MARTEDÌ
Luigi Carpineti, in ginocchio sulla sedia, contemplava la strada dalla finestra del tinello della sua abitazione di via Guido Reni. Era un bambino di dieci anni, obbediente e riflessivo, che frequentava con ottimi risultati la quinta elementare di viale Romagna.[..]In quel pomeriggio di inizio febbraio del 1948, aveva trascorso molto più tempo del solito a contemplare la strada.
A Milano la neve era caduta durante tutta la notte precedente e aveva smesso solo a metà mattina, lasciando la città imbiancata.
C'è un bambino
affacciato alla finestra in via Reni, a Milano: è a casa da solo,
perché i genitori lavorano. Osserva, con un pizzico di malinconia i
bambini che possono giocare per strada e anche le persone che
camminavano sui marciapiedi ancora piene di neve..
Fu così che vide comparire dal portone di fronte alla sua casa un giovane che, appena messo piede fuori dall’androne, scivolò e rischiò di cadere, salvo poi riprendere il controllo annaspando un poco con le braccia.[..] Luigi continuò a seguirlo con lo sguardo mentre si dirigeva verso l'angolo della via, sperando in cuor suo di vederlo nuovamente in difficoltà.Fu così che nel suo campo visivo entrò un uomo che stava appoggiato a un muro, poco prima dell’incrocio, me nani sprofondate nelle tasche del cappotto, un cappello ben calzato sul capo, il bavero rialzato a proteggersi dal freddo.
Appena sorpassato dal giovane l’uomo si mosse con rapidità, malgrado zoppicasse in modo appariscente e si avvicinò all’altro, che non lo aveva notato. Adesso gli stava alle spalle e Luigi pensò: Stai a vedere che gli fa uno scherzo, lo spinge e lo butta a terra.Invece sentì due esplosioni consecutive, simili a quelle dei mortaretti quando vengono lanciati per festeggiare la fine dell'anno. Solo al secondo colpo si accorse che l'uomo aveva tolto le mani dalle tasche e vide come un piccolo lampo di luce sprigionarsi tra i due.Il giovane cadde in avanti, bocconi sulla strada. L'uomo che zoppicava si curvò su di lui come per soccorrerlo, invece ci fu un'ulteriore esplosione, un nuovo lampo di luce e il corpo del caduto ebbe come un sussulto. Lo zoppo infilò di nuovo le mani in tasca, raggiunse senza fretta l'incrocio, svoltò verso sinistra e scomparve alla vista del bambinio.
Milano, gli ultimi mesi di inverno
freddo, nevoso, come quelli che c'erano una volta a Milano.
L'Italia si appresta alle elezioni, le
prime dall'Italia liberata, dell'aprile 1948: come nelle altre città
del paese, anche nella Questura centrale (dove è stato da poco
trasferito il commissario Maugeri, precedentemente al commissariato
di città studi) seguono con attenzione la campagna elettorale, gli
scioperi, le manifestazioni..
Oltre a questo, ci sono due grossi
inchieste in mano agli investigatori della Questura: una serie di
rapine che colpiscono le gioiellerie del centro e che seguono un
medesimo canovaccio:
“..pensiamo che si tratti di una banda che viene da fuori Milano e ritorna da dove è venuta per smerciare i gioielli. La tecnica della rapina è sempre la stessa: uno entra nel negozio e il complice attende fuori”.
Un primo rapinatore che con la scusa di
chiedere informazioni su alcuni preziosi, stende il commesso e ruba
i gioielli e fuori il complice che lo attende su una moto di grossa
cilindrata. Una Gilera 500.
E poi c'è il delitto di via Reni:
Ignazio Esposito, nipote dell'agente Esposito, ucciso con due colpi
di pistola alle spalle e poi finito con un colpo di grazia:
– Tre colpi – disse il dottore di fronte allo sguardo interrogativo di Maugeri. – Tutti a bruciapelo. Due nella schiena e uno alla nuca. Un’esecuzione.
Da un assassino che si è poi
allontanato a piedi, con calma. Zoppicando.
Un omicidio, i furti e un giovane
testimone: il bambino che dal tinello ha visto tutta la scena del
delitto, compreso lo zoppo che si china sul corpo per esplodere
quell'ultimo colpo.
Questi sono i due casi, ben distinti,
affidati al commissario Maugeri e il suo ispettore Valenti.
Casi ostici e per motivi ben diversi:
la serie di rapine sta suscitando forti polemiche nei confronti delle
forze dell'ordine, per la richiesta di sicurezza da parte dei
gioiellieri.
L'omicidio del giovane, invece, è
enigmatico per il modo in cui si è completato: il ragazzo era
impiegato come autista per la Banca Commerciale Italiana, era in
procinto di sposarsi. Non aveva mai avuto problemi con la legge ..
Lo zio, agente al commissariato di
Città Studi, racconta un particolare interessante a Maugeri: Ignazio
aveva chiesto di parlargli, per una questione importante, il giorno
prima di essere ucciso.
