Meno male che Presa diretta c'è,
verrebbe da dire: una delle poche trasmissioni che, ha ricordato
l'anniversario del tragico terremoto di Fukushima, portando le
telecamere là dove è successa la catastrofe (che, è bene
ricordarlo, è frutto di un evento imprevedibile, ma anche
dell'incapacità della Tepco, che non aveva nemmeno un piano per
affrontare queste situazioni) .
Alessandro Libbri (il giornalista
che ha girato il servizio), dopo un anno, ha mostrato quale è la
situazione: nel raggio di 10 km dai reattori esplosi, c'è il vuoto,
il deserto.
In questa zona la radiazione nell'aria è ancora alta:
case vuote, paesi svuotati, animali lasciati allo stato brado o
lasciati morire nelle stalle.
In questa fascia non è stata fatta
ancora alcuna bonifica (e chissà quando verrà fatta, se non rimarrà
sempre per sempre un deserto).
Le persone sono state spostate
in prefabbricati, dopo un periodo di qualche settimana dentro i
tendoni: la gente (bambini, adulti e anziani), è costretta a
passare le giornate al chiuso, senza poter fare nulla.
E inizia
anche ad avere paura: chi rimane in questa prefettura, è solo perchè
ha qui il lavoro e non se può andare più lontano: “è come se ci
avessero abbandonato .. dall'incidente, delle radiazioni non se ne
parla più, è sceso il silenzio”.
Il sindaco di Minamisoma
, intervistato, racconta che “non ho ricevuto avuto alcuna
informazione dalla Tepco [prima dell'incidente], mi hanno contattato
la prima volta 11 giorni dopo l'incidente”.
Qui è stato il
comune ad aver pagato di tasca propria le bonifiche, e, ad un anno
dal terremoto ancora nessun soldo dal governo.
A sentire queste
storie, viene in mente l'Aquila, col centro storico congelato alle
3.37 di notte, e la paura delle persone di non poter più tornare
nelle loro vecchie case.
E altri problemi verranno fuori
adesso: i disturbi psichici per il trauma subito si faranno sentire
ora, nell'anniversario. L'ansia e la paura per quanto è successo,
per il futuro, per i figli.
Non sappiamo nemmeno quanti soldi
serviranno per la bonifica: uno studio di greenpeace parla di
500-650 miliardi di dollari, ma sono solo ipotesi.
E in Italia? Abbiamo detto no due volte
al nucleare, alla faccia del partito del si alle centrali (parente
stretto del partito del si alle grandi opere). Ma a che punto siamo
con le rinnovabili?
Presadiretta ha sfatato un primo luogo
comune: la nostra dipendenza dal nucleare è, rispetto alle altre
energie, molto bassa.
Inoltre, secondo gli studi del
professor Armaroli del CNR di Bologna, con le energie rinnovabili
possiamo farcela a coprire tutto il fabbisogno.
Basterebbe, se volessimo sostenere il
100% dell'energia col fotovoltaico “pannellare” tutta la
provincia di Piacenza (e non tutta la pianura Padana, come si sente
dire).
Il che, tradotto in termini pratici,
significa che si iniziassero a sfruttare i tetti delle aree
industriali, anche quelle dismesse e che oggi magari vengono
riqualificate a colpi di tangenti per fare alberghi e centri
commerciali, saremmo già a buon punto.
È quello che hanno fatto a
Castelgugliemo, a Rovigo.
A Casalecchio di Reno, il comune mette
in affitto i pannelli solari, inventandosi una “comunità solare”,
per cui un cittadino può affittarsi il pannello e questi soldi
finiscono in un fondo usato per comprare altri pannelli.
L'obiettivo del comune non è solo
l'acqua, ma anche il riscaldamento, per abbattere ancora di più i
consumi dai derivati del petrolio.
Perchè la riduzione dei consumi di
petrolio e dei gas, passa anche per la costruzione di case a basso
impatto termico: impianti di cogenerazione che raffreddano le case
d'estate e la riscaldano di inverno. Muri coibentati per non far
sfuggire nessun spiffero.
A Ravenna hanno costruito una classe di
modello A, dove si risparmia dal 20-25 % sui consumi per il
riscaldamento.
A Dovadola (Forlì) una coppia mostrava
alla giornalista di Presadiretta la propria casa, di 160 metri
quadri, con riscaldamento a pavimento. Questa casa, progettata e
costruita da imprese del posto, è costata 1400 euro al metro quadro,
in 8 mesi.
Si può fare, dunque: spingere (o
costringere) chi costruisce da zero, a seguire certi criteri di nuova
concezione. Costa un po' di più, forse all'inizio, ma è un
risparmio per il futuro.
Così come si potrebbe spingere per la
ristrutturazione delle case vecchie, per renderle meno
“spendaccione”: doppi vetri, muri coibentati, pannelli solari.
Si creerebbe un nuovo mercato, per le
case a basso consumo, si darebbe un impulso per queste imprese
edilizie (se lo stesse ci mettesse degli incentivi), e si riuscirebbe
a risparmiare sul fabbisogno energetico nazionale (altro che
rigassificatori e centrali).
Ma per tutto questo servirebbe una
politica capace di guardare al futuro, alle piccole opere utili,
piuttosto che alle grandi opere, che sì creano lavoro. Ma poi?
Meglio continuare a costruire come si è sempre fatto, allora. Se lo scopo è quello di spendere di più, consumare di più, risparmiare sui costi di costruzione.
Meglio continuare a costruire come si è sempre fatto, allora. Se lo scopo è quello di spendere di più, consumare di più, risparmiare sui costi di costruzione.
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