17 gennaio 2020

Ah l'amore l'amore di Antonio Manzini



I vasi sanguigni renali erano stati legati, poi furono sezionati i vasi gonadici e dell'uretere. Il dottor Negri si apprestava ad asportare un rene. Improvvisamente l'incisione xifo-ombelicale cominciò a perdere sangue copiosamente e se ne riempì impedendo la visione del campo operatorio.
«Aspirazione!» ordinò il chirurgo. L'emorragia colse l'equipe di sorpresa...

Tranquilli, non state per iniziare un libro di medicina, della serie chirurghi for dummies. Si tratta sempre del nostro Rocco Schiavone, momentaneamente ospite suo malgrado dell'ospedale di Aosta, dopo essere stato colpito alla schiena da un colpo di pistola, alla fine della retata contro la banda del casinò (nel caso, riprendetevi il precedente Rien ne va plus).
MA un po' come succede alla signora Fletcher, anche per Rocco succede che dove va lui capita qualcosa, in questo caso un morto in sala operatoria.
Si tratta del signor Roberto Sirchia, imprenditore nel settore alimentare, anche lui come Rocco, alle prese con l'asportazione del rene.
Ma qualcosa, durante la sua operazione, è andata storta.
Alle ore 22 e 21 minuti il chirurgo dottor Filippo Negri annunciò il decesso del paziente.

Un caso di malasanità – l'ennesimo – forse legato allo stress per le troppe operazioni, perché anche il mestiere del medico è diventato un qualcosa legato a budget da rispettare, costi da contenere, come gli racconta amareggiato il primario, il professor Negri?
L'indagine della Procura viene avviata, anche su pressione della famiglia del morto, antipatici già di loro moglie e figlio, che ritengono il chirurgo colpevole della morte del marito e del padre rispettivamente.
A seguire le indagini, in assenza del vicequestore, il vice ispettore Scipioni, appena promosso.

E Rocco?
Costretto a letto, a mangiare cibo da ospedale, con un compagno di letto che russa e con cui continua a battibeccare, le giornate proseguono nel segno della noia mortale.
Certo, Rocco è un paziente poco paziente, sempre in giro per i reparti nonostante la febbre, mai smesso di fumare e di nutrirsi, in assenza di cibo di suo gradimento, di caffè e briosce confezionare. Al limite qualche panettone reduce da Natale.
Perché siamo alla fine dell'anno, prossimi al capodanno, un festività che nella graduatoria di Rocco sta bene in alto nella classifica.

Ma questa convalescenza in ospedale è amara non solo per la ferita, la costrizione in un posto deprimente, i compagni di letto (“fa conto che questa operazione te l'hanno pagata tutti i cittadini che le tasse le pagano”).. Quel momento di pausa lo costringe a fare i conti con sé stesso:
Cammino, posso bere, pensava, respiro e scendo le scale. Per ora. La prossima? La vita ti porta via un pezzo per volta. Come ci arrivo al traguardo? Quante parti mancheranno all'appello?

Dopo aver perso i genitori, Marina, l'amata moglie che ora lo viene a trovare sempre meno spesso (e che continua a ripetergli di lasciarsi andare), gli amici rimasti giù a Roma.
E ora persino un rene.
Come sarà la morte? Uno smettere di pensare?
Perché si può campare bene anche con un rene solo, così gli avevano detto, ma quante altre perdite dovrà patire?

L'indagine, almeno quello, lo aiuta a distrarsi, nonostante Rocco sia uno di quegli investigatori che per risolvere un caso, una rotture del decimo livello, deve immedesimarsi nell'assassino, sporcarsi col fango del movente, che siano soldi, gelosia, vendetta
«Il caso sul groppone è la più grande rottura di coglioni che esista perché lo devo risolvere. Non è sete di giustizia la mia, mi creda, è che non mi piace essere preso in giro. Solo che per capire mi devo trasformare». 
«Non la seguo di nuovo». 
«Devo entrare nel corpo del figlio di puttana che ha arbitrariamente decretato la fine di un’esistenza. Anche qui i nostri lavori si somigliano. Lei entra con le mani nei corpi, taglia cuce e guarisce; io con la mente devo infilarmi nella testa di questa gente, che è una palude, mi creda. Sporcarmi i vestiti, la pelle, diventare una creatura di quegli stagni luridi, fogne a cielo aperto. Lei si toglie i guanti, si disinfetta e torna a casa. A me la sporcizia resta attaccata addosso, non va più via».

