12 giugno 2016

Matteo Renzi. Il prezzo del potere – la guerra di logoramento a Letta

Il presidente del Consiglio nonché segretario entrerà col lanciafiamme nel PD per far fuori le correnti: questo ha dichiarato recentemente in una intervista a Otto e mezzo.
E' nota d'altronde l'insofferenza del segretario del partito che si dice democratico, per le voci contrarie a quella che è la linea del partito stesso, ovvero la sua.
Ci riferiamo a quelle uscite della minoranza PD, che è poi quell'area che comprende gli ex bersaniani, qualche giovane turco sperduto, su Italicum, sul Senato dei non eletti (ma coperti da immunità), sulla personalizzazione del referendum per le riforme costituzionali (il DDL Boschi).

Il partito deve muoversi come un sol uomo, altrimenti come fa ad affrontare i problemi del paese?
Tutto giusto, tutto corretto. Se non fosse che l'attuale linea del PD è passata solo al vaglio della segreteria del partito e non a quello degli elettori che mai gli avevano dato carta bianca per riformare Costituzione e togliere articolo 18 (figuriamoci per far finta di mettere il falso il bilancio e la responsabilità civile dei magistrati).
Ma c'è un'altra cosa: c'è stato un tempo, tra il 2013 e i primi mesi del 2014, in cui è avvenuta all'interno del Partito Democratico una guerra, a colpi di tweet, dichiarazioni sulla stampa, velenosi, pungenti.
Da parte dell'allora minoranza (eh, come cambiano i tempi) renziana.

Lo racconta nella prima parte del suo ultimo libro Davide Vecchi: “Il prezzo del potere”:
Questo libro descrive con fatti e testimonianze dirette di molti protagonisti il vero volto del Renzi premier. Un uomo cinico, politicamente ricattato e ricattabile, chiuso in se stesso e nel suo bunker come i leader a fine carriera” - dalla prefazione dell'autore.

“Il prezzo del potere” è la naturale prosecuzione de L'intoccabile, che terminava con la formazione della squadra di governo di Renzi, quella in cui Gratteri doveva essere ministro della giustizia e che invece vede al suo posto l'ex ministro dell'Ambiente. Dove ministro della riforme siede una giovane avvocatessa alla prima esperienza politica (di peso) e come sottosegretario un ex allenatore di calcio femminile.
Questi tra gli esponenti del giglio magico della prima ora, portati a Roma e piazzati in ruoli chiave.
Ma come si è arrivati al siluramento del governo Letta a febbraio 2014?

E' avvenuto tutto così in fretta che forse nemmeno ce ne siamo resi conto.
Colpa anche della fragilità di quel governo, nato dalla non vittoria del PD e che si reggeva grazie alle larghe intese dell'alleanza PD e PDL (oltre ai casiniani e ai montiani).
Vi ricordare quando alcuni vertici del Viminale furono coinvolti nella rendition della Shalabayeva, la moglie del dissidente Kazako rapita assieme alla figlia da un blitz della polizia?
Chi chiese le dimissioni di Alfano?
E quando uscirono le telefonate del ministro Cancellieri con i Ligresti, che chiedevano un aiuto per la loro situazione personale.
Chi chiese la testa del guardasigilli?
Chi era quel giovane rottamatore per cui mai più larghe intese (quelle di Letta) e che ora governa proprio grazie a queste larghe intese?

Questa era la guerra di logoramento, quella del noi contro voi (come se non fossero entrambi, Letta e Renzi, dello stesso partito).
Dopo la vittoria alle primarie, nel dicembre 2013, la guerra diventa tattica, non più di logoramento.
Lo raccontano le testimonianze raccolte, le intercettazioni delle telefonate col generale della Finanza Adinolfi, agli atti del processo sulla CPL Concordia (per l'inchiesta sulla metanizzazione di Ischia in cui fu coinvolto il sindaco dell'isola).
11 gennaio, giorno in cui compie trentanove anni, Matteo Renzi si lascia andare a confidenze e giudizi su Letta mentre è al telefono con il generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi:A: «È lì il punto! O stare fuori va bene?». […] R: «Sai, a questo punto c’è prima l’Italia, non c’è niente da fare. Mettersi a discutere per buttare all’aria tutto, secondo me, alla lunga sarebbe meglio per il paese, perché lui [Letta, nda] è proprio incapace, il nostro amico. Però…». A: «Niente, Matteo, non c’è niente, dai, siamo onesti». R: «Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace. E quindi… Però l’alternativa è governarlo da fuori».

