Presadiretta non dimentica Giulio
Regeni: e se i servizi egiziani avessero usato uno spyware
realizzato in Italia per spiare Giulio?
Basta un messaggio, una mail e il tuo
cellulare diventa il tuo spione, controlla quello che guardi, i siti,
dove vai.
Gli spyware sono armi di repressione
politica, sono usati contro giornalisti come Assiri, sgraditi ai
sauditi, o sgraditi come Khassogi.
Si ipotizza che gli arabi conoscessero
i movimenti del giornalista grazie ad uno spyware prodotto da
un'azienda italiana, Hacking Team.
Abbiamo venduto questo prodotto a paesi
che non rispettano i diritti umani, col beneplacito di diversi
governi, con la scusa della lotta al terrorismo.
Hacking Team, dopo un'attacco
informatico, è stato salvata da un investitore saudita: ma la stessa
tecnologia è stata venduta anche all'Egitto, secondo una
europarlamentare di Alde è molto probabile che Giulio Regeni sia
stato spiato da un sw italiano.
La licenza ad Area Spa è stata
revocata nel 2017, ma il TAR ha dato loro ragione e dunque potrebbe
aver continuato a vendere all'Egitto: le licenze sono concesse dal
Mise, Presadiretta ha contattato un dirigente del Mise che ha
preferito non commentare.
Ai giornalisti è stato negato
l'accesso ai documenti che mostravano quali aziende italiane lavorano
in questo settore esportando i loro sw in paesi come Egitto e Arabia:
non basta dire che si rispetta la legge, bisogna avere il coraggio di
guardare in faccia la realtà, stiamo aiutando dei paesi che non
rispettano i diritti civili.
Gli spyware sono armi che prima o poi
si ritorcono contro di noi.
Presadiretta parla del commercio
online, una vera rivoluzione che sta già cambiando la nostra vita.
Ma a che prezzo?
Il mondo è piccolo, con un click le
merci arrivano dappertutto, ci sono 20mila rider che portano il cibo
a casa, è un mondo che non conosce sabati o feste, è una macchina
sempre accesa.
Le persone che lavorano in questo
settore hanno una vita gestita dall'algoritmo che dice cosa fare e in
che tempo: la tecnologia è usata non per migliorare la nostra vita,
non solo comunque, ma per distruggere i diritti umano – racconta
Ken Loach.
C'è poi l'aspetto delle emissioni
di co2, aumentate con le spedizioni a breve tempo, delle merci
invendute che alla fine sono distrutte.
Questa rivoluzione cambia la nostra
vita, la faccia delle città, il lavoro di alcune persone: ma tutto
questo ha un costo.
A cominciare dall'imballaggio dei
pacchi, per tutti i prodotti che si comprano in questo mercato
globale.
L'e-commerce in Italia è cresciuto del
15% e crescerà ancora: tra i costi però bisognerebbe metterci i
costi ambientali, perché per garantire le consegne rapide, anche per
pochi prodotti, si costringono i corrieri a girare per le strade
italiane con carichi non efficienti.
Amazon ha una impronta ambientale
paragonabile a quella della Svezia: tutto colpa di Prime, per
quei 5 miliardi di pacchi spediti tutti i giorni e che sono
consegnati in giornata.
Tutto questo è garantito da una
tecnologia all'avanguardia nei capannoni di Amazon, dove tutto è
guidato da un algoritmo, dall'operatore al camion fino al centro di
smistamento.
Dal centro di smistamento, partono i
driver che coprono l'ultimo miglio, fino a casa.
Massimo Marciani, esperto di logistica,
parla di vasi comunicanti per spiegare come funziona la piattaforma,
dalla fabbrica cinese ai magazzini, fino al driver: un sistema che ha
un forte impatto ambientale per il modo in cui si scambiano le merci.
Anziché le navi, si usano gli aerei,
anziché furgoni pieni, viaggiano furgoni semivuoti che raggiungono
le nostre case: è un sistema di logistica non sostenibile,
raccontano al MIT Initiative.
Perché non aspettare qualche giorno la
consegna, se si possono emettere meno inquinanti, per evitare di
peggiorare le condizioni del pianeta? Perché Amazon non è
trasparente?
Il responsabile Amazon in Europa per la
sostenibilità parla di investimenti in energia rinnovabile,
vorrebbero arrivare alle zero emissioni al più presto.
Col sistema del Prime, Amazon fa fuori
la concorrenza, ma se le persone conoscessero gli impatti,
sceglierebbero ancora l'invio in giornata?
Un forte impatto lo hanno anche i resi
che sono molto alti specie nel vestiario: molti resi significa molte
merci che viaggiano sulle strade e, di conseguenza, troppi imballaggi
che alla fine finiscono nei rifiuti.
