14 luglio 2010

La colata di Andrea Garibaldi, Antonio Massari, Marco Preve, Giuseppe Salvaggiuolo e Ferruccio Sansa

La colata: il partito del cemento che sta cancellando l'Italia e il suo futuro.

Il lungo viaggio atttraverso l'Italia, iniziato col piano casa (che non c'è) subito adottato dalle regioni, finisce a Cassinetta di Lugagnago, dal sindaco con i baffi alla D'Artagnan Finiguerra.
"Il rispetto per la terra l'ho imparato da mio nonno contadino. Stando con lui ho visto come è dura la lavorare la terra. L'aratura, la semina, il raccolto. La terra non si riproduce: altro che opzione, bisognerebbe chiamarla necessità zero cemento".

Eh, sì: perchè a Cassinetta non si usa più nuovo terreno per costruire, ma le imprese di costruzione (che continuano a lavorare) nei cantieri "recuperano volumi esistenti e aree compromesse".
Niente opere faraoniche, autostrade a 4 corsie o palazzi a forma di tortiglione, ma solo opere necessarie per il comune, finanziate tramite un aumento di 1 punto % dell'Ici sulla seconda casa.

E' un modello, quello dello zero cemento, applicabile al resto del paese, dalle Alpi alla Sicilia: forse. Di certo, l'attuale modello non lo è.
Leggendo di tutti i paesi sconosciuti dello stivale, delle dolci colline senesi alle coste sarde, viene una rabbia a sapere che sono a rischio perchè qualcuno ha deciso che lì deve sorgere un mega centro commerciale, deve passare un'autostrada, uno stadio (con annessi e connessi), resort per pochi e fortunati vip (con conto all'estero).

Il partito del cemento è perfettamente trasversale (come dimostrano i casi Penati a Milano): vi fanno parte amministratori locali col doppio ruolo di controllori e controllati delle opere che progettano, grandi costruttori che frequentano felici i palazzi della politica, banchieri (anche qui nel doppio ruolo di finanziatori e finanziati), perfino monsignori (perchè come diceva quel tale, non basta un'ave maria).
Ecco, queste persone hanno oggi in mano la sopravvivenza del nostro ambiente.
Dietro a parole come sviluppo sostenibile, promesse di posti di lavoro (per pochi anni, dequalificati e a paghe basse), di introiti per le casse comunali (oggi a secco, per i tagli dei finanziamenti dallo stato centrale), di rivalutazione e conservazione dell'ambiente, si nasconde una realtà diversa.
Una realtà di speculazioni: in Italia è il privato che compra i terreni e che decide come e dove costruire, non la politica. Come a Roma, dove enormi quartieri dormitorio stanno sorgendo ben lontani dal centro. E i servizi? E i mezzi pubblici? Quelli li deve costruire il pubblico, mica il privato che però è riuscito (grazie alle sue azioni di lobby) a cambiare la destinazione d'uso.

Ma anche a Milano sta succedendo la stessa cosa: i milanesi sono scacciati fuori dalla città dai prezzi troppo alti, ma devono comunque sobbarcarsi un lungo viaggio verso l'area metropolitana per poter lavorare.

Quali sono gli interessi per tutte le autostrade in cantiere, in Lombardia e nel paese? La Mestre civitavecchia, la Livorno Civitavecchia, la Piemonte Liguria (l'autostrada di Scajola, l'hanno ribattezzata, non gli bastava un aeroporto).
Snellire il traffico, migliorare la vita dei pendolari (diminuendo i tempi di viaggio)? O forse garantire enormi profitti alle (poche) grandi imprese che lavorano in project financing (ma si sa che non è vero che i progetti in Italia si pagano da soli e il caso della TAV lo dimostra)?

E chi trae profitto dal business delle seconde case sulle Alpi? Il paesaggio, gli abitanti dei piccoli paesi (sempre più spolati)? O solo e soltanto le imprese che costruiscono case che rendono il panorama tutto uguale.

E che dire dei progetti di nuovi stadi (grazie ad una proposta di candidare l'Italia agli europei del 2016)? Degli autodromo che si vogliono costruire ovunque (quando a San Marino han chiuso)?
Sono tutti progetti in cui i costi ricadono su di noi, e i benefici nelle tasche di pochi.
E una volta che si è costruito, si è costruito e basta. Il cemento distrugge: quel Veneto raccontato da Zanzotto e Meneghello, di campi e verde non esiste più. Ucciso dai progetti di "Città della moda", "Veneto city", la nuova Romea.
Un territorio cementificato perde di valore per il turismo, per l'agricoltura (dove faranno la pubblicità quelli del Mulino Bianco?), per le piccole imprese e gli artigiani, strozzati dai mega centri commerciali e dagli outlet. E anche dalle polveri sottili.
Il nostro territorio è quanto lasceremo in eredità a chi viene dopo di noi.
Anche per questo, ci sono enti, associazioni, comitati, persone che dicono no.
Che non accettano che altre persone vengano da fuori ad imporre un progetto e un modello di vita (peggiore).
Non è l'effetto Nimby, che ogni volta viene tirato fuori dai sostenitori del cemento e delle grandi opere (nel paese dei terremoti, delle frane, degli alluvioni e delle scuole non a norma).
E' l'amore e il rispetto per il territorio, per le tradizioni (i mestieri), la cultura. Non è la solita storia del "come si stava bene una volta".
Ma il fatto che ogni fine settimana milioni di persone lascino, scappino da Milano, qualcosa vorrà pure dire.
Se a Cassinetta c'è il sindaco Finiguerra, nel resto del paese ci sono persone come Giovanni Losavio a Modena, Benito Cocchi (vescovo), Mattia Donadel, Daniele Zauli, Massimo Andreis Allamandola , Stefano Sibila ...

Non è un caso che oggi in Parlamento sia stata presentata un proposta di legge (da parte dell'onorevole Scandroglio) che prevede l’obbligo di risarcimento dei danni alle istituzioni o enti privati da parte delle associazioni ambientaliste che perdono un ricorso al TAR.
Non è un caso che oggi, con la crisi, si senta parlare solo e soltanto delle grandi opere, del piano case (fatto su misura per i grandi costruttori), della deregulation nella manovra di Tremonti per costruire supermercati e capannoni.
E le piccole imprese? I commercianti costretti a chiudere? Gli allevatori, gli agricoltori? Le imprese e le famiglie che vivono col turismo (sostenibile)?

C'è un'Italia bella, tutta da scoprire, che non aspetta altro che essere visitata. Ed è l'Italia nostra, di tutti.

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