I suoi colleghi poi, raccontano al
commissario dei sospetti del morto di essere seguito, mentre era al
lavoro da una Topolino nera, col parafango scassato.
C'è un altro particolare che si
aggiunge agli altri: un venerdì pomeriggio si era imbattuto, andando
in una filiale della banca in via Monte di Pietà, in una persona che
credeva di aver riconosciuto, fuori dal banco dei pegni.
Persona che poi, avvicinandosi, lo
aveva minacciato.
“Se continui a fissarmi ti rompo tutti i
denti…”.
Chi aveva interesse a seguire e poi a
uccidere un ragazzo apparentemente così per bene?
Cosa ci faceva lungo quella via, quel
giorno in cui si era assentato dal lavoro chiedendo un permesso?
Gli indizi portano ad uno stabile, in
via Reni 9, da dove Ignazio è stato visto uscire pochi attimi prima
di essere ucciso.
Ma nessuno in quello stabile sembra di
esser d'aiuto alle indagini: la portinaia si è dovuto assentare,
nello studio di un avvocato quel ragazzo non è stato mai visto.
Nello studio a fianco, di un dentista,
stessa risposta dal medico, chissà forse l'odontotecnico, che in
quel momento è assente..
L'impressione, a Maugeri e Valenti, è
che il ragazzo, senza volerlo, “abbia calpestato, senza volerlo, un
bel nido di vipere”.
Piccoli tasselli dell'inchiesta
iniziano a mettersi assieme per costruire un quadro incredibile,
tutto da dimostrare.
Strani traffici vengono scoperti una
sera proprio in via Reni.
La portinaia Adelina, che aveva
pure una condanna alle spalle (condanna di cui si erano perse le
tracce nell'informativa della Questura quando fu assunta) viene poi
trovata morta lungo i naviglio di ripa di porta ticinese.
L'odontotecnico, un ragazzo biondino
che era stato visto assieme alla portinaia, sparisce anche lui.
Su un foglio, il povero Ignazio aveva
segnato il numero di targa della Topolino, 0088, ma è un numero
“particolare”.
Cosa lega tra loro Adelina, lo zoppo,
il biondino slavato?
Tutte quelle morti, tutta quella
violenza, anche brutale, il misterioso uomo che zoppica: il legame
tra i protagonisti di questa storia porta agli ultimi anni del
fascismo, alla Repubblica di Salò, fino ad arrivare dentro il corpo
di polizia.
“C'è del marcio in Danimarca”,
si trova a pensare Maugeri che, in quegli anni bui della nostra
storia, era dalla parte dei partigiani.
– Allora lei pensa che questa storia nasconda implicazioni politiche?
– Può darsi di no. Magari sono solo vecchi camerati che si rimettono insieme per fare qualcosa. Ma, come ha detto lei, rapinare gioiellerie non è servire la patria.
Milano 1948 è il terzo romanzo di Fulvio Capezzuoli con protagonista il commissario Maugeri: tutti e tre sono ambientati nella Milano del dopo guerra, una città dove le macerie dei bombardamenti ricordavano a tutti quanto recenti fossero le ferite della guerra.
Ricordi che il commissario porta ancora
dentro sé, per la guerra partigiana, i cui ricordi man mano emergono
in questi romanzi.
Ci troviamo nei primi anni della
Repubblica, quando la democrazia iniziava a camminare sulle sue gambe
incerte, nei mesi precedenti le elezioni
politiche del 1948, con lo scontro tra il fronte popolare dei
partiti di sinistra e i partiti anticomunisti dall'altra, di cui
Maugeri è testimone.
Uno scontro che qualcuno intende
strumentalizzare, per riaccendere quel fuoco, quelle tensioni che la
fine della guerra e la democrazia avrebbe dovuto spegnere per
sempre.
Nel romanzo, oltre all'indagine sulle rapine e sui delitti, trova un piccolo spazio anche la vita privata del commissario, le difficoltà nel conciliare il lavoro e l'essere padre e marito.
Nel romanzo, oltre all'indagine sulle rapine e sui delitti, trova un piccolo spazio anche la vita privata del commissario, le difficoltà nel conciliare il lavoro e l'essere padre e marito.
C'è spazio per raccontare la Milano
che era, prima del boom immobiliare e prima della ricostruzione: i
navigli ancora navigabili:
“Ricordava con nostalgia quelle giornate che gli orrori del conflitto non avevano ancora contaminato, si rivedeva a guardare le chiatte che risalivano la corrente”.
Vicolo dei Lavandai (immagine presa da Wikipedia) |
I navigli dove, fino a pochi decenni fa
si lavavano ancora i panni. Anzi, il
vicolo dei lavandai si chiama così perché una volta quel
mestiere era un lavoro da uomini:
“nel 1700, e anche per buona parte del secolo scorso, erano gli uomini che, svolgendo l’attività di domestici presso le famiglie nobili, portavano qui la biancheria dei loro padroni e la lavavano”.
Il Booktrailer del libro
I precedenti romanzi
La scheda del libro sul sito di Todaro
Editore
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