Rossano Ercolini, autore di Rifiuti
Zero, ha analizzato i diversi packaging dei negozi online: cartoni
col lo scotch, pacchi in plastica che non sempre è riciclabile ..
tutti gli imballaggi presentano qualche problema, merce per
inceneritori, con tutto ciò che ne consegue.
Bisogna ridurre la plastica e gli
imballaggi: Amazon ci sta provando, con un progetto chiamato shopping
on container, dove si vuole ridurre l'imballaggio mantenendo integro
il prodotto.
Stanno ordinando centomila veicoli
elettrici, sempre in quest'ottica.
Presadiretta ha raccontato col
servizio di Teresa Paolo, lo scandalo dei prodotti invenduti, da
fornitori terzi: alcuni sono ritornati al fornitore, altri sono
destinati alla distruzione, sono etichettati come “destroy”.
Sono oggetti a volte nuovi, ma
invenduti – racconta un ex dipendente di Amazon a Vercelli: il
costo dello stoccaggio è un costo per i fornitori, così viene
offerto loro l'opportunità di distruggerli, come da testimonianze
raccolte da giornalisti di Mani tese.
Teresa Paoli ha incontrato anche un
giornalista di Capital, in Francia: in Francia in un anno si
distruggono circa 3ml di oggetti secondo la sua stima, oggetti nuovi
a volte, di venditori cinesi che non hanno interesse a ritirare la
loro merce.
Perché gettarli e non donarli?
Parliamo di pannolini, giocattoli,
libri, televisori: succede in Francia, in Germania e anche in Italia.
Prodotti nuovi, con etichetta: ogni giorno sono distrutti da 3000 a
15mila oggetti, di cui il 30% nuovi.
A Vercelli sono riusciti a far donare
il cibo per cane, non scaduto, ad un canile: il resto ha avuto
destinazione destroy.
Perché di questo non se ne parla?
Perché farebbe fare una brutta figura ad Amazon, che ha solo
l'interesse di liberare lo spazio nel magazzino.
Tutto legale, certo: è una scelta
indotta da un regime contrattuale del tipo prendere o lasciare, dove
i fornitori hanno margini molto bassi.
Un sistema che alla lunga presenterà
un costo alla collettività: il professor Fabio Iraldo ha stimato il
costo di questa logica del destroy.
Per cento forni a microonde è come se
sprecassimo la quantità di acqua per produrre 29 tonnellate di
pomodori.
Amazon offre diverse possibilità ai
fornitori – spiega il responsabile Amazon sulla sostenibilità:
vorrebbero portare questa percentuale a zero, in Inghilterra sono
riusciti a far donare questi beni, mentre in Italia c'è un problema
di tasse.
In Italia si pagano tasse se si donano
beni mentre non se ne pagano se si distrugge: perché non cambiano la
legge allora?
Il ministero dell'Ambiente sarebbe
anche d'accordo, racconta un dirigente: aspettiamo che dalle parole
si passi ai fatti.
Il commercio online traina il
settore del commercio: chi ci sta perdendo in questa crescita è
il commercio al dettaglio. Nel 2019 sono 5000 i negozi che hanno
chiuso, specie nei piccoli centri, come a Bedonia
sull'Appennino.
In poco tempo hanno chiuso negozi di
alimentari, di prodotti al dettaglio: l'amministrazione ha fatto di
tutto per non far chiudere i negozi, ma non c'è stato nulla da fare.
La goccia che ha fatto traboccare il
vaso è stata l'iniziativa “un click per la scuola”: una campagna
di marketing, che ha danneggiato di fatto la vita nella comunità.
Compri su Amazon e do qualche soldo
alla scuola di Bedonia: ma alla fine togli vendite ai commercianti
del comune, che avrà meno tasse incassate, che avrà meno persone
nel territorio perché se i negozi chiudono la gente va via.
LA battaglia contro Amazon non è ad
armi pari: Amazon non paga le stesse tasse dei commercianti, è una
sfida di topolino contro l'elefante racconta una di questi.
I commercianti comprano i prodotti ad
un prezzo maggiore rispetto a quello della multinazionale, le persone
sono attirate dall'online, col risultato da far spegnere le luci
nelle piccole città.
Ad armi pari è la battaglia dei
commercianti: si parla di web tax, introdotta di recente, si tassano
i servizi al 3% ma non le merci vendute.
È una battaglia che va portata avanti
come Europa: si rischia di arrivare ad una situazione di potenziale
monopolio, da parte di un gigante che un giorno potrebbe decidere da
solo i prezzi.
E la questione dei posti di lavoro? Il
commercio online non dà lavoro come il commercio manuale – ha
spiegato il responsabile per Reggio Emilia di confcommercio
Massarini.
L'ultimo miglio.
Teresa Paoli ha visitato il centro di
smistamento di Amazon di Settecamini: la responsabile del centro
spiega alla giornalista quanto l'azienda tenga alla sicurezza nel
lavoro.
