibre
sintetiche, come il poliestere ha un forte impatto, più del cotone,
che però in fase di coltivazione è molto più idroesigente.
Le fibre tessili però possono essere
riciclate solo all'1%: molti dei capi che acquistiamo per poco
provengono dall'estero, Cina o Bangladesh.
I campioni presi dalla giornalista
Teresa Paoli, sono stati analizzati in uno studio di Prato, il
BuzziLab: il cashmere dichiarato nell'etichetta non è presente, ma
sono presenti viscosa e poliestere.
In molti dei capi, le etichette non
erano valide, erano frodi del commercio: è un problema per il
compratore, ma è un problema anche di riciclo, perché capi con
viscosa o nylon non sono rigenerabili.
Altri test sono stato fatti a Prato,
dall'associazione riciclo: bassi prezzo significa bassa qualità, i
capi multicolore e multi fibra non si riciclano, racconta alla
giornalista l'esperto.
Sono vestiti che possono finire nel
mercato di seconda mano, certo, ma essendo capi di cattiva qualità
non avranno vita lunga: significa che andranno in discarica creando
altri rifiuti.
Il fast fashion occupa il 20% del
mercato: quanti di questi hanno etichette false?
La produzione tessile è raddoppiata ma
nello stesso tempo la durata di questi indumenti è calata: ma dove
finisce la spazzatura tessile?
A Cercole in Campania, la GDF
sta facendo una indagine sulle aziende che riciclano prodotti
tessili: uno di questi impianti era stato trasformato in una
discarica abusiva.
300 tonnellate di abiti usati, quel 99%
di cui si parlava sopra: materiale non vendibile né riciclabile che
dovrebbe finire in discarica o incenerito e che invece è stato
ammassato in questo impianto, creando una bomba ecologica.
Altro capannone di un'altra società
che avrebbe dovuto occuparsi del recupero dei materiali tessili:
anche qui una bomba ecologica, una discarica abusiva per un totale di
300 tonnellate.
In questo momento gli abiti dismessi,
gli scarti tessili alimentano la terra dei fuochi, sempre in
Campania: è un problema ambientale, di aziende che frodano le leggi,
di un business illegale che interessa anche le mafie (come era emerso
anche dall'inchiesta Mafia Capitale a Roma).
Ma ci sono anche piccoli illeciti: a
Milano i rifiuti tessili possono essere raccolti solo da due società
autorizzate dal comune, ma si trovano ancora cassonetti abusivi.
Roberto Cavallo è un esperto di
sostenibilità: ha fatto assieme alla giornalista di Presadiretta un
test, ha messo un localizzatore dentro una giacca messa in un
cassonetto a Milano, uno in Piemonte e altri nel Lazio.
Ha scoperto che i due giacconi di
Milano sono finiti ad Aversa e i due del Lazio a Casoria: in ogni
fase della filiera, trasporto, raccolta e deposito finale, ha
scoperto una frode.
Manca il monitoraggio e il controllo,
le norme ci sono, ma vanno fatte rispettare.
LA raccolta di indumenti usati se fatta
bene, può essere virtuosa: spesso dietro ci sono cooperative, come
la Humana: coi vestiti rivenduti nel sud del mondo si finanziano
opere in questi paesi.
Ma la sostenibilità economica di
questa filiera è bassa: per fare una raccolta secondo le regole ci
sono costi alti, la qualità dei prodotti raccolti è bassa (il fast
fashion), la percentuale di prodotti riciclabili è bassa.
La commissione parlamentare sui rifiuti
sta investigando anche sulla filiera del riciclo del tessile, e
questa è una buona notizia.
L'economia circolare nel tessile ci
serve per diminuire le emissioni di co2, per evitare che i prodotti
da riciclare si ammassino nei depositi, per evitare che si inquini
l'aria e l'acqua.
Specie l'acqua vicino ai grandi
impianti tessili.
Greepeace sta monitorando lo
stato delle acque vicino ai distretti industriali in Cina e nel
sudest asiatico: le acque sono inquinate dai processi tessili, che
poi riforniscono i grandi brand occidentali, capi che indossiamo
anche noi.
Formaldeide, Ftalati, Tossilati,
metalli pesanti, solventi, coloranti, sono tutti presenti nei nostri
vestiti e sono una minaccia: sono cancerogeni, minacciano la nostra
fertilità, oltre ad essere pericolosi per l'ambiente.
I 44 campioni comprati dalla
giornalista sono stati analizzati dal BuzziLab: cosa si trova
all'interno di questi capi?
Nelle stampe di magliette e felpe si
trovano gli ftalati, oltre i limiti.
Le zip metalliche contengono piombo
sopra il limite per sei volte.
Nei bottoni dei jeans è stato trovato
il cadmio, un alto metallo neuro tossico.
Gli Apeos, presenti in questi tessuti,
sono come degli ormoni, possono condizionare la fauna acquatica ed
entrano nel ciclo alimentare dell'uomo.
Su 44 campioni, in 40 erano contaminati
Apeos: proibiti in Europa, ma permessi nelle filiere in Cina e
nell'est asiatico.
La campagna di Greepeace ha costretto
importanti brand nel mondo a sposare la scelta di eliminare queste
sostanze chimiche pericolose.
Una trentina di aziende tessili a
Prato ha aderito all'impegno con Greenpeace, Detox: si sono
impegnate ad abbandonare l'uso di sostanze chimiche a rischio, di far
analizzare le acque prima e dopo: l'impulso di Confindustria di Prato
potrebbe essere copiato da altri distretti.
Queste certificazioni, questo impegno,
ha un costo: ma le acque dei fiumi ora sono più pulite.
