10 settembre 2019

Presadiretta – panni sporchi

L'impatto ambientale dell'industriatessile, quanto è inquinata l'aria che respiriamo e quello che possiamo fare. Ma prima la consueta (da questa stagione) pagina di Sabrina Giannini sull'alimentazione.

Indovina chi viene a cena

Dalla Cina della scorsa puntata, agli Stati Uniti, dentro il laboratorio di Minneapolis: qui stanno lavorando ad un progetto per far battere il cuore fuori dal corpo umano.
A cosa serve? Per i trapianti di organi, per consentire il trasporto del cuore, che spesso necessita di qualche ora, prima di arrivare al paziente.
Si sono ispirati al cuore dell'orso, anzi a mamma orsa che fa nascere i cuccioli mentre è ancora in letargo: li hanno studiati, i cuori degli orsi, i loro acidi biliari che proteggono i loro cuori.
Ricerche fatte in modo scientifico senza danneggiare la salute degli orsi.
Diversamente da quanto accade in Cina con la presunta medicina tradizionale, che prescrive la bile degli orsi senza alcuna valutazione scientifica.
Il professor Iaizzo cosparge il cuore di questa bile sintetico e una miscela di acidi, per consentire il suo battito anche una volta trapiantato, anche per sette ore.
Tutte sostanze sintetiche, più affidabili ed etiche rispetto a quelle prelevate dagli orsi allevati.

A Taiwan troviamo la più grande fabbrica cinese di farmaci, sempre realizzati secondo la medicina tradizionale: le medicine derivano da piante, processate e dosate con formule antiche ma con macchinari moderni.
La medicina tradizionale è molto in voga in Cina, i medici prescrivono queste cure in alternativa alla medicina moderna.
Erbe e radici come ginseng e liquirizia, da noi usate per caramelle e dolci: in Cina si usano per le mestruazioni, per la menopausa, per lo stress.
Ad essere segreto è la dose, non gli ingredienti.
Ma funzioneranno?
Che prove hanno per dire che una certa miscela di vegetali cura una patologia?

Questa medicina, che va usata assieme alla medicina moderna, potrebbe curare anche il cancro, la malattia dei nostri giorni?
Alla Yale University, il professor Cheng sta studiando un rimedio per il cancro partendo da antiche formule della medicina del suo paese: forse ha veramente trovato la formula giusta, andando a leggersi antichi testi, vecchi di centinaia di anni.
Nella pillola 906 si trovano i 4 ingredienti vegetali ed è stata testata su diversi tipi di tumori e aiuterebbe l'azione di altri farmaci antitumorali.
L'obiettivo è dare scientificità alla medicina antica cinese, alla fitoterapia: non basta l'esperienza, serve un processo controllato, serve un impianto che certifichi il prodotto finale.

La Cina vuole conquistare il mercato della fitoterapia nel mondo, coi suoi prodotti.
Come l'Artemisimina, scoperta da una professoressa cinese, che cura la malaria.

Presadiretta – panni sporchi

Il governo Conte bis forse raccoglierà la proposta di Presadiretta, creare nuovi asili per sconfiggere la crisi demografica.
Vedremo se ascolterà anche quanto racconterà stasera, a proposito di inquinamento, microplastiche, gli abiti prodotti dalla nostra industria tessile.

Ma l'industria tessile è la secondo industria più inquinante, dopo quella petrolifera, produce capi che sono difficilmente riciclabili: il forte impatto ambientale di questa industria della moda, 1,2 miliardi di co2 emessa, dovrebbe costringere le aziende a sentirsi responsabili dei cambiamenti climatici.
Una T-shirt prodotta da fibre sintetiche, come il poliestere ha un forte impatto, più del cotone, che però in fase di coltivazione è molto più idroesigente.
Le fibre tessili però possono essere riciclate solo all'1%: molti dei capi che acquistiamo per poco provengono dall'estero, Cina o Bangladesh.
I campioni presi dalla giornalista Teresa Paoli, sono stati analizzati in uno studio di Prato, il BuzziLab: il cashmere dichiarato nell'etichetta non è presente, ma sono presenti viscosa e poliestere.
In molti dei capi, le etichette non erano valide, erano frodi del commercio: è un problema per il compratore, ma è un problema anche di riciclo, perché capi con viscosa o nylon non sono rigenerabili.

Altri test sono stato fatti a Prato, dall'associazione riciclo: bassi prezzo significa bassa qualità, i capi multicolore e multi fibra non si riciclano, racconta alla giornalista l'esperto.
Sono vestiti che possono finire nel mercato di seconda mano, certo, ma essendo capi di cattiva qualità non avranno vita lunga: significa che andranno in discarica creando altri rifiuti.

Il fast fashion occupa il 20% del mercato: quanti di questi hanno etichette false?
La produzione tessile è raddoppiata ma nello stesso tempo la durata di questi indumenti è calata: ma dove finisce la spazzatura tessile?

