15 giugno 2016

Matteo Renzi, il prezzo del potere di Davide Vecchi

«Parlare di rimpasto è roba da Prima repubblica #chenoia. Vi prego: parliamo di #coseconcrete».Tweet di Matteo Renzi del 2014.

Si apre e si chiude con questo tweet il secondo capitolo della storia del presidente del Consiglio: un racconto che parte dalla guerra di logoramento a Letta e che portò al suo siluramento e che finisce col pasticciaccio della nomina mancata di Carrai come dominus della cyber security.
Perché Davide Vecchi ha scelto proprio questo tweet, tra le migliaia che hanno inondato l'etere? Perché descrive bene quello che è stato il prezzo che Renzi ha dovuto pagare per la conquista e il mantenimento del potere romano.
Quando uscì in rete, nel gennaio 2014, era ancora il giovane segretario rottamatore di un partito democratico in cui ancora pesava la mancata vittoria delle elezioni del 2013: ad appena un mese dalle primarie vinte, così rispondeva a Letta che in un'intervista faceva ventilare l'ipotesi di un rimpasto nel governo, per far spazio ai giovani renziani. Che pure nel governo Letta qualche posto lo avevano avuto (come il sottosegretario Manzione).

Il racconto di Davide Vecchi copre i due anni di governo Renzi e li racconta in una angolatura diversa da quella della narrazione vigente: si parte dallaguerra a Letta e alla caduta di un governo (seppur di larghe intese) attraverso un voto in una riunione di partito, non in Parlamento.
Di un segretario che si propone come Presidente del Consiglio scavalcando le regole, le prassi e presentandosi direttamente da Napolitano.
Perché è questo che ripetono sempre i renziani al governo: si deve fare in fretta, non si può aspettare i tempi lunghi della vecchia politica, gli accordi, ascoltare le varie correnti.
Renzi e i suoi vanno di fretta e in fretta hanno occupato tutte le poltrone che potevano appena messo piede a Roma.

Siamo passati dalla nomina (che sì, sarebbe stata rivoluzionaria) di Gratteri alla giustizia, a vedere nominati come ministri la signora Guidi (e i suoi conflitti di interesse), Poletti il signore delle Coop e Boschi (ministro delle riforme).
E poi la spartizione delle poltrone di Palazzo Chigi: “la prima viene occupata da Antonella Manzione: a lei va il delicato incarico di responsabile del dipartimento Affari giuridici”.
Renzi chiama a Roma D’Angelis come sottosegretario di Stato del ministero delle Infrastrutture, a capo struttura dell'emergenza idraulica e Filippo Bonaccorsi che a Firenze aveva privatizzato l'azienda di trasporto pubblico.

Anche le poltrone nelle aziende di Stato servono per piazzare gli amici:
nell’aprile del 2014, in un solo colpo, Renzi piazza il suo avvocato, il suo commercialista e il suo finanziatore storico: Alberto Bianchi all’Enel, Marco Seracini all’Eni e Fabrizio Landi in Finmeccanica”.

Così, in pochi mesi si passa dal Renzi 1 al Renzi 2: a Palazzo Chigi e nei ministero, nelle partecipate, nella Rai, inizia ad andare di moda parlare toscano, alla faccia del merito e della trasparenza.

Trasparenza di cui evidentemente è carente il presidente segretario se consideriamo i soldi raccolti tramite le fondazioni, tanti soldi, milioni di euro, con cui sono state pagate le campagne elettorali di Renzi. Per il comune di Firenze prima, per la segreteria del Partito Democratico.
Chi sono i generosi finanziatori del rottamatore? Per la maggior parte rimangono anonimi, grazie alla legge sulla privacy, principio che di fronte alla trasparenza del potente potremmo anche sacrificare un pochetto.
Altrimenti sorge il dubbio che questa mole di denaro (i cui custodi sono poi i suoi esponenti più vicini del giglio magico, Marco Carrai, Marco Seracini, Maria Elena Boschi …) serva solo per poi potersi sedere alla tavola degli appalti pubblici, pretendere una poltrona in una delle aziende di Stato.

La carriera politica di Renzi si è realizzata in pochi anni, in modo fulminante.
A volte ricorrendo a metodi spicci: tante cose del vero carattere del Presidente del Consiglio emergono dal libro di Vecchi.
Amici allontanati perché oscuravano la sua stella. Come Lapo Pistelli, ex esponente Dc, padre politico Renzi.
Avversarsi politici messi in condizione di non presentarsi alle competizioni elettorali perché fatti fuori da inchieste giudiziarie poi finite in nulla.
Graziano Cioni costretto a non presentarsi alle primarie per l'accusa di corruzione.
Massimo Mattei, candidato mancato alle primarie poi vinte dal fido Nardella, perché coinvolto suo malgrado nell'inchiesta sul sexygate fiorentino.
Scrive Davide Vecchi:
Le inchieste della Procura di Firenze su Cioni e Mattei di fatto liberano la strada al rottamatore e al suo erede sindaco Dario Nardella. Dopo otto anni, il 6 maggio 2016, Cioni è stato assolto dalla Corte di cassazione[..]Dario Nardella nel frattempo è diventato sindaco di Firenze e il procuratore capo Giuseppe Quattrocchi è consulente di Palazzo Vecchio”.

