01 marzo 2016

Welcome to the jungle


Le persone che vivono nelle baraccopoli di Calais e in Normandia (come anche i profughi respinti al confine con la Macedonia) hanno attraversato migliaia di chilometri, affrontato pericoli, speso magari tutti i loro risparmi. Vengono da lontano, dall'Afghanistan, dal Pakistan, dall'Iraq.


Paesi lontani, molto lontani dalle nostre democrazie: se non ci fossero state le guerre occidentali, quando volevamo esportare la democrazia con l'esercito e le armi, nemmeno sapremmo dove si trovano.

Pensiamo che ora sia sufficiente alzare questi muri, il filo spinato, usare i lacrimogeni per disincentivare il loro desiderio di una terra promessa?
Ce la prendiamo con loro, con queste persone che scappano da una guerra e che dietro lasciano solo macerie (non dimentichiamolo mai) mentre invece dovremmo mettere fine alle cause di questo esodo. Mettere fine alle guerre e alle ambiguità dei nostri alleati, penso alla Turchia.
Smetterla di applicare la realpolitik in questi paesi per cui meglio un dittatore rispetto ad un governo islamico fondamentalista.

Sono persone che muoiono nei naufragi davanti le nostre coste e nemmeno sappiamo come contrastare i trafficanti di uomini, i trafficanti di armi, di petrolio.
L'Europa sta precipitando, non solo dal versante economico.

Non è che siccome vivono nella jungle, devono essere trattati come animali.  

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