30 dicembre 2016

Il cuore del potere, di Raffaele Fiengo

Il Corriere della Sera nel racconto del suo storico giornalista.

Leggendo il libro di Raffaele Fiengo sui quasi cinquant'anni di storia del Corriere, si comprende come la parola “cuore” nel titolo abbia qui una duplice valenza.
Il cuore, ad indicare la passione con cui il giornalista, e anche rappresentante sindacale, ha svolto il suo lavoro di giornalista, non un lavoro qualsiasi, a qualsiasi prezzo per un giornale qualsiasi.
Ma cuore è inteso anche nel senso di parte centrale nel potere: una democrazia è veramente tale se i suoi cittadini sono persone informate, libere, consapevoli dei diritti e con tutti gli strumenti a disposizione per giudicare chi governa.
L'informazione sta alla democrazia come il famoso canarino della metafora di Gore Vidal, che avvisa il minatore quando l'aria non è più respirabile.
Questo spiega l'importanza di una libera informazione e, di riflesso, i continui attacchi subiti dal Corriere stesso, nel corso della sua vita: ai tempi del primo fascismo, quando direttore del giornale era Luigi Albertini, ma anche gli attacchi più recenti, che costarono la testa del direttore Ferruccio De Bortoli (due volte), per gli attacchi da Palazzo Chigi.

Ma gli attacchi possono avvenire anche in modo più subdolo, come quando dentro il Corriere si allungò l'ombra della Loggia P2 di Licio Gelli. Quando l'indipendenza del direttore e dei giornalisti fu messa in discussione, quando la proprietà vera del giornale si discosta da quella ufficiale, grazie a giochi societari, azioni passate da una mano all'altra.

Per difendere questa indipendenza, che è anche la nostra garanzia come cittadini, Raffaele Fiengo si inventò nel 1973 la “società dei redattori” all'interno del gruppo:
aveva la forma di una «società a responsabilità limitata», una SRL. Ogni giornalista entrava pagando una cifra simbolica, 5000 lire. Attraverso una possibile intesa con Giulia Maria Crespi [l'editore nei primi anni '70], i redattori avrebbero potuto prendere una quota nominale della proprietà per ancorare la valutazione giornalistica alcuni atti dell'amministrazione che potevano essere significativi per il giornale”.

Nel 1974, assieme al nuovo direttore Piero Ottone (che aveva preso il posto di Giovanni Spadolini, “licenziato come un lacché” dalla proprietaria Giulia Maria Crespi) vede luce lo “statuto dei giornalisti”:
un documento formale, il primo di questo genere in Italia, in cui la proprietà del giornale – e, in quella fase storica, quando si parla di proprietà si parla anche di editore – mise per iscritto un impegno ad accettare la consultazione preventiva nella nomina dei direttori”.

Erano gli anni in cui si assisteva ad una guerra per prendersi i giornali in Italia: sul Corriere si estendevano le mire di Cefis e della sua Montedison, una figura che faceva poco piacere a giornalisti come Fiengo, che già possedeva Il Messaggero a Roma.
Gli Agnelli possedevano la Stampa (detta la bugiarda, sebbene la famiglia Agnelli abbia sempre dato garanzie di libertà ai suoi direttori).
Il gruppo Sir di Rovelli si comprava La Nuova Sardegna.
Attilio Monti aveva Il resto del Carlino e La Nazione a Firenze..

Le mire di Cefis vengono bloccate nel 1973 quando nel capitale entrano Agnelli e Moratti, sulla prima pagina del 29 maggio 1973 si potevano leggere i comunicati dell'editore Crespi, il comunicato del Comitato di Redazione e un editoriale “Liberi come prima”: è la famosa Magna Charta, dove veniva messo nero su bianco “indipendenza delle pubblicazioni e dei giornalisti da ogni gruppo di pressione”.

Se un giornale è libero da condizionamenti è più forte sul mercato, specie oggi quando le informazioni arrivano da tutte le parti anche gratuitamente: per essere credibile, deve dare informazione di qualità, sia su carta che sulla rete.

Credibile in che senso?
Sono gli anni della conduzione del liberale Ottone, in cui sulle pagine del Corriere compaiono in serie gli articoli di Pier Paolo Pasolini (“Io so ..”, “Perché un processo..”...), la serie di inchieste di Giampaolo Pansa sui padroni della città e il clientelismo al sud dei signori dei voti (Gava, De Mita).
Sebbene l'articolo Che cos'è questo golpe fosse rimasto nel cassetto del direttore Ottone per diversi giorni, alla fine fu pubblicato, anche per le insistenze di Fiengo, che procurò al direttore un articolo di Prezzolini per pareggiare i conti.

