Un'analisi sui conti della cooperazione
– la puntata di Presa diretta di questa sera: come spendiamo i
soldi destinati alla cooperazione? Come li stiamo aiutando i
migranti?
Il servizio è partito dalle immagini
del 2016, i flussi di migranti lungo la rotta balcanica che non si è
interrotto del tutto nemmeno con i muri e il filo spinato.
A Gorizia gli immigrati oggi dormono
lungo il tunnel che porta alla Slovenia: Lampedusa del nord la
chiamano la città friulana.
Vengono dal Pakistan, dalla Siria, sono
stati respinti dai paesi del nord e ora sperano nel programma di
accoglienza: non ci sono posti per dormire sotto un tetto così
devono dormire all'aperto.
Eppure la spesa per i migranti è
aumentata in questi anni: come sono usati questi soldi?
Una parte ragguardevole è destinata
all'accoglienza, per i centri migranti, come quello di Gradisca:
nessuno vuole stare qui – dicono gli ospiti, che arrivano dal
Pakistan – non c'è riscaldamento né acqua calda.
I gestori del centro non commentano –
chiedete alla Prefettura.
Questo non è accoglienza, questa non è
cooperazione: spendiamo più di 1 miliardi dei fondi per la
cooperazione per fare accoglienza, un fiume di soldi (più di un
terzo), che anziché finire ai paesi poveri per aiutarli, finiscono
in Italia spesso nelle tasche di profittatori come quel Buzzi di
mafia capitale.
4,6 miliardi sono i soldi investiti nei
paesi poveri, per vari progetti nel mondo: in 5 anni questi fondi
sono raddoppiati.
Ma sono soldi spesi per accogliere
migranti nel nostro paese: questa voce della cooperazione è
cresciuta di 10 volte, sono il 40% della spesa per i paesi poveri che
finiscono a casa nostra.
Aiutiamoli a casa nostra?
Presa diretta ha
raccontato la storia del centro di Latina, un centro sporco
dove le lezioni di italiano le hanno dovute pagare coi loro soldi.
Il centro è
gestito dal consorzio creato da Buzzi, oggi in amministrazione
controllata.
Il comune non ha
competenza – dice l'assessore: con gli stessi soldi però è
possibile fare vera accoglienza, come ha mostrato la responsabile del
progetto SPRAR.
Accoglienza
diffusa, in case vere, dove si insegna veramente la nostra lingua e
un lavoro: sempre con i 35 euro che arrivano dal ministero
dell'Interno, un sistema che si rivela più economico rispetto ai
centri di accoglienza CARA e CAS..
Sul sito openaid
sono riportati i fondi e i progetti all'estero, non quelli per la
cooperazione in Italia: c'è un'esigenza di maggiore trasparenza, che
il ministero dell'Interno deve ancora soddisfare.
Mancano
indicazioni sui centri, sulla qualità del servizio.
Mancano anche i
controlli da parte delle prefetture su come sono spesi soldi nei
centri, per evitare che si ripetano storie come quelle di mafia
capitale.
Bombardiamoli a casa loro.
Di certo quando li
bombardiamo non li stiamo aiutando a casa loro: nello Yemen i
bombardamenti hanno colpito civili, scuole e perfino funerali.
Chi forniva le
bombe all'Arabia? Anche l'Italia ha fatto la sua parte, le bombe sono
le MK82 e 84, bombe d'aereo, che possono essere teleguidate e che
esplodono in mille frammenti.
Armi che uccidono
in maniera indiscriminata.
Sono bombe
realizzare in Sardegna da un'azienda controllata dalla RWM: l'Italia
non potrebbe vendere armi a paesi in guerra, a paesi che violano le
leggi sui diritti umani.
In questa zona
della Sardegna, povera, lo stabilimento della RWM è una delle poche
occasioni di lavoro: potremmo riconvertire l'azienda, per non
produrre altri strumenti di morte e perché queste fabbriche sono
facilmente delocalizzabili.
L'associazione
Rete Disarmi ha firmato un esposto alle procure di Roma e Brescia per
vederci chiaro, su questo traffico di bombe dalla Sardegna
all'Arabia: è un traffico che sarebbe proibito, per le leggi
italiane, ma di cui il governo è consapevole.
