30 marzo 2016

A proposito del referendum del 17 aprile (prossimo futuro)

Parliamo del referendum che si terràil 17 aprile dove si chiederà agli italiani di esprimersi sul seguente quesito: se vogliono abrogare la norma che consente alle società petrolifere che hanno la concessione per l'estrazione degli idrocarburi in giacimenti entro le 12 miglia, di poter lavorare senza limiti di tempo, fino all'esaurimento del giacimento.

E' l'unico quesito ammesso, dei sei proposti dal comitato (che aveva dentro diversi consigli regionali, tra cui l'Abruzzo, poi sfilatosi), in tema di trivellazioni in alto mare: nascevano dalle norme presenti nello Sblocca Italia, governo Letta, che toglievano potere alle regioni in materia energetica, concedevano proroghe alle concessioni entro le 12 miglia, davano alle trivelle carattere di strategicità.
Il governo, nella presente legge di stabilità, ha accolto le richieste dei comitato: tutto questo per dire che almeno ad una cosa questo referendum è servito, a fare pressione su Renzi.
Dunque un referendum utile. All'ulteriore critica relativa ai costi, si può rispondere che sarebbe bastato unire referendum ed elezioni amministrative per risparmiare.

Non esiste molta informazione sulle reti pubbliche a proposito del referendum e in generale sulle trivellazioni: a parte qualche raro spot, mi viene in mente un servizio di Presa diretta di qualche mese fa, dove si raccontava quello che succede in Basilicata.
Questo referendum (e i promotori del Si) non si pone come obiettivo l'abolizione delle trivelle: è un primo passo però per chiedere al governo di rivedere la sua politica energetica.
Passare cioè dagli idrocarburi alle energie pulite, meno inquinanti: fotovoltaico, geotermico, eolico.

I promotori del No, si nascondono (ma questo è un mio giudizio) dietro l'astensionismo da una parte, e dietro lo spauracchio dei posti di lavoro persi dall'altra.
Sull'astensionismo la faccio breve: avessero almeno il coraggio di dire apertamente di no, farebbero miglior figura. Andate al mare lo diceva Craxi, come dire lasciate perdere questi temi, lasciateli ai politici di professione, voi popolino che non capite abbastanza...

Sui posti di lavoro: tra posti di lavoro diretti e indiretti, si parla di circa 30 mila persone. Ma siccome le concessioni non scadono tutte assieme, si potrà pesare ad una loro ricollocazione in altri settori, magari proprio quelli delle energie “alternative” che in questi anni, grazie al passo indietro degli ultimi governi, hanno portato ad una diminuzione di investimenti e ad una perdita di posti di lavoro.
Enel ha inaugurato ieri una centrale verde, geotermica e solare, negli Stati Uniti: in Italia siamo ancora alle centrali a carbone.

Le trivelle fanno bene o fanno male? Sulle trivellazioni in Italia, basterebbe rivedersi il servizio dei giornalisti di Presa diretta. Le trivelle in Basilicata, l'inquinamento delle acque, le trivelle in Sicilia, al largo delle coste.
E quei “comitatini” che non avrebbero preoccupato il presidente del consiglio.

Per le trivelle in alto mare esiste una ricerca dell'Ispra, che conferma i timori degli ambientalisti: altro che cozze più buone, vicino ai bacini:
“Dal lavoro di sintesi e analisi di questi dati svolto da Greenpeace emerge un quadro perlomeno preoccupante.I sedimenti nei pressi delle piattaforme sono spesso molto contaminati. A seconda degli anni considerati, il 76% (2012), il 73,5% (2013) e il 79% (2014) delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Questi parametri sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67% degli impianti nei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014. Non sempre le piattaforme che presentano dati oltre le soglie confermano i livelli di contaminazione negli anni successivi, ma lapercentuale di piattaforme con problemi di contaminazione ambientale è sempre costantemente elevata”.

Ma conviene veramente estrarre gas e petrolio dai fondali marini? Virginia della Sala sul Fatto Quotidiano del 29 marzo 2016:
“.. a quanto ammontano le riserve presenti nel sottosuolo? Secondo dati ministeriali,quelli del rapporto annuale 2014 della Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, le riserve di gas naturale ancora recuperabili su tutto il territorio ( considerando tutto il dato certo, metà di quello delle riserve probabili e per un quinto quelle possibili) sono pari a 88,5 Mtep - milioni di tonnellate equivalenti di pe-trolio. Se si considera che nel 2014, per il gas, i consumi sono stati di 50,7 Mtep, il calcolo è semplice: restano risorse per circa un anno e mezzo. La quantità di petrolio che rimane da estrarre è, invece, di 142 Mtep e coprirebbe circa due anni e mezzo di consumi nazionali (il con-sumo interno lordo è pari a circa 57). Sempre i dati ministeriali mostrano come nel 2014 il gas prodotto sia stato pari a circa 5,8 Mtep di gas natura-le. Ne abbiamo importato45,6 Mtep. Per il petrolio, la situazione è molto simile: 5,7Mtep prodotti, 71,7 importati”.

Un'ultima considerazione: in Italia abbiamo un sistema di concessioni tra i più favorevoli ai petrolieri, tra concessioni, franchigie e sgravi
“Si parte dal sistema delle franchigie: i dati dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (Unmig), cioè l’organo che opera presso il ministero dello Sviluppo economico, mostrano che nel 2015, su 133 concessioni di coltivazione a terra attive in Italia, solo 22 superano la so-glia minima di produzione,al di sotto della quale non si pagano le cosiddette royalty. Parliamo del 14 per cento. In mare, invece, pagano solo 18 su 69 concessioni a coltivare: il 21 per cento, insomma. In questo sistema molto tollerante, gli unici obbligati a sborsare quattrini alla fine sono i grandi player. Tra le aziende che in Italia pagano queste royalty, ne risultano soltanto otto su un totale di 53. Si tratta di Eni, Shell, Edison, Gas Plus Italiana, Eni Mediterranea Idrocarburi, Società Adriatica Idrocarburi, Società Ionica Gas, Società Padana Energia: ben quattro di queste fanno capo sostanzialmente allo stesso Eni”.


Per questo conviene, per le aziende, sfruttare fino alla fine gli impianti, per far pesare il meno possibile i costi di dismissione.
Forse questo spiega il perché si preferisce puntare alla non informazione, all'astensionismo piuttosto che al no.

Sul Fatto quotidiano trovate altri approfondimenti sul referendum relativamente ai rischi ambientali, occupazione, turismo : sono messe a confronto le ragioni del ‘sì’ e quelle del ‘no’ chiedendo conto a Enrico Gagliano, tra i fondatori del coordinamento nazionale NoTriv e primo promotore del referendum, e a Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione italiana nucleare.

Sempre sul FQ un articolo dove si parla dell'Eolico, una delle energie rinnovabili su cui puntare: si racconta però di come questo settore sia diventato terra di conquista per la nuova mafia.

Il tutto grazie ai benefici a pioggia (con pochi controlli sui destinatari dei fondi) e allo spostamento delle competenze alle regioni (togliendo di mezzo i comuni).

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