05 settembre 2019

Dodici rose a Settembre di Maurizio De Giovanni



Incipit
Gelsomina Settembre, detta Mina, camminava nel bosco, in piena notte.L'ambiente non era certo accogliente, con rami e foglie e lieve vento dal nord che rendeva la pelle simile a quella di un pollo appena spennato, ma Mina sapeva che c'era di peggio, di molto peggio, quindi si godeva la passeggiata nella consapevolezza che ogni bella cosa ha una fine, come peraltro le aveva suggerito l'accordo introduttivo di I will survive che il subconscio le aveva acutamente proposto.

Dovete resistere per le prime 30-40 pagine e poi ritroverete il De Giovanni che già conosciamo: quello capace di far ridere e anche piangere, di raccontare storie di passione di dolore e, perché no, anche di amore.
Perché per quello si uccide, no? Per un amore malato, per odio, per consumare una vendetta. Anche a freddo, dopo tanti anni …

Forse perché ci presentava per la prima volta Mina Settembre, De Giovanni ha un po' esagerato coi cliché, coi luoghi comuni, appesantendo (a mio avviso) la descrizione di questa giovane donna e del contesto in cui vive.
Benvenuta Gelsomina Settembre, dunque: una bella donna di quarant'anni che vive a Napoli assieme alla madre, che costituisce il suo problema numero Uno (la madre e le sue sfuriate) e anche con un problema numero Due (un bel “davanzale”, cosa che per molte donne nemmeno sarebbe un problema). La incontriamo al risveglio del suo sogno nel bosco, svegliata dalla madre (in carrozzella e molto burbera), che non perde occasione per rinfacciarle il fatto che si dia poco da fare per trovarsi un uomo.
Alle spalle Mina, si è lasciata infatti un matrimonio e un ex marito.
E il suo presente consiste in un lavoro molto difficile in una città difficile: assistente sociale nei Quartieri Spagnoli che la porta ad affrontare tutti i giorni i problemi della povera gente.

Mina credeva nella Giornata di Merda

Come già detto, in questo romanzo De Giovanni ha calcato la mano sull'ironia: scordatevi le atmosfere quasi tetre di Ricciardi: la giornata tipo di Mina si svolge tra casa, nel cercare di sfuggire alle lamentele della madre, e il suo ufficio (per modo di dire) ai Quartieri Spagnoli, avendo a che fare con i problemi veri o inventati delle persone e anche agli sguardi del portiere dello stabile, strenuo ammiratore del suo problema Due.

Una vita quasi monastica, un po' per carattere e un po' per quell'aurea di sfortuna che si porta dietro, nonostante nell'ufficio a fianco lavori un nuovo ginecologo, che le ricorda Robert Redford (in tutti i suoi film), Domenico Gammardella (“chiamami Mimmo per favore..”) con cui lei ha un rapporto brusco di fuori ma appassionato dentro i suoi pensieri.

Finché un giorno, non si presenta da loro una bambina, col suo di Problema:
Si rivolse alla bambina, con un gesto di invito a parlare. E quella disse, d'un fiato: 
«Mi chiamo Flor, ho undici anni, e sono qui perché penso che mio padre ammazzerà mia madre».

Quello che Flor racconta a Mimmo e Mina è una storia che abbiamo sentito troppe volte, quella di donne picchiate dal compagno-marito-ex che non denunciano per paura, raccontando di essere cadute dalle scale.
Donne sbadate che, alla fine, finiscono nella tragica classifica dei femminicidi.

Nel frattempo, in città gira un assassino misterioso che fa fuori le sue vittime con un colpo di pistola: vittime che non si conoscono, senza nessuna relazione apparente.
Su questi delitti indaga il magistrato De Carolis, molto presuntuoso ma almeno buon osservatore: non gli sfugge che in tutte le scene del crimine erano presenti 12 rose che le vittime hanno ricevuto, una rosa al giorno: 12 e non tredici, perché?
Noi lettori, a differenza del magistrato, lo sappiamo avendo la fortuna di poter entrare nella testa di questo assassino:
Purtroppo per te però, le rose sono solo dodici. La tredicesima rosa, quella della grande occasione, quella dell'ultimo sogno, non esiste.Esiste il passato, invece.Di quello non ci si può scordare.

Abbiamo così due storie che attraversano tutto il libro per unirsi alla fine con un mezzo colpo di scena: la prima, quella con l'insolita coppia Mina-Mimmo che, assieme a Rudy, il portiere don Giovanni, devono trovare il modo di salvare Flor e la madre
Il mio istinto mi fa sbagliare tutto, nella vita: tutto, soprattutto nei rapporti umani. Ma non mi ha ai tradito su questo tipo di questioni, e ti assicuro, Domenico, che quella donna era terrorizzata. 
Mi ha dato l'idea di un animale braccato, che stia lottando per la vita. E che un solo sogno: la fuga. andarsene a casa sua, in Perù, dai genitori. Cosa che qualcuno le impedisce di fare

La seconda, l'indagine di De Carolis, il magistrato antipatico, che deve scovare e fermare questo assassino misterioso delle rose, di cui De Giovanni ci condivide i pensieri di vendetta, fino alla fine, fino all'ultima rosa

Ma non posso pensare di non finire l'opera. Tutti, tutti devono pagare, perché forse non c'è un meno colpevole e un più colpevole. E' per questo che ho lasciato per ultimo chi non c'era, chi non era presente: perché questo non l'assolve ..

Un assassino che ha colpito vittime che non si conoscevano, “Un avvocato ricco a stakanovista, una casalinga sfatta e malinconica, un musicista con un grande futuro dietro le spalle, uno scenografo gay e di successo”, in comune solo l'età, l'arma del delitto, una vecchia Luger e le rose. C'è un qualcosa in questo caso che mette in difficoltà il magistrato:
.. Perché era vero che sentiva forte e chiara la passione in ogni delitto, rabbia cieca, furia vendicatrice e assenza di pietà, era altrettanto vero che la pianificazione degli assassini era follemente lucida, assolutamente premeditata e accuratamente predisposta.

Come finiranno le due storie, non ve lo anticipo, ma arrivato a fine libro, quello che posso aggiungere, è la sensazione che in questa nuova serie De Giovanni abbia voluto metterci un pizzico in più di ironia, in salsa napoletana. La mano di De Giovanni però, si riconosce quando parla della sua città, la città dai mille volti, dalle mille anime, dove basta passare una strada per attraversare miseria e nobiltà (volendo citare la famosa commedia di Scarpetta):
Si addentrò perciò nel reticolo dei vicoli che aveva imparato a conoscere, riflettendo distrattamente su una città che dentro ne aveva tante, come un gioco di matrioske di colori e fogge diverse, città che contenevano città che si aprivano ad altre e altre ancora. Quella che dal Miragolfo, la sera precedente con le amiche, sembrava un quadro, azzurra, luminosa, ferma nel tempo e nello spazio se non per qualche nave in lentissimo movimento sul mare, pareva un altro universo rispetto a quella che stava attraversando in quel momento.Decine, centinaia di persone che affrontavano a muso duro una giornata dall'esito per i più molto incerto. Una battaglia quotidiana contro un destino che sembrava segnato.


La scheda del libro sul sito dell'editore Sellerio
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