L'arrivo dei Rizzoli.
Nel 1974, oltre all'uscita dal Corriere di Montanelli (assieme ad un gruppo di giornalisti), si registra l'ingresso nel Corriere dell'editore Rizzoli, che subentra alla Crespi come proprietario, ma, lo si scoprirà poi, è solo una questione di facciata. Dietro ci sono i soldi della Montedison.
Come si scoprirà poi che, nell'accordo tra Rizzoli e Montedison scoperto da Fiengo mentre era consulente della Commissione P2, si stabiliva che Rizzoli Spa “si impegna a nominare il responsabile del settore economico del Corriere in persona gradita a Montedison”.
Non solo, Fiengo, scopre che il Corriere si impegnava a sostenere “l'attività industriale e commerciale di Montedison Spa e dell'interno del gruppo..”.
Altro che indipendenza.

Gli anni della conduzione di Franco di Bella, degli articoli firmati da Maurizio Costanzo, delle notizie dal sudamerica che spariscono. Delle autointerviste a Craxi e dell'intervista a Licio Gelli, preparata come un pacchetto tutto compreso coi sottotitoli da Costanzo.
Gli articoli firmati da Silvio Berlusconi e presentati come un qualsiasi editoriale economico finanziario.
Come è stato possibile che non ci siamo accorti di quanto stava avvenendo – questa la giusta riflessione di Fiengo (e di altri giornalisti come lui in quegli anni in redazione).

Gli articoli che, con tono di sfiducia, tendevano a raccontare in modo espressamente negativo scuola e sanità. Gli elogi ai generali e all'esercito, che venivano presentati come moderni manager tesi a salvare le vite umane dopo il terremoto in Irpinia o a riportare la democrazia in Argentina.
E anche altri episodi che letti con calma, fanno venire la pelle d'oca: le telefonate di Fiengo che venivano registrate a sua insaputa, Antonio Padellaro che fu scortato da uomini di Gelli dopo una serie di articoli pubblicati sul sequestro Moro.

Nessuno si accorse dell’inquinamento sotterraneo che stava inficiando l’autorevolezza del Corriere: fino all'inchiesta dei magistrati Turone e Colombo, la perquisizione a Villa Wanda, la scoperta delle liste dei membri della Loggia P2, quei 963 nomi in cui comparivano generali, banchieri, giornalisti (tra cui Costanzo, Trecca e il direttore Di Bella), politici, imprenditori (come Berlusconi), ministri ….
Lista che venne pubblicata anche dal Corriere, si, ma con quei nomi messi uno accanto all'altro, senza una classificazione che aiutasse il lettore, un modo per dare la notizia ma renderla illeggibile.
Di Bella che era il capo cronista già citato da Fiengo per Piazza Fontana: era lui, assieme a Zicari, che aveva portato al Corriere dell'informazione la pista del ballerino anarchico, Pietro Valpreda, come autore della strage. Il mostro sbattuto in prima pagina...

Il dopo Di Bella, fu affidato al collega Alberto Cavallari che, per le cronache relative alla P2, decise di affidarsi ai lanci dell'agenzia Ansa:
Per decisione del nuovo direttore, e con il consenso dell’organismo rappresentativo dei giornalisti, questo lavoro quotidiano fu svolto dall’Ansa, in quanto la si riteneva più libera, non condizionata, rispetto allo stesso Corriere della Sera”.
Una scelta difficile che testimonia delle difficoltà del giornale in quei mesi, in quei anni.

Da Cavallari ad Ostellino e poi a Ugo Stille: nel 1998 fino all'arrivo come presidente di RCS al posto di Ronchey, anche grazie ai soldi della generosa buonuscita dalla Fiat, 105 miliardi di lire in contanti, che gli consentono di dire ai giornalisti “La garanzia dell'indipendenza del Corriere della Sera sono io!”.
Non a caso, il capitolo dedicato a questi anni si chiamaIl giornalismo in cerca di sé stesso”, dopo lo scandalo P2: nuovi modelli che sono quelli ispirati al modello liberale di cui parlava Luigi Einaudi.
La chiave del giornalismo è la sua indipendenza: indipendenza garantita da un comitato di fiduciari
composto da uomini di provata stima – con l'obbligo di approvare o meno la nomina di nuovi direttori e ogni trasferimento di azioni, assicurando in tal modo l'avvenire dei giornali.”.

Qualcosa di non molto lontano dal modello che lo stesso Raffaele Fiengo aveva in mente, lui che veniva considerato dagli avversari capo del “Soviet del Corriere della Sera”.
Anche in anni più recenti non sono mancati gli attacchi, contro l'ex direttore De Bortoli, dimissionario due volte da direttore nel 2003, il primo (per mano delle pressioni del secondo governo Berlusconi), il secondo nel 2015 per le pressioni del governo Renzi dopo un editoriale dove parlò dello stantio odore massonico nel suo governo.

La seconda parte del libro è invece dedicato al presente del mondo del giornalismo. Quali sono le forze in campo che si scontrano, con obiettivi diversi: il difficile rapporto con la pubblicità, l'informazione di confine, cioè quella pubblicità che viene presentata dai giornali come se fossero articoli comuni.
La difficoltà nel tenere separata la newsroom dal marketing, con quel muro (“the wall”): Fiengo cita diversi casi, come le pagine comprate dalle aziende dolciarie per difendere l'uso dei coloranti negli alimenti, pagine presentate come normali pagine normali.
Le inserzioni pubblicitarie comprate da Tod's ai tempi di Luna Rossa (sponsorizzata dal marchio Prada), che costrinse il giornale ad avere due pagine dedicate alle regate, per poter consentire la presenza delle inserzioni dei due marchi.

