Quando Schifani parlò ai pm della Sicula brokers (da l'Unità, di Enrico Fierro).
La deposizione del 18 ottobre del 2004.
Sui rapporti con Mandalà, successivi alla comune presenza nella «Sicula brokers», è l’avvocato Restivo a porre altre domande:
«Le risulta se Mandalà aveva un ruolo all’interno del partito, del movimento Forza Italia?».
Schifani, visibilmente contrariato, replica che lui ha «già risposto a domanda specifica del pm». L’avvocato insiste e il senatore, finalmente, offre la sua versione.
«A livello istituzionale non vi era nessuna responsabilità, all’interno del partito sì, credo che facesse parte di un organismo provinciale, venuto fuori dalla celebrazione di un congresso.
Credo che fosse il coordinamento provinciale, il consiglio provinciale, non ricordo bene l’espressione, comunque era l’organismo consultivo e non decisionale del partito».
L’avvocato insiste: «Quindi faceva parte del movimento Forza Italia?».
Schifani ammette, ma si spazientisce ancora quando il legale chiede se quella di Mandalà fosse una «partecipazione elettiva sia pure da parte degli iscritti di Forza Italia».
«Ho chiarito - dice il senatore - che era stato eletto all’interno di un congresso che si era tenuto a livello provinciale nel nostro partito».
La deposizione finisce qui. In sintesi: l’attuale presidente del Senato ammette di aver fatto parte negli anni 1978-1979 di una società al cui vertice c’era Antonino Mandalà, che solo dopo anni si scoprirà essere un potente boss della mafia di Villabate legato a doppia mandata agli interessi di Bernardo Provenzano. Di quella società facevano parte l’onorevole Enrico La Loggia, Giuseppe Lombardo (che tra le sue molteplici attività rivestiva anche quella di amministratore di alcune società degli esattori Ignazio e Nino Salvo, nel 1987 condannati per mafia), e l’ingegner Benny D’Agostino (condannato due volte per associazione mafiosa e vicinissimo al boss Michele Greco, il Papa). Anche la consulenza sulla delicata materia urbanistica al Comune di Villabate è ammessa dal presidente Schifani («perché il mio ruolo era riconosciutamente scientifico...»).
Il pentito Campanella, invece, parla di affari e in una sua deposizione dice che «il prg di Villabate, strumento di programmazione fondamentale in funzione del centro commerciale che si voleva realizzare e attorno al quale ruotavano gli interessi di mafiosi e politici, sarebbe stato concordato con La Loggia...
Schifani avrebbe cooordinato con il progettista di fiducia tutte le richieste che Mandalà avesse voluto inserire in materia urbanistica». La gola profonda riferisce anche di tangenti, sia l’onorevole La Loggia che il senatore Schifani hanno deciso di querelare Campanella. Pentiti a parte, si tratta di dichiarazioni pubbliche, di documenti facilmente consultabili che ieri sera Radio Radicale ha messo in onda in uno «Speciale giustizia».
Insomma, non è Travaglio da Fazio, ma il racconto di una storia fatta di frequentazioni molto imbarazzanti è lo stesso. A dirci tutto, però, questa volta è il diretto protagonista, Renato Schifani, presidente del Senato della Repubblica italiana.
Nessun commento:
Posta un commento