Esce mercoledì prossimo il nuovo libro della coppia Guccini Macchiavelli. Il titolo è Tango e gli altri:
«La trama è questa: c'è un partigiano comunista, delle Brigate Garibaldi, che viene giustiziato da altri partigiani comunisti, accusato di un delitto — un efferato omicidio: una questione privata, ma anche politica — che forse non ha commesso. Santovito, il personaggio che ho inventato con Loriano Macchiavelli, alla sua ultima avventura deve scoprire se il giustiziato era o no innocente. Trova una lettera, che lo riporta agli ultimi mesi di guerra…».
Temi quanto mai attuali, in questi giorni dove si parla di foibe, partigiani, fascismo e antifascismo, senza magari avere una base storica di partenza.
Ovviamente, Guccini non ha scritto un libro contro la Resistenza. «Io combatto il revisionismo. Leggo Bocca, non Pansa. Non penso affatto sia in malafede, ma considero i suoi libri inopportuni, in un momento in cui un tribunale dà torto a Rosario Bentivegna e dà ragione all'esponente di An che lo addita come il vero colpevole delle Fosse Ardeatine. Ma i libri scritti da chi stava dall'altra parte li ho letti, eccome.
Conosco i testi di Pisanò: l'elenco delle vittime che ne viene dato è impressionante. Ho letto Tiro al piccione e A cercar la bella morte. Ma anche Guareschi parlava sempre delle vendette partigiane.
Non ignoro che ci sono state davvero. In quella guerra c'era di tutto. Cani e porci, come si dice.
I partigiani non erano mica tutti paladini di Francia; e, come oggi in Libano, non bastò dire di deporre le armi per farle tacere.
A chi piange su piazzale Loreto ricordo che il corpo del Duce fu portato là non per caso, ma perché là erano stati appesi i corpi dei partigiani.
Alcune vendette furono conseguenza della guerra civile. Poi c'erano le bande che si comportavano come criminali comuni. E c'erano partigiani che avevano masticato rivoluzione fine al giorno prima e volevano cominciarla davvero, eliminando i nemici di classe, nonostante le indicazioni della segreteria del Pci: perché Togliatti sapeva bene che la rivoluzione in Italia non si poteva fare».
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