Camilleri torna a mischirare mito e storia in un racconto che ha come protagonisti Nino e Minica, lui casellante della linea ferroviaria Vigata Cannelle, lei premurosa moglie.Una vita modesta, nella Vigata del 1941-42, con la guerra che si sta avvicinando ma gli alleati sono ancora lontani.
Col fascista del paese, il cavaliere Ingargiola, che ancora può sfoggiare fiero la camicia nera e denunciare i nemici del regime.
Se in "Maruzza Musumeci" compare il mito delle sirene incantatrici, donne bellissime che mutano il loro corpo per compiere l'abbraccio col mare da cui sono originate, cui è un'altra, più atroce mutazione, quella raccontata.Il desiderio di figliare, frustrato dalla violenza dell'uomo prima e dalla guerra poi, portano Minica alla pazzia, col desiderio di mutare in "arboro", con tanto di radici nella terra e frutti da generare.
La natura come luogo dove nascondersi dalla realtà, per sfuggire alle meschinità dell'uomo (il fascismo, la guerra, il potere dei signori che contano, il mercato nero di chi si approfitta della miseria) dunque.
Un "cunto" dai mille richiami, che parla di dolore, pazzia, amore, miseria, serenate e sonate.
Scrive Salvatore Nigro, nell'introduzione:
"Camilleri è il cronista, il favolista e il mitografo della comunità vigatese. Racconta di Minica e di suo marito, il casellante Nino Zarcuto. Della loro modesta vita nella solitaria casetta gialla, accanto a un pozzo e a un ulivo saraceno: in mezzo a un paesaggio arcigno, blandito dal vicino mare e dalla luce. Vogliono la grazia di un figlio, i due casellanti. Si prodigano. Ma la violenza è un gorgo voraginoso, che risucchia i due coniugi. Il dolore è atroce, straziante. Pietrifica. Minica è una Niobe, ora in un’umile mitologia rusticale. Ha per occhi due laghi traboccanti. Vuole essere madre tuttavia. È ostinata. Una fantasticheria vegetale le fa credere di poter diventare albero. Di mettere radici e di dar frutti, dopo essere stata innestata. Il marito l’asseconda, amoroso e sollecito. Il figlio arriva infine, come arrivano i miracoli: donato dagli scrolloni della morte e della guerra. Camilleri si apposta negli svolti della tragedia. E aspetta il lettore, con una candela accesa in mano. "
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