Il presidente del Consiglio nonché
segretario entrerà col lanciafiamme
nel PD per far fuori le correnti: questo ha dichiarato recentemente
in una intervista a Otto e mezzo.
E' nota d'altronde l'insofferenza del
segretario del partito che si dice democratico, per le voci contrarie
a quella che è la linea del partito stesso, ovvero la sua.
Ci riferiamo a quelle uscite della
minoranza PD, che è poi quell'area che comprende gli ex bersaniani,
qualche giovane turco sperduto, su Italicum, sul Senato dei non
eletti (ma coperti da immunità), sulla personalizzazione del
referendum per le riforme costituzionali (il DDL Boschi).
Il partito deve muoversi come un sol
uomo, altrimenti come fa ad affrontare i problemi del paese?
Tutto giusto, tutto corretto. Se non
fosse che l'attuale linea del PD è passata solo al vaglio della
segreteria del partito e non a quello degli elettori che mai gli
avevano dato carta bianca per riformare Costituzione e togliere
articolo 18 (figuriamoci per far finta di mettere il falso il
bilancio e la responsabilità civile dei magistrati).
Ma c'è un'altra cosa: c'è stato un
tempo, tra il 2013 e i primi mesi del 2014, in cui è avvenuta
all'interno del Partito Democratico una guerra, a colpi di tweet,
dichiarazioni sulla stampa, velenosi, pungenti.
Da parte dell'allora minoranza (eh,
come cambiano i tempi) renziana.
Lo racconta nella prima parte del suo
ultimo libro Davide Vecchi: “Il
prezzo del potere”:
“Questo libro descrive con fatti e testimonianze dirette di molti protagonisti il vero volto del Renzi premier. Un uomo cinico, politicamente ricattato e ricattabile, chiuso in se stesso e nel suo bunker come i leader a fine carriera” - dalla prefazione dell'autore.
“Il
prezzo del potere” è la naturale prosecuzione de
L'intoccabile, che terminava con la formazione della squadra di
governo di Renzi, quella in cui Gratteri doveva essere
ministro della giustizia e che invece vede al suo posto l'ex ministro
dell'Ambiente. Dove ministro della riforme siede una giovane
avvocatessa alla prima esperienza politica (di peso) e come
sottosegretario un ex allenatore di calcio femminile.
Questi tra gli esponenti del giglio
magico della prima ora, portati a Roma e piazzati in ruoli chiave.
Ma come si è arrivati al siluramento
del governo Letta a febbraio 2014?
E' avvenuto tutto così in fretta
che forse nemmeno ce ne siamo resi conto.
Colpa anche della fragilità di quel
governo, nato dalla non vittoria del PD e che si reggeva grazie alle
larghe intese dell'alleanza PD e PDL (oltre ai casiniani e ai
montiani).
Vi ricordare quando alcuni vertici del
Viminale furono coinvolti nella rendition della Shalabayeva,
la moglie del dissidente Kazako rapita assieme alla figlia da un
blitz della polizia?
Chi chiese le dimissioni
di Alfano?
E quando uscirono le telefonate
del ministro Cancellieri con i Ligresti, che chiedevano un
aiuto per la loro situazione personale.
Chi chiese la testa del guardasigilli?
Chi era quel giovane rottamatore per
cui mai più larghe intese (quelle di Letta) e che ora governa
proprio grazie a queste larghe intese?
Questa era la guerra di logoramento,
quella del noi contro voi (come se non fossero entrambi, Letta e
Renzi, dello stesso partito).
Dopo la vittoria alle primarie, nel
dicembre 2013, la guerra diventa tattica, non più di logoramento.
Lo raccontano le testimonianze
raccolte, le intercettazioni
delle telefonate col generale della Finanza Adinolfi, agli
atti del processo sulla CPL Concordia (per l'inchiesta sulla
metanizzazione di Ischia in cui fu coinvolto il sindaco dell'isola).
11 gennaio, giorno in cui compie trentanove anni, Matteo Renzi si lascia andare a confidenze e giudizi su Letta mentre è al telefono con il generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi:A: «È lì il punto! O stare fuori va bene?». […] R: «Sai, a questo punto c’è prima l’Italia, non c’è niente da fare. Mettersi a discutere per buttare all’aria tutto, secondo me, alla lunga sarebbe meglio per il paese, perché lui [Letta, nda] è proprio incapace, il nostro amico. Però…». A: «Niente, Matteo, non c’è niente, dai, siamo onesti». R: «Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace. E quindi… Però l’alternativa è governarlo da fuori».