Quali i fondamenti di un giornale?
La carta, le rotative con cui si stampano le copie: un giornale che deve stare al centro della comunità (le rotative del Washington Post sono visibili dalla strada, ricorda l'autore).
L'importanza nel salvare le radici del giornale, come la sede storica di via Solferino che i giornalisti cercarono di salvare dalla speculazione immobiliare (che ha portato alla vendita del palazzo al fondo Blackstone). L'importanza dell'archivio del giornale, come patrimonio del giornale e del paese.
E la sincera diffidenza verso l'integrazione tra giornalismo e mercato: mescolare alto e basso nella cultura, non avere paura ad aprirsi ai conflitti, il revisionismo storico ..

Il giornalismo che non c'è e il giornalismo (forse del futuro).
Alla base di una buona parte dei problemi di questo paese c'è la questione di un “giornalismo che non c'è”: ci sono i giornalisti, ci sono i giornali, ma ancora manca la cultura del giornalismi di informazione, libero e indipendente.
Fiengo ricorda diversi episodi di questi anni: la mancanza in Italia di un vero Freedom of Information act, come esiste in America dai tempi di Lyndon Johnson nel 1966.
Mancanza che è stata in parte superata grazie alla riforma Madia del governo Renzi, nel 2016 (il Foia4Italy): una riforma che consente l'accesso agli atti della pubblica amministrazione senza l'obbligo di una motivazione. Pur con tutti i limiti della riforma, un mezzo miracolo.
La difficoltà nel pubblicare la biografia dei membri della Camera, in modo da raccontare ai futuri elettori chi fossero gli eletti grazie alla legge “Porcellum”, nel 2009.
Il Parlamento degli inquisiti, dei nominati dalle segreterie, del voto per “Ruby nipote di Mubarak”, delle leggi ad personam per favorire l'allora Presidente del Consiglio e i suoi interessi.

Il muro tra newsroom e marketing che si è voluto abbattere dentro Il New York Times nel 2014, per contrastare la diminuzione della pubblicità, e che è costato il posto a Jill Abramson che aveva voluto che ogni pubblicazione sponsorizzata fosse indicata chiaramente al lettore.

Il giornalismo che diventa narrazione e non più sola informazione: il caso Expo è l'ultimo degli esempi. Il giornalismo non era più l'attività principale, nei mesi di Expo, dove 50 ml di euro sono stati investiti dalla società (i cui conti ora sono stati ripianati anche dall'intervento del governo): “si è registrato uno scivolamento indubbio verso il prevalere dell'evento, della fiera, sui contenuti di fondo”.

Il futuro del giornalismo.

Il 2016 è stato l'anno della Brexit, dell'elezione di Donal Trump a presidente degli Stati Uniti, della minaccia del terrorismo che ha condizionato la politica dei paesi europei.
Dopo il crollo del muro di Berlino altrettanti muri si sono innalzati in Europa contro i migranti.
Le destre xenofobe si sono risvegliate e i governi delle democrazie devono tener conto, nelle loro scelte (coraggiose le parole della cancelliera Merkel dopo l'attentato di Berlino).
L'anno delle post verità e del populismo: non è importante la verità della notizia in sé, che le persone trovano sui social sempre più spesso (in America si informa sui social network almeno il 63% delle persone, in Europa siamo al 50%).

Come ci difenderemo dal populismo, dai partiti di estrema destra, dai fascismi, dalle chiusure e dai muri?
Prendo spunto dalla recensione che trovate sul sito dell'Ordine dei giornalisti, a cura di Antonio Andreini, che cita le ultime righe del libro:
Raffaele Fiengo, porta a soccorso, nelle ultime due righe del libro, una metafora: "Il giornalismo deve arrivare, come l'acqua, all'ultimo campo di riso". Gli ho chiesto di spiegarmela. Mi ha dato un breve testo di programma che aveva mandato una volta a tutti i redattori di via Solferino: “Nei villaggi di montagna, a Bali, i contadini badano bene di affidare la gestione dei campi di riso al proprietario dell'ultimo campo a terrazza raggiunto dall'acqua. Questa organizzazione della comunità (il "Subak") funziona bene e assicura due raccolti l'anno per tutti. Ognuno è sicuro che sarà fatto davvero quel che serve (piccole chiuse, gallerie, rimozione dei detriti e del fango, acquedotti sotterranei e all'aperto, scolmatoi) perché l'acqua possa compiere l'intero percorso e toccare anche il suo campo, senza fermarsi ad irrigare solo i terreni dei potenti e degli amici dei potenti”. Una metafora forse buona per capovolgere la Brexit, Trump e anche l'angoscia per l'Italia. Con il giornalismo.
(Antonio Andreini)

Gli altri post sul libro di Raffaele Fiengo “Il cuore del potere”

La scheda del libro sul sito di Chiarelettere e sul sito dell'Ordine dei giornalisti

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

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