IL professor Uricchio,
ricercatore del CNR, ci ha fatto capire l'importanza di ridurre gli
inquinanti nell'industria tessile: ci sono 12mila sostanze tossiche
nei tessuti, che possono entrare in contatto con noi.
Molte di queste sono poco monitorate,
come lo PFAS nelle acque: il CNR sta studiando l'effetto mix di
queste sostanze, ovvero il loro effetto combinato.
Secondo la FAO, nel 2040 il pianeta non
avrà acqua pulita per tutti: per l'Italia la situazione delle acque
è però migliorata, ma lo stesso dobbiamo monitorare il nostro
ambiente, limitare l'uso delle sostanze tossiche – ha spiegato
Uricchio.
Gli stilisti eco-friendly
Ci sono stilisti che producono
collezioni sostenibili, realizzati con tessuti scelti dal consorzio
Detox, prodotti da filiere sostenibili, con fibre riciclate e senza
sostanze a rischio.
Sono stilisti giovani, che producono
capi durevoli, belli, pensati per salvare il mondo di domani.
Cecilia Fefè, appena laureata allo IED
ha mostrato in studio la bellissima collezione degli studenti dello
IED: la moda eco-sostenibile non è una moda povera, ma è una moda
colorata, non noiosa. Noi consumatori dovremmo essere più
consapevoli di quello che compriamo, non pensare solo al prezzo basso
e ad un modello usa e getta.
Fashion Revolution è una
piattaforma che si pone come obiettivo di cambiare le cose nel
mondo del tessile, produrre meno capi, ridurre gli scarti tessili,
scegliere meglio i prodotti e sprecare di meno.
Noi cittadini siamo responsabili di ciò
che compriamo: questo non vuol dire che si perderanno posti di
lavoro, perché la piattaforma si pone anche come obiettivo di
valorizzare i lavoratori in Bangladesh e Cina.
Lavorare sotto sindacati, pagati
decentemente, tutelati.
L'inquinamento delle acque per la
plastica.
I nostri vestiti contribuiscono
all'inquinamento di plastica nei mari e nei fiumi: plastiche che
troviamo ad esempio nei capodogli spiaggiati sulle nostre spiagge.
Se i volumi di produzione delle
plastiche aumenteranno, che fine faranno le nostre spiagge, i nostri
fondali: il robot di Greenpeace mostra le immagini dei fondali dei
mari dove troviamo lattine, buste di plastica e poca traccia di vita.
E poi c'è il problema delle
microplastiche, frammenti inferiori a pochi millimetri: sono
invisibili ai nostri occhi e derivano dalla degradazione di altri
oggetti e dai vestiti sintetici.
Le microplastiche arrivano ai nostri
mari dalle lavatrici: per esempio dal lavaggio di una coperta in
pile, fatta in poliestere, quante microplastiche si producono?
Per 1 kg di tessuto, sono 125
milligrammi: se rapportato a milioni di lavatrici, si può capire
l'enormità del problema.
Ad oggi non esistono filtri delle acque
capaci di bloccare queste microplastiche: una volta che finiscono nel
mare, sono mangiate da pesci che poi finiscono sulle nostre tavole.
Ma le microplastiche sono capaci di
assorbire sostenze nocive: mangiando una sardina, possiamo mangiare
fibre plastiche che possono avere nocivi sul nostro corpo, effetti
che oggi si stanno studiando.
Effetti sul sistema immunitario,
effetto sul sistema endocrino.
Che fare?
Comprare tessuti con qualità delle
microplastiche migliore, fare cicli di lavaggio a temperature
inferiori con meno centrifughe.
Sono comportamenti che dovrebbero
diventare di massa: non possiamo rinunciare al poliestere, ma
possiamo riusare il tessuto, riciclare i capi.
Il distretto di Prato è riuscito a
risalire la china, dopo la crisi del 2009, puntando sulla
sostenibilità e sul riciclo: un'economia circolare e virtuosa, che
riprende l'esperienza dei cenciaioli di fine '800.
Si prendono gli stracci, si associano
per colore e gradazione di colore, si lavorano con macchinari che non
inquinano le acque, grazie a dei depuratori.
L'acqua che arriva dal ciclo
industriale viene depurata e poi re immessa nel ciclo industriale
nuovamente: dagli stracci si produce la lana meccanica che poi viene
venduta in tutto il mondo.
La Manteco è un'azienda di questo
distretto, che è arrivata quasi a scarto zero, mentre la Rifò è
un'azienda che produce capi a partire da capi riciclati.
Ma in Italia abbiamo una norma
sfavorevole per il riutilizzo degli scarti tessili: qui deve venire
in soccorso la politica che deve valorizzare l'esperienza del
distretto di Prato e degli imprenditori che ne fanno parte, rendendo
più semplice il loro lavoro.
Fabrizio Tesi ha invitato la politica a
cambiare la normativa sul riciclo: non definisce in modo chiaro
quando finisce il rifiuto e dove inizia la materia prima, queste
aziende corrono il rischio di essere accusati di traffico di rifiuti.
E' lo stesso che è successo coi
pannolini fatti con materiali riciclati: serve un provvedimeto di
tipo end of waste anche per il tessile.
Sergio Cristofanelli – dirigente al
ministero dell'Ambiente, ha garantito che i decreti per l'end of west
arriveranno, entro l'anno.
L'economia circolare è un pezzo del
futuro che conviene sia alle imprese, che ai cconsumatori che
all'ambiente.
2 commenti:
Buongiorno, mi scusi se la correggo, ma il BuzziLab si trova a Prato, non a Roma.. all'interno dell'ITS Tullio Buzzi, appunto
Fra parentesi, al momento è stato chiuso dal Preside dell'istituto scolastico per irregolarità amministrative, le solite idiozie all'italiana
Grazie, saluti
Grazie, chiedo scusa per l'imprecisione
Posta un commento