12 gennaio 2020

L'angelo di Monaco, di Fabiano Massimi


Sta morendo. 
Nella stanza chiusa a chiave, la ragazza giace a terra di fronte al divano, gli occhi sgranati, le labbra schiuse, la pelle fredda, sempre più fredda, mentre il sangue si allarga lento sul vestito. 
Poco più in là, sopra il tappeto azzurro, la pistola ormai inerte è rivolta verso la finestra. 
Per la ragazza era solo un oggetto, fino a poco fa, un oggetto qualunque. Adesso è la cosa più importante della sua vita, la meta cui senza saperlo era diretta dal principio.

Una ragazza che sta morendo, sola e chiusa in una stanza, senza che nessuno nel mondo là fuori possa o voglia aiutarla.
Siamo a Monaco in un caldo settembre del 1931, negli ultimi mesi della Repubblica di Weimar, prima che il partito nazional socialista, vincitore alle elezioni, spazzi via tutti i residui di libertà portando il paese nel lugubre decennio nazista.

Ma torniamo a quella ragazza, che non è una ragazza qualunque: avrebbe potuto avere una vita felice, magari girare il mondo. Invece no: si chiama Angela Raubal, è la figlia della sorellastra di Adolf Hitler, che poi è il suo tutore. E forse anche qualcosa in più.
È lei, Angela o Geli come la chiamavano tutti, l'angelo che da il titolo a questo giallo ben scritto, che ci porta dentro uno dei segreti più nascosti della vita di Hitler.

Sulla morte di Geli viene chiamato ad indagare, ma con l'invito di chiudere tutto entro 8 ore, il commissario di polizia Sigfrid Sauer, assieme al collega Helmut Forster, “Mutti”: otto ore e non un minuto di più, questo l'ordine che arriva loro dal capo della sezione crimini violenti.

È stata uccisa una donna, di razza germanica, parente ad un «uomo che si sta facendo un nome»: quell'uomo è Adolf Hitler, appunto, in quel momento fuori Monaco per un comizio che doveva tenere ad Amburgo.
Nella casa di Hitler, presidiata da uomini delle SA (il servizio d'ordine del partito nazista), i due poliziotti vengono fatti entrare nella stanza dove si trova la ragazza morta: per aprire la porta, chiusa dall'interno, si è reso necessario l'intervento di un fabbro – racconta la coppia di domestici.
Subito non registrò nulla della stanza: né la disposizione degli arredi, né la vista dalla finestra, né altro. Il corpo attrasse tutta la sua attenzione, annullando il resto. Era una donna.
Una ragazza morta, il volto che rivela segni di colpi, tanto sangue sotto il corpo, la stanza chiusa, la pistola poco lontana. Si tratta di un suicidio: lo dice la scena del crimine, lo dice il dottor Muller.
Due cose attirano l'attenzione però: la lettera trovata su un mobile (“Quando verrò a Vienna – spero molto presto – andremo in auto insieme”) e l'assenza del pendaglio a forma di svastica che Geli teneva sempre addosso, regalo dello zio “Alf”.

Tutto chiaro, o forse no. Sauer e “Mutti” non sono di quei poliziotti zelanti coi potenti, ci sono alcune cose che non tornano: gli orari dichiarati dai Winter, i domestici, la storia della serratura forzata, l'estrema pulizia e l'ordine in quella stanza ma soprattutto il motivo per cui Geli si sarebbe tolta la vita.
Era incinta, dice la signora Winter.
No, non è vero, dice il dottor Muller.

E poi ci sono tanti altri piccolo misteri: il suicidio del fabbro, uno dei più bravi di Monaco. Lo strano incendio nel laboratorio del medico legale, che distrugge le foto della ragazza. Il fatto che sul corpo non sia stata fatta nessuna autopsia.

I due commissari iniziano a sentire una brutta aria, brutte pressioni intorno al caso.
C'è un faccia a faccia tra Adolf Hitler e Sauer, in cui questi gli chiede di fare luce sulla morte della sua amata nipote.
« .. Loro hanno inviato lei, e io a lei mi affido, non come a un aiutante, ma come a un amico» concluse Hitler spingendo il suo sguardo ancora più a fondo negli occhi di Sauer. «Posso contare su di lei?»

Sui giornali iniziano ad uscire alcune rivelazioni sulla fine di Geli, che mettono in dubbio la storia del suicidio: questo potrebbe distruggere per sempre la carriera di Hitler (e se Geli fosse stata uccisa dallo zio, e se fosse vero che avevano una relazione ..).
Forse la storia avrebbe potuto prendere una direzione diversa se …
Sauer si sente come manovrato, come se ci fosse un burattino che cerca di tirar i fili dell'indagine: la fretta nell'archiviare il caso da parte del capo, quegli strani suicidi che fanno pensare che ci sia qualcuno che sta sabotando l'indagine (e tutti suicidi con un messaggio all'apparenza normale “Mi dispiace, H.”).