Governarlo da fuori oppure farlo
fuori: c'è un intoppo costituito dal capo, Napolitano,
che non vorrebbe far cadere il governo Letta. E che, soprattutto, non
vede di buon occhio l'alleanza (già iniziata) di Renzi con
Berlusconi, appena decaduto da senatore.
«Poi il numero uno ce l’ha a morte con Berlusconi per cui… E Berlusconi invece sarebbe più sensibile a fare un ragionamento diverso».
Letta offre la
possibilità di un rimpasto a Renzi?
E Renzi se ne esce
con un suo tweet:
«Parlare di rimpasto è roba da Prima repubblica #chenoia. Vi prego: parliamo di #coseconcrete».
La
guerra di logoramento inizia subito a gennaio 2014 (dopo un mese
dalle primarie vinte), con
la enews di Renzi, pubblicata sul suo sito personale e
amplificata da tutti i giornali:
Sulla politica nazionale, penso che sia inutile aspettare le stanche liturgie di sempre, i tavoli, le riunioni di coalizione. Credo sia maturo il tempo di lanciare in modo chiaro e trasparente le nostre proposte perché le altre forze politiche ci dicano la loro. Qualcuno mi ha detto “Scusa Matteo, ti abbiamo votato l’8 dicembre e non hai ancora abolito il Senato e nemmeno hai cambiato la legge elettorale”. Hanno ragione loro. Perché il mandato delle primarie dell’8 dicembre è fortissimo e non accetta compromessi: subito una legge elettorale seria, riforma della politica con tagli per un miliardo di euro, provvedimenti immediati sul lavoro perché torni un briciolo di speranza nel futuro dell’Italia. Bene, allora tiriamo giù le carte. Mi hanno detto: “Matteo almeno aspetta il ponte. Fino all’Epifania stai fermo”. Non scherziamo! Sono vent’anni che la classe politica sta facendo il ponte. Partiamo dai.
In
pochi notano il cambio di lessico: gli incontri di governo
diventano liturgie e le riforme costituzionali che sarebbero tema del
governo e del Parlamento improvvisamente sono di competenza del
segretario di un partito.
Di fronte a Letta,
che ne intuisce le intenzioni, il segretario è conciliante, ma lo è
meno durante le interviste, come con Aldo
Cazzullo «Governo avanti ma non così» il 14 gennaio
Renzi, il quadro emerso dal suo incontro con Letta è univoco: accordo fatto, nel 2014 si lavora insieme, rimpasto e codice di comportamento. È davvero così? O si rischia ancora una rottura?
«Non si rischia nessuna rottura. Ma guardiamo la realtà: la popolarità del governo è ai minimi, non ci sono più le larghe intese, né l’emergenza finanziaria. Se uno mi chiede cosa ho fatto da sindaco in questi undici mesi, so cosa rispondere: piazze, asili, pedonalizzazioni. Se mi chiedono cos’ha fatto il governo in questi undici mesi faccio più fatica a rispondere. Per questo motivo bisogna cambiare passo».[..]Mattarellum, sindaco d’Italia, spagnolo: tra le sue proposte quale passerà? «Quella che avrà il consenso più ampio. Che però dovrà comprendere le altre riforme, a cominciare da Senato, titolo V, taglio di un miliardo dei costi della politica. Facciamo un pacchetto unico...». Incontrerà Berlusconi? Non teme che si tiri indietro a un passo dall’accordo, come in passato? «Berlusconi è il leader del principale partito d’opposizione insieme a Grillo. Se serve, lo incontrerò. Per il momento non ne vedo la necessità, proprio perché ancora non ci siamo. Ma non accetto di escludere Forza Italia dalle riforme. Le regole si scrivono insieme anche alle opposizioni e non hanno senso i veti. Di solito mette i veti chi non ha i voti». [..]Esiste l’ipotesi che lei vada a Palazzo Chigi prima delle elezioni?
«A Palazzo Chigi c’è Enrico Letta».
Guardi che c’è il codice di comportamento.
«Ho visto che Letta lo ha proposto in una intervista. Non so di preciso cosa intenda. Escludo che si parli di galateo. Suggerisco il primo articolo: è vietato combinare guai come quello dell’Imu o degli insegnanti o delle slot machine. Questo mi sembra il codice di comportamento migliore: smettere con i pasticci. Però il codice di comportamento a qualche ministro effettivamente servirebbe: occorre più stile».
