Era stabilito. Per inscenare la sua prematura dipartita avrebbe seguito una nuova strategia. Il suo sarebbe stato un suicidio esagerato, e si sarebbe attuato attraverso tre fasi progressive.Prima il suicidio famigliare, poi sociale e infine fisico. In pratica, un triplice suicidio.
Curzio Malanotte (uno dei
protagonisti del libro di Filippo Fornari) è un aspirante
suicida: ma il suo suicidio non deve essere qualcosa di banale.
No: tutti, in particolar modo la sua
famiglia, se ne devono ricordare.
E per questo, per trovare spunti per la
sua discesa sociale e fisica, gira di notte le strade di Milano. La
Milano che si sta preparando all'Expo, con i cantieri e le gru che si
alzano in cielo per costruire il nuovo volto della città. Una nuova
identità. Si ma qual è, questa identità?
La Milano dei contrasti
tra questi grattacieli del lusso, della moda, del design, con la
prostituzione di vario genere, nelle strade attorno alla stazione
Garibaldi.
Curzio decise di ripassare più tardi e nel frattempo di farsi un giro. Si diresse verso la stazione Garibaldi e il grattacielo Unicredit. La sua guglia a spirale, eccentrica rispetto all'edificio, aveva attirato durante le complesse operazioni di montaggio legioni di pensionati che scommettevano su quanto avrebbe retto e di che colore si sarebbero illuminati i led di cui era ricoperta: chi sosteneva il verde Padania sarebbe stato bellissimo, chi suggeriva che il rosso del garofano socialista sarebbe stato più appropriato, chi addirittura affermava che un giorno la guglia avrebbe eruttato petrolio, in onore della famiglia dell'ex sindaco recentemente trombato alle elezioni.Curzio doveva ammettere che di notte la sagoma avveniristica del grattacielo, delle due alte torri che l'affiancavano e della piazza sopraelevata di sei metri avevano un impatto visivo impressionante. Per non parlare del nascituro Bosco Verticale, le altre due torri residenziali del progetto Porta Nuova, novemila metri quadrati di terrazze con novecento diverse specie arboree. I lavori erano ormai in dirittura di arrivo, anche se le gru ancora svettavano sull'Isola , sugli spazi incolti dove una volta c'erano le cascine e i vivai e sulle vecchie fabbriche dismesse o riqualificate, per usare un termine che in realtà mascherava la trasformazione di un quartiere popolare e operaio in qualcosa ancora in cerca di una nuova identità.La vecchia Stecca degli Artigiani, un tempo ospitata in un capannone industriale, ora si chiamava incubatore dell'arte e aveva sede in un nuovo edificio in cui si trovavano laboratori di attività artigianali e artistiche che cercavano di resistere, con l'inventiva e il recupero di antichi mestieri, alla crisi economica.Che poi qualcuno dei vecchi abitanti della zona, che forse cominciava ad essere affetto da demenza senile, si lamentasse perché uscendo di casa non riconosceva più il luogo in cui era cresciuto, si era sposato ed era diventato padre e nonno, era inevitabile. Questa era la nuova realtà urbana, come lo erano gli accampamenti dei rom che vivevano di elemosine e furti nella metropolitana e dormivano sui cartoni sotto i cavalcavia nei pressi dei nuovi grattacieli del Centro Direzionale, una crudele contrapposizione tra i primi e gli ultimi a cui la città pareva indifferente.Il progresso è progresso, e il business è il business, e pazienza se c'è chi non si adatta o romane indietro.
Omicidi
all'Isola, nevrotico erotico blues" di Filippo Fornari –
Todaro editore
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