Perfino Himmler in persona lo invita a far chiarezza sul suicidio, in un incontro che non ha nulla di casuale (in questo romanzo incontreremo tutti i leader del partito nazista, Himmler, Goering, Hess, che verranno raccontati secondo una luce diversa).
L'ambiguo e freddo braccio destro di Hitler da carta bianca a Sauer, per chiarire tutti i punti oscuri della storia, fornendo una lista di nominativi da sentire.
«E lei come sa di potersi fidare di me?» chiese Sauer. 
«Io conosco il suo segreto» rispose Himmler mentre l’autista apriva la portiera del commissario. «Deludermi non le conviene.»

Ma è un aiuto disinteressato quello di Himmler? O è solo l'ennesima recita di un copione, come quella dello zio Adolf, così addolorato per la morte della nipote?

Una recita dove è morta una ragazza, di poco più di venti anni: morta perché aveva paura di esibirsi in pubblico come cantante?
Oppure uccisa per nascondere un segreto terribile, quello del suo rapporto con lo zio Adolf, il “lupo”, un qualcosa che avrebbe potuto distruggere per sempre la sua carriera e arrestare l'ascesa del partito nazista al comando della Germania.

Sauer, assieme al collega Mutti, si rende conto del rischio a cui si espone per questa indagine, che li sta portando a scoprire i dissidi e le tensioni ai vertici del partito, i segreti del politico “che si sta facendo un nome” e che si appresta vincere le elezioni.
Ma c'è una ragazza, il cui fantasma aleggia per tutto il corso della storia, a cui dare giustizia. C'è una verità da scoprire, perché altrimenti la verità la scriveranno solo i vincitori. O forse anche quelli che sopravviveranno per raccontarla..

L'angelo di Monaco non è solo un giallo molto ben scritto e molto ben documentato, come testimonia l'ampia bibliografia a fine libro, da cui l'autore ha attinto per imbastire la storia. 
Sono esistiti veramente i due commissari Sauer e Forster, che hanno consegnato la relazione della loro indagine, chiusa e riaperta per ordine del ministero, conclusa nell'arco di una settimana.
Sono esistiti veramente tutti i personaggi ai vertici del partito nazista o vicini ad Hitler citati nella storia, Himmler, Heydrich, Hoffmann, Hess, dietro cui si cela forse l'assassino di Geli.
Reali anche i racconti sui gusti femminili di Hitler, le sue perversioni.
Reali anche le voci che giravano attorno al rapporto di Hitler con la nipote, che rischiavano di rovinare la sua ascesa politica e la vittoria alle elezioni.

Soprattutto, è reale il contesto raccontato di quella Germania, che si trovava come sospesa tra una repubblica con regole e leggi, un passato fatto di riti e ricordi, di un antico benessere, e un presente che nessuno voleva vedere.
Le violenze dei nazisti e delle SA, contro gli ebrei, contro gli oppositori del partito nazional socialista, contro i più deboli.
Come ha fatto un popolo, ricco di cultura, scienza, filosofia, a consegnarsi a quell'uomo dalla voce metallica e dallo sguardo magnetico, capace di soggiogare le masse coi suoi discorsi.
Oggi hanno tutti vantaggio a dirsi antisemiti, il popolo è ignorante e affamato e seguirà chiunque gli sventoli un bello stendardo rosso davanti agli occhi ..

Qualcuno vedrà una forte attinenza col presente che stiamo vivendo: i discorsi contro i banchieri ebrei, il ritorno ad una grande Germania guidata da un uomo forte possono essere ripresi e portati fino ai giorni nostri.
La rabbia e la paura, per la miseria, per un futuro difficile da decifrare, il nemico infido a cui addossare tutte le colpe per le tue sfortune: con questi mezzi a chi importa delle piccole prepotenze, delle violenze e dei delitti?
E' come la storia della rana nella pentola: è la metafora usata da un giornalista, che sta raccogliendo le prove contro Hitler:
.. come la storia della rana. Se la getti in una pentola di acqua già bollente salterà fuori all’istante, ma se la metti nell’acqua fredda e accendi il fuoco, la temperatura salirà lentamente e la rana si ritroverà bollita senza neanche sospettarlo”.

Che cos'è la verità – si chiede l'autore nelle note a fine lettura (note che vi consiglio di leggere, perché completano il quadro di tutta la storia): forse proprio per raccontare la verità, ma “scrivere un romanzo è raccontare una bugia per far emergere la verità”, conclude lo stesso poco oltre.
Una bugia che almeno ha il merito di fare un po' di luce su uno dei segreti più nascosti del nazismo e di Hitler, nonché di rendere giustizia a questa ragazza, Geli Raubal.
La prima vittima della propaganda nazista.

La scheda del libro sul sito di Longanesi e il pdf del primo capitolo
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