16 maggio 2007

Quando gli immigrati eravamo noi ...

Ne "Il giovane sbirro", Gianni Biondillo racconta i primi anni della carriera da agente della polizia, del futuro ispettore Michele Ferraro.
I vari racconti hanno come collante la storia di Kledy (ambientata nell'oggi): albanese con regolare permesso di soggiorno, che si trova, per un caso fortuito, arrestato trasferito in un Centro di Permanenza Temporanea.
E qui lo scrittore, che è anche un attento osservatore del mondo che ci circonda, della società in cui vive, trova le parole giuste per raccontare dello squallore, dell'ingiustizia, della perduta memoria degli italiani:


"C'era tutto un mondo in quelle file. Peruviani, magrebini, nigeriani, rumeni, ecuadoriani, cinesi, brasiliani, bulgari, senegalesi, pakistani.
Tutto il mondo che premeva da anni alle porte dell'Italia e l'Italia che li raccoglieva a mazzi, senza un ordine logico, un pò li distribuiva nelle cave di pietra, nei cantieri, nei campi di pomodoro, nelle fabbriche abusive, negli allevamenti di bestiame, per quattro soldi, senza sicurezza alcuna, lasciandoli dormire in stamberghe esattamente come era capitato due generazioni prima agli stessi italiani in giro per il mondo, additati a portatori di peste, di malattie, di degenerazioni umane e sociali, diffusori di fanatismo religioso, mangiacipolle, mangiaglio, mangiapeperoncino, puzzolenti, delinquenti, assassini, accoltellatori, stupratori.
E ora, finalmente, l'Italia si vendicava, ora che i soldi non venivano più dalle rimesse degli emigranti nelle Americhe, ora che ci si fregiava d'essere una delle nazioni più ricche del mondo, finalmente poteva, da popolo sfruttato, diventare popolo sfruttatore, indice vero di ricchezza libertaria.
E in fondo perchè dimenticarlo?
Forse che gli antichi filosofi ateniesi non avevano gli schiavi?
Forse che i fondatori della Carta Costituzionale americana non avevano gli schiavi?
Forse che la democrazia, perchè funzioni come un meraviglioso carillon, non ha bisogno di nascondere sotto un tappeto tutta la sporcizia?
Ed ecco, libertatorio, purgante, quasi, finalmente giunto il momento di dare a qualcuno altro l'epiteto di mangiacipolle, stupratore, di fanatico religioso. Liberarsi dal sè, elevarsi a divinità. Prima che la marea - fatta di miliardi di delinquenti stupratori mangiacipolle - pressante fuori dalle porte del nostro giardino, con tutta la sua volgarità, distrugga lo steccato e tracimi definitivamente, in quel prato così ben rasato dal nostro amabile giardiniere filippino, che lui è come uno di casa, uno di famiglia, e io non sono certo razzista, è che loro sono troppi, diciamocelo.

E dunque, raccolti a mazzi e mandati a morire caduti dalle impalcature dei nostri cantieri edili, o bruciati vivi nei sottoscala a produrre falsi abbigliamenti griffati, ogni tanto il democratico popolo italico sentiva il bisogno di agguantare, a caso, una manciata di questi immigrati giramondo per rimandarli al loro paese, come fosse l'offerta votiva da farsi, ogni tot, al Dio dei bei tempi andati, quando tutti ci si conosceva, si lasciava la porta aperta e qui era tutta campagna.
Qualche politico lombardissimo aveva alzato la voce ed era scoppiata una caccia al clandestino che a confronto una deratizzazione nelle fogne di NYC sembrava cosa da educande.
Gli zelanti servitori dello Stato servivano, servi, e nulla spigazione chiedevano. Questa è la potenza della legge, che ci sovrasta e che ci permette di far dormire sonni tranquilli alla nostra coscienza."
Technorati:

3 commenti:

Anonimo ha detto...

La memoria va e viene come ci fa comodo... Su questa questionepiù o meno ho dedicato anch'io un post. Ciao Giulia

Azeta ha detto...

quando gli immigrati eravamo noi, ci siamo (scuasate il termine) "fatti il culo"; ci siamo dati da fare mettendoci a lavorare. Mentre, non dico tutti, ma molti degli immigrati in Italia li troviamo per le strade, nei parcheggi a chiedere la carità o a venderci un paio di calzini... o a rubare. saluti

alduccio ha detto...

Povero azeta: mai sentito parlare di Lucky Luciano? Non era un imprenditore.