A Cercole in Campania, la GDF sta facendo una indagine sulle aziende che riciclano prodotti tessili: uno di questi impianti era stato trasformato in una discarica abusiva.
300 tonnellate di abiti usati, quel 99% di cui si parlava sopra: materiale non vendibile né riciclabile che dovrebbe finire in discarica o incenerito e che invece è stato ammassato in questo impianto, creando una bomba ecologica.
Altro capannone di un'altra società che avrebbe dovuto occuparsi del recupero dei materiali tessili: anche qui una bomba ecologica, una discarica abusiva per un totale di 300 tonnellate.

In questo momento gli abiti dismessi, gli scarti tessili alimentano la terra dei fuochi, sempre in Campania: è un problema ambientale, di aziende che frodano le leggi, di un business illegale che interessa anche le mafie (come era emerso anche dall'inchiesta Mafia Capitale a Roma).

Ma ci sono anche piccoli illeciti: a Milano i rifiuti tessili possono essere raccolti solo da due società autorizzate dal comune, ma si trovano ancora cassonetti abusivi.

Roberto Cavallo è un esperto di sostenibilità: ha fatto assieme alla giornalista di Presadiretta un test, ha messo un localizzatore dentro una giacca messa in un cassonetto a Milano, uno in Piemonte e altri nel Lazio.
Ha scoperto che i due giacconi di Milano sono finiti ad Aversa e i due del Lazio a Casoria: in ogni fase della filiera, trasporto, raccolta e deposito finale, ha scoperto una frode.
Manca il monitoraggio e il controllo, le norme ci sono, ma vanno fatte rispettare.

LA raccolta di indumenti usati se fatta bene, può essere virtuosa: spesso dietro ci sono cooperative, come la Humana: coi vestiti rivenduti nel sud del mondo si finanziano opere in questi paesi.

Ma la sostenibilità economica di questa filiera è bassa: per fare una raccolta secondo le regole ci sono costi alti, la qualità dei prodotti raccolti è bassa (il fast fashion), la percentuale di prodotti riciclabili è bassa.

La commissione parlamentare sui rifiuti sta investigando anche sulla filiera del riciclo del tessile, e questa è una buona notizia.
L'economia circolare nel tessile ci serve per diminuire le emissioni di co2, per evitare che i prodotti da riciclare si ammassino nei depositi, per evitare che si inquini l'aria e l'acqua.
Specie l'acqua vicino ai grandi impianti tessili.

Greepeace sta monitorando lo stato delle acque vicino ai distretti industriali in Cina e nel sudest asiatico: le acque sono inquinate dai processi tessili, che poi riforniscono i grandi brand occidentali, capi che indossiamo anche noi.
Formaldeide, Ftalati, Tossilati, metalli pesanti, solventi, coloranti, sono tutti presenti nei nostri vestiti e sono una minaccia: sono cancerogeni, minacciano la nostra fertilità, oltre ad essere pericolosi per l'ambiente.

I 44 campioni comprati dalla giornalista sono stati analizzati dal BuzziLab: cosa si trova all'interno di questi capi?
Nelle stampe di magliette e felpe si trovano gli ftalati, oltre i limiti.
Le zip metalliche contengono piombo sopra il limite per sei volte.
Nei bottoni dei jeans è stato trovato il cadmio, un alto metallo neuro tossico.
Gli Apeos, presenti in questi tessuti, sono come degli ormoni, possono condizionare la fauna acquatica ed entrano nel ciclo alimentare dell'uomo.
Su 44 campioni, in 40 erano contaminati Apeos: proibiti in Europa, ma permessi nelle filiere in Cina e nell'est asiatico.

La campagna di Greepeace ha costretto importanti brand nel mondo a sposare la scelta di eliminare queste sostanze chimiche pericolose.
Una trentina di aziende tessili a Prato ha aderito all'impegno con Greenpeace, Detox: si sono impegnate ad abbandonare l'uso di sostanze chimiche a rischio, di far analizzare le acque prima e dopo: l'impulso di Confindustria di Prato potrebbe essere copiato da altri distretti.
Queste certificazioni, questo impegno, ha un costo: ma le acque dei fiumi ora sono più pulite.

IL professor Uricchio, ricercatore del CNR, ci ha fatto capire l'importanza di ridurre gli inquinanti nell'industria tessile: ci sono 12mila sostanze tossiche nei tessuti, che possono entrare in contatto con noi.
Molte di queste sono poco monitorate, come lo PFAS nelle acque: il CNR sta studiando l'effetto mix di queste sostanze, ovvero il loro effetto combinato.

Secondo la FAO, nel 2040 il pianeta non avrà acqua pulita per tutti: per l'Italia la situazione delle acque è però migliorata, ma lo stesso dobbiamo monitorare il nostro ambiente, limitare l'uso delle sostanze tossiche – ha spiegato Uricchio.

