Il fatto quotidiano pubblica una anticipazione dell'ultimo romanzi di Maurizio de Giovanni, "Serenata senza nome - Notturno per il commissario Ricciardi" (Einaudi)
Come di consueto, il messaggio era stato affidato a uno scugnizzo, e questo si era volatilizzato prima che ci fosse il modo di chiedergli qualche informazione in piú. Maione si era alzato con la testa che gli girava per la stanchezza; si era vestito in fretta, aveva chiamato le guardie Camarda e Cesarano, intente a russare sulle loro sedie, e si era avviato, proponendosi di mandare qualcuno ad avvisare un funzionario più tardi, in orario d’ufficio. Sotto sotto, in realtà, la sua speranza era quella di incrociare Ricciardi, l’unico che avesse l’abitudine di arrivare in anticipo in questura. E il suo desiderio era stato esaudito, perché se lo era trovato di fronte proprio sul portone. Un breve conciliabolo, un paio di secche informazioni e si erano messi in cammino; Ricciardi e Maione davanti, le guardie un passo dietro.
LE STRADE della città andavano lentamente popolandosi, ma solo di chi non poteva proprio fare a meno di uscire: un lunedí piovoso e freddo di metà ottobre era un ottimo motivo per rimandare gli impegni, se possibile. (...) La pioggia non faceva sconti a nessuno. Maione, avanzando accorto nel tentativo di scansare le pozzanghere, si domandava che cosa ci fosse di peggio di un morto ammazzato di lunedì mattina, quando il turno era quasi finito, pioveva e lui, di fatto, non dormiva da quasi ventiquatt r’ore. ( .. . ) E si domandava anche perché un uomo come il commissario si recasse al lavoro almeno due ore prima del dovuto al posto di dormire, lui che ne aveva la facoltà. Ricciardi, invece, rifletteva su quanto strana fosse diventata la sua vita nell’ultimo periodo. Dopo la morte di Rosa, l’amatissima tata che gli aveva fatto da madre, il senso di solitudine da cui era pervaso aveva raggiunto profondità fin lì sconosciute, eppure, per contrasto, la sua esistenza non era mai stata così affollata, anche da presenze nuove. (...)Meglio concentrarsi sul lavoro, la vecchia zavorra dolorosa nella quale era abituato a rifugiarsi. Meglio esplorare le abiette traiettorie criminali, meandri oscuri nei quali era possibile perdersi e smettere di pensare. (...) Camminavano sotto la pioggia, Ricciardi e Maione. Camminavano in silenzio, ognuno col proprio fardello sul cuore. Perfino un cadavere, di lunedì mattina e con quel tempo, tutto sommato poteva aiutarli a dimenticare. Almeno per un po’. Il corpo giaceva rannicchiato a ridosso di un muro in un vicolo stretto e buio. La pioggia lo lambiva appena, poiché era riparato dalla tettoia che sormontava l’ingresso di un magazzino.Attorno, non piú di una decina di persone, in silenzio e col berretto in mano, la testa bagnata per non rinunciare al rispetto dovuto alla morte. Maione si guardò in giro.–Allora? Chi l’ha trovato? Un ometto di mezza età, in abiti da lavoro, avanzò di unpasso uscendo dal piccolo assembramento.–Io, brigadie’. Sono il proprietario del deposito, sono arrivato per aprire e l’ho trovato sulla soglia. Credevo fosse uno che si era addormentato, capita che si mettano qua sotto, però stava vestito troppo bene. Allora ho provato a toccarlo e non si è mosso. E ho mandato ’nu guaglione a chiamarvi. Maione lo scrutò.–Qual è il vostro nome? L’ometto si mise sull’atten ti.–Palumbo Giorgio, a servirvi.–State comodo. Ditemi, avete notato qualche altra cosa? Qualcosa di strano, di non ordinario? Voi abitate da questeparti?