La giornata per il ricordo delle vittime delle mafie quest'anno si tiene a Messina: la provincia che venia definita "babba", dove non succede nulla, dove nemmeno la mafia c'è. Ma Messina è anche la città dove fu uccisa anni fa Graziella Campagna, colpevole di aver visto un latitante.
Come per altri omicidi di mafia, anche in questo depistaggi, indagini al rallentatore, la volontà di annacquare tutto.
Anche da morta dava fastidio, l'allora guardasigilli Mastella cercò di bloccare la fiction RAI che raccontava la sua morte e le difficoltà del fratello nell'ottenere giustizia.
Messina la città del ponte e dell'acqua che a volte non arriva. Ma anche la città dove la mafia esiste, come esiste il "rito peloritano", una formula del gergo mafioso per indicare gli incontri tra mafiosi e uomini delle istituzioni: a Messina avvocati dei mafiosi e giudici cenavano assieme dopo le sentenze.
Siamo partiti dalle vittime della mafia e siamo arrivati a parlare dei suoi complici all'interno dello stato: la forza della mafia sta infatti nel suo potere intimidatorio ma anche nella sua capacità di creare rapporti, per quella convergenza di interessi già formulata dal pool antimafia del giudice Caponnetto.
Se lo Stato vuole fare una vera lotta alla mafia deve fare chiarezza all'interno di questa zona grigia, a cominciare dai tanti politici accusati di concorso esterno (e magari assolti perché ci sono le prove dei contatti dei mafiosi ma non dei favori concessi).
E poi dovrebbe proteggere i testimoni di giustizia, non abbandonarli a se stessi.
Il fondo vittime della mafia è bloccato da cinque mesi: non è credibile uno stato che ha tolto la parola mafia dall'agenda, una politica incapace di fare pulizia nei confronti dei rapporti con le mafie e che ogni volta si trincera dietro la presunzione di innocenza (e il lavoro della magistratura).
Non basta una giornata di memoria per pulirsi la coscienza.
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