Anche qui, nessuno fa notare al segretario che erano mesi che non andava a Firenze a fare asili e strade. Che poi i pasticci verranno fatti anche da Renzi presidente su 80 euro e sui reati fiscali.
Con Daria
Bignardi (oggi direttrice di Rai 3) alle Invasioni
Barbariche, dove critica l’immobilismo dell'azione di governo,
continua la sua strategia di rassicurare in pubblico Letta, con
l'hashtag #enricostai sereno.
Ma la realtà,
dietro le quinte, è diversa, alternando interviste piene di critiche
e velate minacce all'esecutivo e rassicurazioni nel non voler andare
al governo (specie senza passare per le urne). Si arriva così allo
sdoganamento ufficiale di Berlusconi, invitato il 18
gennaio al Nazareno, per il famoso patto.
«Nessuno sdoganamento, è uno dei leader dei partiti con cui parlo e parlerò per portare a casa il prima possibile la legge elettorale sulla quale con Berlusconi ho trovato profonda sintonia». E così nasce l’Italicum. Tenuto a battesimo dal pregiudicato Silvio e dallo spregiudicato Matteo.
Che non riguarda
solo la legge elettorale, ma un intero programma di governo:
dall'Italicum, plasmato sui desiderata di Berlusconi e
Renzi (forte premio alla lista, preferenze ai capilista che si
presentano su più collegi), alle leggi sui reati fiscali (e la
soglia del 3% sulla non punibilità), ai nuovi assetti istituzionali
della grande riforma costituzionale, di cui ad ottobre voteremo il
referendum.
Accantonati (o
rivisti al ribasso) i temi che interessano a B. (e agli alleati) come
la legge sul conflitto di interessi, e la riforma della giustizia col
tema della prescrizione.
Continua lo
stillicidio: il 23 gennaio Renzi torna ancora all’attacco: «Letta
stia a Palazzo Chigi ma al governo si dia sprint».
Il 30 gennaio
annuncia che il testo dell’Italicum
(e la maggioranza blindata, allargata a Forza Italia) arriverà in
Senato il 15 febbraio e dovrà passare in prima battuta, dettando
così i tempi a Letta al governo e al Parlamento.
Ancora
rassicurazioni: “dall'ancora sconosciuto «comunicatore»
Francesco Nicodemo: «Matteo a Palazzo Chigi? Solo per via
elettorale»”.
Si arriva a
febbraio e nei primi dieci giorni si conclude l'attacco che, come poi
succederà con Marino, non avviene in Parlamento, alla luce del sole.
Scrive nel suo
libro Davide Vecchi:
Il 13 febbraio la direzione nazionale del Partito democratico approva con 136 sì (16 no e 2 astenuti) una mozione proposta dal segretario in cui si chiedono le dimissioni di Letta e la formazione di un nuovo governo. La stessa direzione approva la nascita[..]Il fatto che un partito (che fra l’altro si autodefinisce democratico) si comporti come un soviet e sfiduci un capo di governo è ovviamente una notizia.
Nei giornali
italiani tutto ciò appare normale: la sfiducia ad un governo
decisa e votata da un partito e non in Parlamento, l'incarico deciso
dal segretario del partito e non dal capo dello Stato (che voleva un
esecutivo in continuità con Letta).
Ma i giornali
stranieri rilevano che qualcosa di importante è successo e che
costituirà un predente:
La tv britannica ricorda che Renzi «non è mai stato eletto in parlamento e non ha un mandato popolare» mentre il quotidiano francese titola: «Renzi, l’uomo che ha fretta».
Renzi l'ex
rottamatore che ha chiamato accanto a se come ministri e
sottosegretari amici della prima ora. Che ha sacrificato Gratteri,
magistrati di vasta esperienza nella lotta alle mafie, perché non
gradito a Napoletano. Renzi che ha costituito un esecutivo con
qualche conflitto di interesse, che una volta sarebbe stato subito
stigmatizzato con Berlusconi: parlo della Guidi, da Confindustria
allo Sviluppo Economico e Poletti, dalle Cooperative al Lavoro.
Nessun
rinnovamento, se non nella facciata.
E le promesse di
non andare a Palazzo Chigi senza passare per le urne?
Chissà, forse i
vari Speranza, Gotor, Bersani, Cuperlo, potranno trovare interessante
la scoperta del Renzi fase uno e rinfacciargli il suo comportamento.
Leggi anche:
- “Il
prezzo di Verdini per il potere” (quando la Boschi cercò il
voto della Lega sulla sfiducia)
La scheda del libro
“Matteo
Renzi, il prezzo del potere” (Chiarelettere)
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