– ’Gnorsì. Abito qua sopra, con mia moglie e i tre figli che sono rimasti; gli altri due se ne sono andati per la strada loro. No, non abbiamo visto né sentito niente. Ci stava solo lui, là a terra. Scusatemi, brigadie’, ma... Insomma, quando ve lo portate? No, perché io dovrei lavorare. Trattiamo legname per i cantieri, sapete, e se qualcuno viene e ci trova chiusi ci siamo giocati la giornata. Maione lo squadrò corrucciato.– Palu’, voi tenete i figli, avete detto. Magari ’sto poveretto li teneva pure lui. Ci vuole il tempo che ci vuole, non stiamo ai comodi vostri. L’ometto arretrò, a disagio,mormorando:–No, figuratevi, è che noi pure dobbiamo campare. E a quel poveretto là il tempo non serve più. Ma fate quello che dovete. Io mi metto qua, a vostra disposizione. Maione grugnì, e con un cenno ordinò a Camarda di allontanare di qualche metro il gruppetto di curiosi. Poi si avvicinò a Ricciardi, che era rimasto all’ingresso del vicolo. Disse: –Prego, commissa’. Accomodatevi. La procedura non scritta alla quale si attenevano i due era la seguente: Maione liberava il campo e Ricciardi era il primo che, da solo, si accostava al cadavere. Il brigadiere non aveva mai chiesto spiegazioni riguardo a quella strana abitudine, ma sapeva che per il superiore era fondamentale, e vi si atteneva con scrupolo.
RICCIARDI avanzò sentendo crescere la tensione nel petto. Capitava ogni volta. Un conto era essere colpito dal Fatto mentre camminava per strada, all’improvviso, o nella sala di un ristorante (...); in simili casi poteva provare a distogliere lo sguardo, allontanarsi, o cercare di distrarsi. Altro era andarlo a cercare. Avvicinarsi, fronteggiare l’immagine di un cadavere che vomita parole insulse dalla bocca contorta per la morte violenta. Ma con il lavoro che si era scelto, non poteva evitarlo. Si accovacciò. Il cadavere era di un uomo grande e grosso, riverso di lato, le braccia strette al petto e le ginocchia contro il ventre. Il vestito che indossava era di buona fattura, e il soprabito, aperto, pareva nuovo e costoso, anche se sporco di fango. Poteva avere una cinquantina d’anni,forse meno. Il volto era tumefatto e la tempia destra recava una strana depressione. Era rasato di fresco, e aveva i baffi. Dal taschino del gilet spuntava la catena d’oro di un orologio su cui si rifletteva la luce grigia della mattina, che avanzava a fatica tra la pioggia. Non una rapina, pensò Ricciardi. O almeno, non completata. Socchiuse gli occhi. Avvertì la presenza alla sua destra, anon più di qualche metro. Prima di guardare voleva sentire l’emozione arrivargli addosso. Abbassò le difese e si concentrò, come per ascoltare una musica sommessa, unbisbiglio. (...)SI ALZÒ. I suoi occhi percorsero i centimetri che separavano il corpo dall’immagine traslucida che solo lui poteva distinguere. Il morto era in ginocchio, le braccia lungo i fianchi, rivolto verso la stretta via quasi stesse tenendo un comizio a immaginari spettatori. Aveva il volto gonfio, informe,come truccato per uno spettacolo da circo; la bocca spaccatae sanguinante. Digrignando i denti spezzati, ripeteva: tu, di nuovo tu, tu, di nuovo tu, un’altra volta tu, di nuovo tu.Il cappotto era bagnato. Interra, proprio accanto, c’era un elegante cappello scuro. Ricciardi ruotò lo sguardo e vide lo stesso cappello qualche metro più in là, vicino al marciapiede. (...)Ricciardi rimase un attimo in silenzio, poi, Maione si avvicinò al cadavere per perquisirne gli abiti. (...) Si alzò e andò da Ricciardi.– Guardate un po’che ho trovato, commissa’. In mano aveva un rotolo di banconote. Una somma enorme.
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