Un altro estratto (preso dal sito de
l'Espresso)
del libro appena uscito di Andrea Greco e Giuseppe Oddo, “Lo Stato Parallelo” (Chiarelettere).
...Gheddafi avrebbe potuto agitare come una clava contro il nostro governo [argomenti compromettenti]. Questioni che magari non coinvolgevano direttamente Berlusconi, ma che avrebbero potuto metterlo in difficoltà per la sua vicinanza al colonnello, anche perché la Libia, dopo la firma del trattato di amicizia, aveva investito in primarie società italiane: dall’UniCredit all’Eni, unico caso di azienda petrolifera occidentale partecipata da un Paese produttore; dalla Finmeccanica, all’ex gruppo bancario Capitalia, alla Juventus.
Una fonte che [...] vanta rapporti storici con il sistema di potere libico ci racconta degli incontri che Saif al Islam Gheddafi organizzava quasi una volta al mese in un hotel di Salisburgo. Ospiti fissi di queste riunioni erano: l’allora primo ministro Shukri Ghanem (ex numero uno della società petrolifera di Stato libica), che nell’aprile del 2012 fu ritrovato a Vienna, dove era fuggito in esilio, morto nel Danubio; il vicepresidente della Libyan Investment Authority Mustafa Zarti, considerato il cassiere della famiglia Gheddafi, rifugiatosi anch’egli nella capitale austriaca prima del definitivo collasso del regime; e l’ex primo ministro, nonché ex segretario del Congresso generale del popolo, al Baghdadi Alì al Mahmoudi.
A questo comitato d’affari, che si riuniva per discutere dell’amministrazione del patrimonio della famiglia Gheddafi, sembra si aggregassero l’ex ambasciatore libico a Roma Abdul Hafed Gaddur e un ex agente di cambio romano che era stato arrestato durante Mani pulite ed era bene introdotto negli ambienti berlusconiani. Come mai i libici ricorressero alla consulenza di un personaggio del sottobosco finanziario capitolino, pur avendo rapporti con l’alta finanza internazionale per la gestione della liquidità generata dalla vendita di idrocarburi, è un mistero. [...].
Le figure più rilevanti del comitato, dove erano pattuite le retrocessioni di denaro a Gheddafi sui più grandi affari della Libia, erano Ghanem e Zarti. Il primo aveva studiato negli Stati Uniti e sapeva tutto dei rapporti personali e finanziari tra Gheddafi e i leader internazionali; Zarti che vive a Vienna dall’adolescenza (è figlio di un diplomatico dell’Opec) ed è stato compagno di studi di Saif al Islam, era inserito nei più importanti circoli finanziari austriaci. Entrambi gestivano fondi riconducibili alla famiglia Gheddafi, il cui patrimonio complessivo la nostra fonte stima tra i 100 e i 150 miliardi di dollari: fondi dapprima congelati dalle autorità austriache e poi rimessi a disposizione degli intestatari dei conti.
Probabilmente Ghanem era anche al corrente del contributo di 50 milioni di dollari che Gheddafi aveva fatto avere a Nicolas Sarkozy per la campagna presidenziale del 2007. Resa pubblica al momento opportuno, la notizia avrebbe potuto distruggere politicamente il presidente della Repubblica francese. «Sarko» sapeva che sulla sua testa pendeva una spada di Damocle e temette il peggio quando da alleato di Gheddafi divenne suo principale nemico. [...] .
Il francese Robert Dulas, consigliere di vari capi di Stato africani, francomassone per sua ammissione, strettamente collegato ai separatisti tuareg del Mali, ha scritto - nella sua contro inchiesta sull’uccisione dell’amico Pierre Marziali - che il 14 aprile 2011 Sarkozy ricevette «discretamente una delegazione di insorti libici accompagnata [all’Eliseo] dal filosofo Bernard-Henri Lévy», e che della delegazione avrebbe fatto parte «un certo Mustafa el Sagezli, il numero due della Brigata dei martiri del 17 febbraio», [...] il quale avrebbe chiesto al presidente francese kalashnikov, lanciamissili, mezzi blindati, autocarri, materiale di trasmissione.
Ex militare del reggimento paracadutisti della marina francese, Marziali aveva fondato una società militare privata, la Secopex (Société d’appui stratégique & opérationnel), che prestava servizi di consulenza e di addestramento militare (attività considerate lecite dalla legge francese) e che aveva individuato in Libia opportunità di crescita. Dulas era il suo braccio destro. Marziali era malvisto e mal tollerato nell’ambiente militare da cui proveniva, che gli rinfacciava di reclutare ex colleghi per formare milizie mercenarie (attività, questa, vietata dalla legge francese) e di lavorare per dittatori africani sanguinari nel nome del dio denaro. Dopo la sua morte, il ministero degli Esteri francese dichiarò che la sua presenza in Libia non era nota al Quai d’Orsay, anche se è presumibile che i servizi francesi fossero informati dei movimenti della Secopex. Dal libro di Dulas emerge un fatto clamoroso. Quando si parlava ancora in termini positivi della primavera araba, e si riteneva che la rivolta anti-Gheddafi fosse l’effetto di una reazione popolare contro il regime, Marziali e Dulas avevano consegnato un cd a un commissario dell’Eliseo contenente le immagini delle torture praticate dagli insorti di Bengasi: un modo per mettere in guardia i vertici della sicurezza francese e l’Occidente sulla presenza dell’islamismo più radicale dietro l’esercito dei ribelli. Nel cd c’era la prova della partecipazione alla massa dei rivoltosi di una «nebulosa terroristica» composta da Hezbollah, Hamas, al Qaeda nel Maghreb islamico e rinforzata da uomini provenienti dall’estero. Uno degli elementi di spicco di questa nebulosa era Faouzi Abou Kataf (noto anche come Fawzi Bukatif), numero uno della Brigata dei martiri del 17 febbraio, capo di quel Mustafa el Sagezli condotto al cospetto del presidente francese da Bernard-Henri Lévy. [...]
Marziali sarebbe stato dunque assassinato, secondo Dulas, non in modo accidentale, durante un tentativo di arresto, ma perché prossimo a scoprire i presunti inconfessabili legami tra i capi della Brigata dei martiri del 17 febbraio, i servizi francesi e l’Eliseo, con cui la Brigata era in contatto attraverso un proprio emissario (el Sagezli).
Perché Sarkozy si sarebbe compromesso fino a questo punto con uno dei capi della rivoluzione? Perché la Francia, che aveva in corso un programma di cooperazione bilaterale con la Libia nel campo delle tecnologie, del nucleare civile, della difesa e della formazione, ambiva ad acquisire attraverso la Total la fetta più grossa delle attività di esplorazione e produzione.
Le manovre di avvicinamento della Total alla Libia erano cominciate qualche anno prima. Già nel 2009, nel fallito tentativo di aggiudicarsi un contratto di gas dalla Libia, la compagnia transalpina aveva versato un acconto di 9,8 milioni di dollari al faccendiere francolibanese Ziad Takieddine con il benestare dell’allora segretario generale dell’Eliseo, Claude Guéant, futuro ministro dell’Interno di Sarkozy. E sarà proprio Takieddine a dichiarare ai giudici francesi che l’ex capo di gabinetto di Gheddafi, Bashir Saleh, sarebbe andato «a più riprese a incontrare Guéant al ministero dell’Interno», tra il dicembre del 2006 e il gennaio del 2007, per fornirgli «le indicazioni bancarie necessarie al versamento» dei 50 milioni per la campagna di Sarkozy.
Lo
Stato parallelo – Chiarelettere,
di Andrea Oddo e Giuseppe Greco.
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