Gli stilisti eco-friendly

Ci sono stilisti che producono collezioni sostenibili, realizzati con tessuti scelti dal consorzio Detox, prodotti da filiere sostenibili, con fibre riciclate e senza sostanze a rischio.
Sono stilisti giovani, che producono capi durevoli, belli, pensati per salvare il mondo di domani.

Cecilia Fefè, appena laureata allo IED ha mostrato in studio la bellissima collezione degli studenti dello IED: la moda eco-sostenibile non è una moda povera, ma è una moda colorata, non noiosa. Noi consumatori dovremmo essere più consapevoli di quello che compriamo, non pensare solo al prezzo basso e ad un modello usa e getta.

Fashion Revolution è una piattaforma che si pone come obiettivo di cambiare le cose nel mondo del tessile, produrre meno capi, ridurre gli scarti tessili, scegliere meglio i prodotti e sprecare di meno.
Noi cittadini siamo responsabili di ciò che compriamo: questo non vuol dire che si perderanno posti di lavoro, perché la piattaforma si pone anche come obiettivo di valorizzare i lavoratori in Bangladesh e Cina.
Lavorare sotto sindacati, pagati decentemente, tutelati.

L'inquinamento delle acque per la plastica.

I nostri vestiti contribuiscono all'inquinamento di plastica nei mari e nei fiumi: plastiche che troviamo ad esempio nei capodogli spiaggiati sulle nostre spiagge.
Se i volumi di produzione delle plastiche aumenteranno, che fine faranno le nostre spiagge, i nostri fondali: il robot di Greenpeace mostra le immagini dei fondali dei mari dove troviamo lattine, buste di plastica e poca traccia di vita.

E poi c'è il problema delle microplastiche, frammenti inferiori a pochi millimetri: sono invisibili ai nostri occhi e derivano dalla degradazione di altri oggetti e dai vestiti sintetici.
Le microplastiche arrivano ai nostri mari dalle lavatrici: per esempio dal lavaggio di una coperta in pile, fatta in poliestere, quante microplastiche si producono?
Per 1 kg di tessuto, sono 125 milligrammi: se rapportato a milioni di lavatrici, si può capire l'enormità del problema.
Ad oggi non esistono filtri delle acque capaci di bloccare queste microplastiche: una volta che finiscono nel mare, sono mangiate da pesci che poi finiscono sulle nostre tavole.
Ma le microplastiche sono capaci di assorbire sostenze nocive: mangiando una sardina, possiamo mangiare fibre plastiche che possono avere nocivi sul nostro corpo, effetti che oggi si stanno studiando.
Effetti sul sistema immunitario, effetto sul sistema endocrino.

Che fare?
Comprare tessuti con qualità delle microplastiche migliore, fare cicli di lavaggio a temperature inferiori con meno centrifughe.
Sono comportamenti che dovrebbero diventare di massa: non possiamo rinunciare al poliestere, ma possiamo riusare il tessuto, riciclare i capi.

Il distretto di Prato è riuscito a risalire la china, dopo la crisi del 2009, puntando sulla sostenibilità e sul riciclo: un'economia circolare e virtuosa, che riprende l'esperienza dei cenciaioli di fine '800.
Si prendono gli stracci, si associano per colore e gradazione di colore, si lavorano con macchinari che non inquinano le acque, grazie a dei depuratori.
L'acqua che arriva dal ciclo industriale viene depurata e poi re immessa nel ciclo industriale nuovamente: dagli stracci si produce la lana meccanica che poi viene venduta in tutto il mondo.

La Manteco è un'azienda di questo distretto, che è arrivata quasi a scarto zero, mentre la Rifò è un'azienda che produce capi a partire da capi riciclati.
Ma in Italia abbiamo una norma sfavorevole per il riutilizzo degli scarti tessili: qui deve venire in soccorso la politica che deve valorizzare l'esperienza del distretto di Prato e degli imprenditori che ne fanno parte, rendendo più semplice il loro lavoro.

Fabrizio Tesi ha invitato la politica a cambiare la normativa sul riciclo: non definisce in modo chiaro quando finisce il rifiuto e dove inizia la materia prima, queste aziende corrono il rischio di essere accusati di traffico di rifiuti.
E' lo stesso che è successo coi pannolini fatti con materiali riciclati: serve un provvedimeto di tipo end of waste anche per il tessile.

Sergio Cristofanelli – dirigente al ministero dell'Ambiente, ha garantito che i decreti per l'end of west arriveranno, entro l'anno.
L'economia circolare è un pezzo del futuro che conviene sia alle imprese, che ai cconsumatori che all'ambiente.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Buongiorno, mi scusi se la correggo, ma il BuzziLab si trova a Prato, non a Roma.. all'interno dell'ITS Tullio Buzzi, appunto
Fra parentesi, al momento è stato chiuso dal Preside dell'istituto scolastico per irregolarità amministrative, le solite idiozie all'italiana
Grazie, saluti

alduccio ha detto...

Grazie, chiedo scusa per l'imprecisione