Governarlo da fuori oppure farlo fuori: c'è un intoppo costituito dal capo, Napolitano, che non vorrebbe far cadere il governo Letta. E che, soprattutto, non vede di buon occhio l'alleanza (già iniziata) di Renzi con Berlusconi, appena decaduto da senatore.
«Poi il numero uno ce l’ha a morte con Berlusconi per cui… E Berlusconi invece sarebbe più sensibile a fare un ragionamento diverso».

Letta offre la possibilità di un rimpasto a Renzi?
E Renzi se ne esce con un suo tweet:
«Parlare di rimpasto è roba da Prima repubblica #chenoia. Vi prego: parliamo di #coseconcrete».

La guerra di logoramento inizia subito a gennaio 2014 (dopo un mese dalle primarie vinte), con la enews di Renzi, pubblicata sul suo sito personale e amplificata da tutti i giornali:
Sulla politica nazionale, penso che sia inutile aspettare le stanche liturgie di sempre, i tavoli, le riunioni di coalizione. Credo sia maturo il tempo di lanciare in modo chiaro e trasparente le nostre proposte perché le altre forze politiche ci dicano la loro. Qualcuno mi ha detto “Scusa Matteo, ti abbiamo votato l’8 dicembre e non hai ancora abolito il Senato e nemmeno hai cambiato la legge elettorale”. Hanno ragione loro. Perché il mandato delle primarie dell’8 dicembre è fortissimo e non accetta compromessi: subito una legge elettorale seria, riforma della politica con tagli per un miliardo di euro, provvedimenti immediati sul lavoro perché torni un briciolo di speranza nel futuro dell’Italia. Bene, allora tiriamo giù le carte. Mi hanno detto: “Matteo almeno aspetta il ponte. Fino all’Epifania stai fermo”. Non scherziamo! Sono vent’anni che la classe politica sta facendo il ponte. Partiamo dai.

In pochi notano il cambio di lessico: gli incontri di governo diventano liturgie e le riforme costituzionali che sarebbero tema del governo e del Parlamento improvvisamente sono di competenza del segretario di un partito.
Di fronte a Letta, che ne intuisce le intenzioni, il segretario è conciliante, ma lo è meno durante le interviste, come con Aldo Cazzullo «Governo avanti ma non così» il 14 gennaio

Renzi, il quadro emerso dal suo incontro con Letta è univoco: accordo fatto, nel 2014 si lavora insieme, rimpasto e codice di comportamento. È davvero così? O si rischia ancora una rottura?
«Non si rischia nessuna rottura. Ma guardiamo la realtà: la popolarità del governo è ai minimi, non ci sono più le larghe intese, né l’emergenza finanziaria. Se uno mi chiede cosa ho fatto da sindaco in questi undici mesi, so cosa rispondere: piazze, asili, pedonalizzazioni. Se mi chiedono cos’ha fatto il governo in questi undici mesi faccio più fatica a rispondere. Per questo motivo bisogna cambiare passo».[..]Mattarellum, sindaco d’Italia, spagnolo: tra le sue proposte quale passerà? «Quella che avrà il consenso più ampio. Che però dovrà comprendere le altre riforme, a cominciare da Senato, titolo V, taglio di un miliardo dei costi della politica. Facciamo un pacchetto unico...». Incontrerà Berlusconi? Non teme che si tiri indietro a un passo dall’accordo, come in passato? «Berlusconi è il leader del principale partito d’opposizione insieme a Grillo. Se serve, lo incontrerò. Per il momento non ne vedo la necessità, proprio perché ancora non ci siamo. Ma non accetto di escludere Forza Italia dalle riforme. Le regole si scrivono insieme anche alle opposizioni e non hanno senso i veti. Di solito mette i veti chi non ha i voti». [..]Esiste l’ipotesi che lei vada a Palazzo Chigi prima delle elezioni?
«A Palazzo Chigi c’è Enrico Letta».
Guardi che c’è il codice di comportamento.
«Ho visto che Letta lo ha proposto in una intervista. Non so di preciso cosa intenda. Escludo che si parli di galateo. Suggerisco il primo articolo: è vietato combinare guai come quello dell’Imu o degli insegnanti o delle slot machine. Questo mi sembra il codice di comportamento migliore: smettere con i pasticci. Però il codice di comportamento a qualche ministro effettivamente servirebbe: occorre più stile».

