05 gennaio 2020

Come si è arrivati agli Ayatollah (la storia insegna)





Ieri sera, sull'eco delle notizie provenienti dall'Iran e dal Medio Oriente, mi son visto il film di Ben Affleck Argo: il racconto dell'esfiltrazione dei sei membri dell'ambasciata americana a Teheran che, nel novembre 1979 riuscirono a fuggire dal compound e a trovare rifugio a casa dell'ambasciatore canadese.

Tralasciando per un momento la storia, vera, ad inizio film il regista ha voluto raccontare il come si è arrivati alla rivoluzione komeinista del 1979: governato per secoli dagli Scià, nel 1950 il popolo iraniano elesse Mossadeq un democratico laico, come primo ministro.
Il suo governo nazionalizzò le holding britanniche e statunitensi: nel 1953 gli Stati Uniti (amministrazione Eisenhower) e la Gran Bretagna organizzarono un colpo di Stato e portarono al governo lo scià Reza Pahlavi .

Lo scià e sua moglie vivevano nel lusso e sul loro stile di vita sorsero pure delle leggende: pare che la moglie facesse il bagno nel latte, come Poppea e che lui si facesse portare il pranzo ogni giorno da Parigi con un Concorde.

Non sono leggenda le torture della polizia politica, le persone uccise nel silenzio delle prigioni di stato.
E nemmeno la povertà in cui viveva parte del paese.
Fino alla rivoluzione di Khomeini, che portò il paese indietro di secoli, come diritti civili e libertà.
Le prigioni di stato (e l'attività della polizia politica) non rimasero vuote, però.

Ecco a cosa serve la storia, a far capire agli stolti che pensano che sia tutto un gioco, quali sono gli effetti della politica dei colpi di stato e dell'appoggio alle dittature (militari o non) amiche.
Penso a Gheddafi, amico nostro fino alle primavere arabe.
Penso ad Al Sisi, cui chiediamo con finta ingenuità, di aiutarci a capire chi ha ucciso il nostro Giulio Regeni.

Dallo scià, amico dei governi occidentali, siamo arrivati all'odio verso gli americani.
La storia insegna, bisognerebbe studiarla però.

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