In occasione dell'anniversario della
nascita, mi sono fatto una personale rassegna cinematografica dei
film del regista Dino
Risi (in attesa che magari un giorno siano trasmessi in prima
serata dalla Rai).
Cominciando da due film, meno noti
degli altri: La
marcia su Roma del 1961 e In
nome del popolo italiano del 1971, entrambi con
protagonisti Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi.
Il primo film è il racconto della
marcia su Roma, il tentativo di colpo di Stato usato da Mussolini per
fare pressioni sul re per entrare a Palazzo Chigi, dalla porta
principale e non marciando assieme alle squadracce.
Domenico Rocchetti (Gassmann) e Umberto
Gavazza (Tognazzi) sono due reduci della guerra: il primo sopravvive
scroccando qualche lira ai passanti fingendo di essere ex
commilitoni, il secondo è un contadino senza lavoro, che vive mal
sopportato sulle spalle del cognato.
Siamo nel 1919 e in via San Sepolcro è
appena nato il partito fascista, con a capo l'ex socialista Benito
Mussolini: nel piano delle riforme è previsto il passaggio alla
repubblica, la libertà di stampa, la fine dei titoli nobiliari, la
terra ai contadini, le libere elezioni ..
Più per scroccare un pasto che per
vera convinzione, Rocchetti entra in una delle “squadracce” e, in
campagna fuori Milano incontra Gavazza.
Sono gli anni in cui le squadracce
venivano usate per mostrare come il fascismo avrebbe ripristinato
l'ordine, per esempio prendendo il posto dei netturbini in sciopero.
Finiti in carcere dopo uno scontro con
la polizia, vengono liberati dai camerati che irrompono a San Vittore
(il prefetto di Milano, fascista, aveva lasciato campo libero).
Siamo nel 1922 e si prepara la marcia
su Roma che vedremo raccontata con gli occhi di questi due
disgraziati che, man mano che scendono sulla capitale, hanno modo di
ricredersi sulle presunte “riforme” del fascismo.
Niente libertà di stampa, visto che
bruciano le tipografie che stampano giornali di sinistra.
Niente libere elezioni, visto che nel
1919 le hanno perse e la prossima volta si faranno a modo nostro.
Niente terra ai contadini e niente
abolizione dei titoli nobiliari, visto che i latifondisti e i nobili
sono i finanziatori dei gerarchi fascisti.
Riusciranno, come eroica impresa, a far
bere un bicchiere di olio di ricino al magistrato in pensione che li
aveva fatti condannare anni prima, ricevendone però una lezione di
dignità e di civiltà.
Arriveranno anche loro a Roma: ma
almeno butteranno giù il re Mussolini e i suoi gerarchi?
“ma mica possono dare il governo a
gente così, vedrai che ora le cose cambiano da così a così”
dice Gavazza ..
Mentre dal palco, il registra fa dire
al re, parlando al suo aiutante di campo
«Ammiraglio, spassionatamente, cosa ne pensa di questi fascisti? Crede che mettiamo il paese in buone mani? Mi dica fuori dai denti qual è il suo parere, perché siamo ancora in tempo a sbatterli fuori, néh!», «Spassionatamente, Maestà, mi sembra gente seria.» «Ma sì, proviamoli per qualche mese!»
Nel film In nome del popolo
italiano siamo in piena democrazia, nei primi anni '70: il
giudice istruttore Bonifazi (Tognazzi) è uno di quei magistrati che
all'epoca venivano chiamati pretori d'assalto, perché si
permettevano di aprire fascicoli contro nomi importanti
dell'industria e dell'imprenditoria.
Per esempio contro gente come il dottor
Santenocito, presidente di una azienda di plastiche che inquina il
tratto di mare dove il giudice va a pescare. Ma anche costruttore
edile molto ammanicato con la politica, uno di quei capitani di
industria che ogni anno prendono premi per il loro lavoro.
Il nome di Santenocito viene fuori in
un caso di cui si occupa Bonifazi: una ragazza venuta dal paese a
Roma, grazie alla raccomandazione del dottore e che a Roma faceva la
escort di lusso per aiutare quegli incontri di affari che si chiudono
meglio a tavola che non negli uffici. E ancora meglio si chiudono a
letto.
Come si vede, questo paese non è
cambiato molto da allora.
L'indagine di Bonifazi punta su
Santenocito, sull'alibi della sera in cui la ragazza è morta,
avvelenata e con segni di percosse sul corpo.
Dopo un primo tentativo di sfuggire
alla macchina della giustizia, l'industriale cerca poi di comprarsi
la benignità del giudice, invitandolo a pranzo, ammiccando,
strizzando l'occhio ..
Con Bonifazi non funziona: sotto una
pioggia battente, l'industriale accusa il giudice di essere prevenuto
nei suoi confronti, di non essere un buon giudice.
Forse ha ragione: il giudice vede in
quell'industriale il simbolo di tutti i mali dell'Italia. I mari
inquinati, le strade che crollano, la speculazione edilizia, la
corruzione per le opere pubbliche, un sistema corrotto che va avanti
solo grazie alle relazioni con cui si protegge da servitori dello
stato come Bonifazi.
Tutto questo esplode nel finale,
evocativo, dove, duranti i festeggiamenti per la vittoria dell'Italia
sull'Inghilterra, Bonifazi continua a rivedere Santenocito in mezzo
alla folla, una volta come tifoso, una volta come paracadutista (che
canta la canzone di Giarabub), un'altra vestito da prostituta ..
In man ha le prove della sua innocenza,
non ha ucciso la ragazza. Le prove vengono gettate nelle fiamme di
una macchina incendiata dai tifosi ..
Il ritratto degli italiani.
In questi due film Dino Risi ha
raccontato il carattere di noi italiani: quello cialtrone e
opportunista di sbandati come le due camice nere, la vera natura del
fascismo all'italiana, prepotente coi deboli e connivente coi
potenti. L'inettitudine delle classi dirigenti, del re in prima
persona e di parte degli intellettuali (uno dei personaggi è un poeta che ricorda vagamente il D'Annunzio), la facilità con cui noi italiani ci facciamo abbindolare
dall'uomo forte, quel bisogno di ordine che viene usato come
maquillage affinché nulla cambi, nelle classi dirigenti italiane.
E, nell'altro film, l'impossibilità da
parte di un magistrato, da parte delle stesse istituzioni, di fare
giustizia in un modo che, così corrotto, non si può risolvere se si
rispettano le leggi stesse.
Il crollo del palazzo di Giustizia a
Roma, è metafora di un paese in cui è perennemente a rischio la
tenuta delle istituzioni, dove le tangentopoli si susseguono,
decennio dopo decennio.
"La corruzione è l'unico modo per sveltire gli iter e quindi incentivare le iniziative: la corruzione, possiamo arrivare a dire paradossalmente, è essa stessa progresso".
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