Anche qui, nessuno fa notare al segretario che erano mesi che non andava a Firenze a fare asili e strade. Che poi i pasticci verranno fatti anche da Renzi presidente su 80 euro e sui reati fiscali.
Con Daria Bignardi (oggi direttrice di Rai 3) alle Invasioni Barbariche, dove critica l’immobilismo dell'azione di governo, continua la sua strategia di rassicurare in pubblico Letta, con l'hashtag #enricostai sereno.

Ma la realtà, dietro le quinte, è diversa, alternando interviste piene di critiche e velate minacce all'esecutivo e rassicurazioni nel non voler andare al governo (specie senza passare per le urne). Si arriva così allo sdoganamento ufficiale di Berlusconi, invitato il 18 gennaio al Nazareno, per il famoso patto.
«Nessuno sdoganamento, è uno dei leader dei partiti con cui parlo e parlerò per portare a casa il prima possibile la legge elettorale sulla quale con Berlusconi ho trovato profonda sintonia». E così nasce l’Italicum. Tenuto a battesimo dal pregiudicato Silvio e dallo spregiudicato Matteo.

Che non riguarda solo la legge elettorale, ma un intero programma di governo: dall'Italicum, plasmato sui desiderata di Berlusconi e Renzi (forte premio alla lista, preferenze ai capilista che si presentano su più collegi), alle leggi sui reati fiscali (e la soglia del 3% sulla non punibilità), ai nuovi assetti istituzionali della grande riforma costituzionale, di cui ad ottobre voteremo il referendum.
Accantonati (o rivisti al ribasso) i temi che interessano a B. (e agli alleati) come la legge sul conflitto di interessi, e la riforma della giustizia col tema della prescrizione.
Continua lo stillicidio: il 23 gennaio Renzi torna ancora all’attacco: «Letta stia a Palazzo Chigi ma al governo si dia sprint».
Il 30 gennaio annuncia che il testo dell’Italicum (e la maggioranza blindata, allargata a Forza Italia) arriverà in Senato il 15 febbraio e dovrà passare in prima battuta, dettando così i tempi a Letta al governo e al Parlamento.
Ancora rassicurazioni: “dall'ancora sconosciuto «comunicatore» Francesco Nicodemo: «Matteo a Palazzo Chigi? Solo per via elettorale»”.

Si arriva a febbraio e nei primi dieci giorni si conclude l'attacco che, come poi succederà con Marino, non avviene in Parlamento, alla luce del sole.
Scrive nel suo libro Davide Vecchi:
Il 13 febbraio la direzione nazionale del Partito democratico approva con 136 sì (16 no e 2 astenuti) una mozione proposta dal segretario in cui si chiedono le dimissioni di Letta e la formazione di un nuovo governo. La stessa direzione approva la nascita[..]Il fatto che un partito (che fra l’altro si autodefinisce democratico) si comporti come un soviet e sfiduci un capo di governo è ovviamente una notizia.

Nei giornali italiani tutto ciò appare normale: la sfiducia ad un governo decisa e votata da un partito e non in Parlamento, l'incarico deciso dal segretario del partito e non dal capo dello Stato (che voleva un esecutivo in continuità con Letta).
Ma i giornali stranieri rilevano che qualcosa di importante è successo e che costituirà un predente:
La tv britannica ricorda che Renzi «non è mai stato eletto in parlamento e non ha un mandato popolare» mentre il quotidiano francese titola: «Renzi, l’uomo che ha fretta».

Renzi l'ex rottamatore che ha chiamato accanto a se come ministri e sottosegretari amici della prima ora. Che ha sacrificato Gratteri, magistrati di vasta esperienza nella lotta alle mafie, perché non gradito a Napoletano. Renzi che ha costituito un esecutivo con qualche conflitto di interesse, che una volta sarebbe stato subito stigmatizzato con Berlusconi: parlo della Guidi, da Confindustria allo Sviluppo Economico e Poletti, dalle Cooperative al Lavoro.
Nessun rinnovamento, se non nella facciata.
E le promesse di non andare a Palazzo Chigi senza passare per le urne?

Chissà, forse i vari Speranza, Gotor, Bersani, Cuperlo, potranno trovare interessante la scoperta del Renzi fase uno e rinfacciargli il suo comportamento.

Leggi anche: 
“Il prezzo di Verdini per il potere” (quando la Boschi cercò il voto della Lega sulla sfiducia)

La scheda del libro “Matteo Renzi, il prezzo del potere” (Chiarelettere)


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