Quello in Yemen è
un conflitto non riconosciuto dalle Nazioni Unite, l'Arabia non è
soggetta ad un embargo (sebbene l'Unione Europea abbia fatto un
appello per mettere un embargo con l'Arabia).
Ma nonostante
questo, è un affare che sta a cuore a molti politici e a molti
esponenti della Difesa.
Anche dal sindaco
di Domusnovas, perché c'è un economia che viaggia attorno a quei
120 posti di lavoro della RWM Italia.
“Noi non amiamo
la guerra, ma qualcuno ci deve dire di che cosa dobbiamo vivere”:
sono ragioni comprensibili, il solito ricatto del lavoro.
Tra gli effetti
della guerra in Yemen c'è anche il fatto che molti profughi
dall'Etiopia seguano ora la pista libica per scappare dal loro paese.
E arrivare qui da
noi, dove trovano politici che da una parte sono felici di vendere
armi all'Arabia dall'altra vorrebbero ricacciarli in mare...
Bloccare
l'autorizzazione è una decisione politica, conferma il
sottosegretario Giro, agli affari esteri: vedremo come deciderà il
prossimo governo.
Dovremmo investire
di più in vera cooperazione, perché aumenta la nostra influenza
all'estero, la stabilità del pianeta: per anni abbiamo rinunciato ad
entrare nel continente africano, non abbiamo contato nulla per anni
in Africa e in Medio Oriente.
Italy is back –
commenta il sottosegretario, che vorrebbe arrivare allo 0,4 del PIL
in cooperazione.
Come quello che
facciamo a Brindisi, dove c'è la base della WFO, dove si
distribuisce il cibo in tutto il mondo.
Come il
progetto “università per l'Africa”: sono gli accordi per far
studiare gli studenti africani in Italia. La maggior parte sono
camerunesi, arrivati con visto di studio che vogliono studiare
informatica, farmaceutica, chimica, ingegneria ..
Vogliono
prepararsi ad una professione che un giorno sarà strategica per il
futuro del loro paese, per costruire un paese più solido, capace di
crescere con le loro conoscenze.
Il Camerun è un
paese dilaniato dalla guerra contro Boko Haram, che ora sta
destabilizzando i paesi confinanti; è un paese messo in crisi anche
dai rifugiati che arrivano da paesi vicini, per altre guerre che in
questa parte del mondo non mancano.
È importante
stabilizzare questa regione: Elena Marzano è andata a visitare il
centro di ricerca e cura a Yaoundé, dove lavora il medico Colizzi.
In un centro
realizzato anche grazie a fondi italiani, si lavora contro l'AIDS:
sono passati dal 15% al 4% come percentuale di persone positive
all'AIDS.
Questa storia,
l'università per l'Africa, testimonia quanto sia importante aiutarli
veramente a casa loro.
La cooperazione
italiana ha regalato macchinari, costruito il centro di ricerca,
formato medici e ricercatori, dove si pubblicano articoli letti nel
resto del mondo.
Riducendo il
contagio, il paese ha potuto puntare sull'agricoltura: il Camerun è
uno dei maggiori esportatori di frutta dell'Africa.
Un altro progetto
di cooperazione ha permesso di portare l'acqua in un villaggio
dell'interno grazie all'energia elettrica di un impianto
fotovoltaico.
La piazza centrale
di Yaoundé è stata progettata da un architetto che ha studiato a
Roma.
Ma c'è anche
cooperazione che non fa bene all'Africa: come in Etiopia dove la
Salini Impregilo sta costruendo una diga, sul fiume Omo.
Una diga che sta
mettendo in difficoltà la popolazione che vive attorno al fiume,
perché in una zona desertica.
La storia delle
controverse dighe
della Salini Impregilo è stata raccontata qui: il fiume che si
abbassa, la foresta fluviale che si ritira, per far spazio alle
piantagioni di cotone.
L'acqua viene
tolta all'agricoltura, l'acqua è stata tolta per creare latifondi
che non arricchiscono la popolazione locale.
Questa
cooperazione che non aiuta gli africani a casa loro è finanziata da
noi.
Ricordatevelo
quando sentite un politico che dice “aiutiamoli a casa loro ..”:
i migranti economici li stiamo creando noi, togliendo loro l'acqua e
i mezzi per sopravvivere.
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