Ma in questo caso, quale potrebbe essere il movente?
Escludendo l'incidente o l'errore in corsia, una cosa impossibile visti i protocolli adottati in sala operatoria e riconoscendo l'esperienza e la bravura del chirurgo, rimane solo da capire il cui prodest. A chi avrebbe giovato la morte dell'imprenditore?

Alla famiglia, magari per riscattare i soldi ottenuti dal risarcimento e ripianare i debiti dell'azienda?
Al figlio, che voleva subentrare al padre nella conduzione dell'impresa?
Oppure ci sono altri interessi, attorno al morto, su cui Rocco e i suoi uomini devono ancora fare luce?

Come negli altri romanzi, la luce di Rocco che illumina tutte le scene, talvolta lascia il posto a qualche comprimario di cui, nel bene e nel male, cominciamo a scoprire qualcosa di più.
Questa volta è il turno di Antonio Scipioni, appena promosso vice ispettore, in gamba sul lavoro ma una frana nella vita privata.
Per la triplice relazione con tre donne diverse, ma legate tra loro (in un modo che scoprirete leggendo) e con cui Antonio fino ad oggi è stato bravo a tenere aperta una relazione facendo sì che nessuna sospettasse delle altre.
Ma è un gioco di prestigio che presto sarà destinato a finire.

C'è poi la vicenda dell'ispettrice Caterina Rispoli, che qualcuno in Viminale gli ha messo vicino per spiarlo. Come mai qualcuno che sta così in alto lo voleva controllare? Come mai Caterina è stata trasferita ad Udine, proprio vicino a dove la polizia ha arrestato Baiocchi, prima che Seba compisse la sua vendetta?
L'uomo era lì, senza ombrello, all'angolo col negozio del ferramenta, un cappello calzato in testa e come sempre la sigaretta in mano.

Sempre a proposito di misteri da risolvere, chi è quella persona che, da fuori l'ospedale, passa il suo tempo ad osservare quella stanza al terzo piano?
Un altro animale notturno, una persona che non riesce a dormire, oppure qualcuno che lo sta controllando?

C'è l'indagine che prosegue, seguendo la pista dei soldi e del sangue (capirete leggendo il libro cosa intendo) e c'è anche qualcos'altro, che emerge dalla lettura.
Ci sono le riflessioni di Rocco sulla morte e sulla vita, su quello che si perde col tempo e su quello che rimane, come gli amici di sempre
Te ricordi quando facevamo la distinzione tra fratello, amico e amico stronzo? Gli unici quattro fratelli eravamo io, te, Brizio e Furio

E non ci sono solo gli amici, c'è anche quello strano rapporto con Gabriele, quasi come tra padre e figlio, che ora sta ospitando a casa sua.

E, infine, c'è quel senso di sconforto, per quello che sporco (“come un rivestimento di sterco.”), che rimane addosso alla fine dell'indagine, quando vengono fuori i perché del delitto
La solita caduta nello sconforto, il senso di sporcizia che nessuna doccia avrebbe lavato via. I suoi colleghi avevano ormai avevano imparato a lasciarlo solo ogni volta che chiudeva un caso, con il suo umore nero e un pessimo sapore in bocca. La solita palude nella quale aveva sguazzato per giorni per trovare l'omicida puzzava sempre di più.

Un romanzo di passaggio, questo di Antonio Manzini, in cui alcune storie terminano e altre sembrano cominciare, che non toccano solo Rocco ma anche tutti gli altri personaggi a cui forse il nuovo anno riserverà qualcosa di buono.

La scheda del libro sul sito di Sellerio
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