E le accuse di pretendere la velocità?
Lo dice chi non ha mai lavorato in Amazon.
In effetti di come si lavori dentro
Amazon si sa poco: la pressione sulla velocità ha portato a diversi
scioperi, dei dipendenti e dei corrieri.
Quelli che lavorano per “l'ultimo
miglio”, come Patrizio, driver di Amazon: driver che devono
soddisfare la logistica del capriccio dei consumatori, come la
definisce Massimo Marciani presidente
di Freight Leaders Council: il consumatore ha l'esigenza di
soddisfare una sua esigenza senza avere la preoccupazione di come
queste esigenza verrà soddisfatta, senza chiedermi come questo
capriccio possa compromettere il futuro delle prossime generazioni.
Tutta la pressione del consumatore, per
avere la merce in fretta, ricade sui driver e sui fattorini, l'unico
contatto umano della piattaforma.
I driver lavorano per società esterne
alla compagnia ma devono soddisfare alla lettera i dettami di Amazon:
quante consegne, in quanto tempo, soste in doppia fila … si
dovrebbe educare l'algoritmo ad avere tempi più “umani”.
Alessio – uno dei driver, guadagna
1400 euro al mese: non si lamenta dello stipendio, ma dei ritmi, del
rapporto umano che manca, il sentirsi una macchina.
Non ci si può fermare mai.
Donato e Valerio sono due
rappresentanti sindacali dei driver Amazon: questo lavoro è
fattibile, ma non tutti i giorni, ci sono problemi per la sicurezza,
perché pur di consegnare si parcheggia ovunque, si prende una multa
e la paghi perché le città non sono predisposte per i driver.
Il mondo delle consegne è cambiato,
c'è questa ossessione del tempo: non tutti reggono i ritmi.
I driver hanno vinto una prima
battaglia avendo ricevuto uno stesso contratto, la seconda sarà
quella di far conciliare il lavoro con la vita delle persone, che non
possono essere spremute come limoni.
Non ci sono solo i driver di Amazon per
la strada: in Italia sono 23mila i corrieri, alcuni di loro pur
avendo un contratto di logistica oltre una certa soglia di consegne
lavorano a cottimo, come fossero dei padroncini.
Ci sono consegne non effettuate che non
sono pagate, c'è il rischio di essere derubati: vorrebbero essere
trattati come lavoratori, con un cartellino timbrato all'inizio e
alla fine della giornata.
Ken Loach ha raccontato la vita di
questi lavoratori: Teresa Paoli l'ha intervistato, dopo il suo
ultimo film che racconta i lavoratori della gig economy, lavoratori
alla spina.
Lavoratori che non sono lavoratori, se
vanno in vacanza non sono pagati, se si ammalano non sono pagati: le
nuove occupazioni create dalla gig economy sono queste, lavori pagati
poco e questo sta causando un aumento della povertà infantile in
Inghilterra.
Ken Loach ha firmato un appello contro
Amazon, ma punta il dito anche contro i consumatori: è nel nostro
interesse che la gente abbia un lavoro adeguato e ben retribuito.
Ma Amazon non cambierà mai da sola: i
politici hanno una totale responsabilità in questo cambiamento, il
problema non è la tecnologia, ma chi la controlla, dovrebbe essere
usata per migliorare la vita degli altri e invece viene usata per
distruggere i diritti nel mondo del lavoro.
I rider della gig economy
Lisa Iotti aveva raccontato questi
rider due anni fa nella puntata “Lavoratori alla spina”:
lavoratori a cottimo governati da un algoritmo.
Per avere uno stipendio pari ad un
operaio si deve correre, per la città col sole e con la pioggia.
Per prendere 7 euro a consegna:
lavorando 50 ore a settimana, sette giorni su sette si arriva a 1400
euro.
Ma e sei straniero, guadagni anche
meno, perché non hanno documenti o anche perché semplicemente, si
trattengono i soldi.
Se sei nero, sei invisibile: la procura
di Milano ha aperto un'inchiesta sul caporalato nel mondo del food
delivery.
Finché non ci sarà un contratto che
normi questo lavoro, tutte le storture di questo mondo saranno
scaricate sui rider.
Dal 2 novembre esiste il decreto sui
rider: ci sono tutele, l'abolizione del cottimo, esiste una paga
minima, ma entrerà in vigore tra un anno e le aziende potranno
contrattare la sua applicazione.
Le aziende di Assodelivery hanno reagito minacciando di
abbandonare il paese: pare che in Italia non si possa fare impresa
rispettando diritti e tutele delle persone.
Nemmeno per le persone che consegnano la spesa a domicilio, come i non dipendenti di Supermercato24: 500 shopper, 500 persone che lavorano senza formazione né tutela.
E' questo il mondo e il lavoro del futuro?
Un mondo dove le persone sono parti governate da un algoritmo?
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