C'è anche la storia di Eugenio Giani, vicesindaco di Renzi, allontanato dalle primarie con la promessa mancata di un posto a Roma e che alla fine si deve accontentare di un posto come consigliere regionale.
Altro che l'immagine del ragazzone simpatico e scanzonato che va in giro in bici e che vuole cambiare le vecchie abitudini della politica:
Il «nuovo» Renzi, dopo soli due anni a Palazzo Chigi, è un uomo di potere spregiudicato, rancoroso, vendicativo, che non si fa scrupolo di invadere financo la vita privata altrui” [dalla prefazione di Marco Travaglio].

Nel libro un capitolo è dedicato alla vicenda della banca Etruria, a cominciare dal decreto lampo che trasforma le popolari in società per azioni, dopo un rapidissimo consiglio dei ministri, inizio 2015: tra queste anche Banca Etruria di cui il padre del ministro Boschi è stato vice presidente e prima ancora membro del CDA.
Nei giorni precedenti la decisione, Consob rileva uno strano innalzamento del titolo: forse che qualcuno ha fatto trapelare la decisione dell'esecutivo fuori dal palazzo?

Tutti le banche popolari soffrono anni di mala gestione, valori delle azioni sovrastimate, manager che concedevano prestiti senza garanzie agli amici e gli istituti di vigilanza che a parte qualche sanzione, non sono stati in grado (o non hanno voluto fare altro).

Sull'Etruria in particolare:
Banca Etruria registra crediti dubbi alla clientela per 1,69 miliardi di euro, il livello massimo tra le banche popolari. Di questi, 770 milioni sono sofferenze.”

A fine 2015, prima che entri in azioni il bail in (e con un ritardo colpevole che ha impedito l'aiuto di Stato):
“il governo sa già che deve intervenire per evitare il fallimento delle quattro banche e tenere così in equilibrio – per quanto precario – l’intero mondo creditizio del paese.”

Si emana un secondo decreto sulle popolari (il Salva banche) per salvare le banche ma che in realtà scarica le colpe dei manager delle popolari sugli azionisti e sui risparmiatori che sono stati costretti a sottoscrivere delle obbligazioni subordinate: il messaggio che viene fatto passare è che così si sono salvate le banche e i risparmi. La realtà è diversa: molti dei risparmiatori si ritrovano con un pugno di mosche in mano, risparmi di una vita azzerati. Il salvataggio delle banche è pagato dai “431 milioni di euro dei clienti che hanno investito, su proposta delle stesse quattro banche, in obbligazioni subordinate”.

Su questa vicenda cala un silenzio quasi totale della stampa: una delle poche voci fuori dal coro che si permette di puntare il dito contro il ministro Boschi e il suo conflitto di interessi è quella di Roberto Saviano in un'intervista su Il post:
«Il conflitto di interessi del ministro Boschi è un problema politico enorme, dal quale un esponente di primissimo piano del governo del cambiamento non può sfuggire.»

Lo scrittore si chiede come si è arrivati a questa situazione con la paura di aprire un serio dibattito su questo governo. Perché “sotto Berlusconi non ci si limitava a distinguere tra responsabilità giuridica e opportunità politica”.
Come mai la stampa (e di riflesso l'opinione pubblica) siano così indulgenti con questa “nuova generazione di politici senza passato”.

Così il PD è costretto a scaricare Roberto Saviano, dipinto dai tweet dei renziani come un altro gufo, chiamato mafiosetto da l'Unità, uno che copia i libri. Uno dei tanti prezzi per il potere.

Come si chiude il libro?
Si chiude proprio ripescando quel vecchio (anche se di poco meno di due anni prima) del 2014: siamo a gennaio di quest'anno con le due mozioni di sfiducia contro la Boschi per la vicenda della Banca Etruria, e le fiducie per la riforma costituzionale.
Voti fondamentali su cui Renzi si gioca la faccia e per cui il ministro Boschi arriva a chiedere l'aiuto della Lega. Nonostante l'aiuto di Verdini. Già Verdini: che proprio in quel momento capisce l'importanza del suo gruppo per la sopravvivenza del governo.
E così può chiedere dei posti nel governo:
“Non passano neanche ventiquattr’ore dal voto che il premier restituisce la cortesia affidando a tre senatori di Ala una poltrona di vicepresidente di commissione parlamentare: Pietro Langella al Bilancio, Giuseppe Compagnone alla Difesa ed Eva Longo alle Finanze.”

Ma non è solo Verdini, il pluri-inquisito, che reclama posti di governo al rottamatore: anche Alfano, il leader di un partito con più poltrone che elettori, reclama il giusto.
Il 28 gennaio la squadra del governo sale da 56 a 64 membri, cinque dei quali NCD (Dorina Bianchi, Federica Chiavaroli, Antonio Gentile, Simona Vicari ed Enrico Costa).
Scrive sempre, su twitter, Gotor: «Dal manuale Cencelli al manuale Renzelli,[...] #rimpasto #todocambia».

Eccolo qua il prezzo da pagare per rinsaldare la maggioranza: l'ingresso di Verdini (a discapito dei voti della sinistra anche nelle elezioni amministrative) e soddisfare la fame di poltrone di NCD.
Altro che il Renzi rottamatore che scriveva:
«Parlare di rimpasto è roba da Prima repubblica #chenoia. Vi prego: parliamo di #coseconcrete».

Il rimpasto è la "moneta sonante" per pagare il prezzo del potere.

Altri post sul libro
- “Il prezzo di Verdini per il potere” (quando la Boschi cercò il voto della Lega sulla sfiducia)
- L'articolo di Roberto Saviano su Il post, sul conflitto di interesse del ministro Boschi e sul silenzio complice dei media

La scheda del libro “Matteo Renzi, il prezzo del potere” (Chiarelettere)

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