29 gennaio 2018

Presa diretta – la cooperazione e l'accoglienza dei migranti

Un'analisi sui conti della cooperazione – la puntata di Presa diretta di questa sera: come spendiamo i soldi destinati alla cooperazione? Come li stiamo aiutando i migranti?

Il servizio è partito dalle immagini del 2016, i flussi di migranti lungo la rotta balcanica che non si è interrotto del tutto nemmeno con i muri e il filo spinato.
A Gorizia gli immigrati oggi dormono lungo il tunnel che porta alla Slovenia: Lampedusa del nord la chiamano la città friulana.
Vengono dal Pakistan, dalla Siria, sono stati respinti dai paesi del nord e ora sperano nel programma di accoglienza: non ci sono posti per dormire sotto un tetto così devono dormire all'aperto.
Eppure la spesa per i migranti è aumentata in questi anni: come sono usati questi soldi?
Una parte ragguardevole è destinata all'accoglienza, per i centri migranti, come quello di Gradisca: nessuno vuole stare qui – dicono gli ospiti, che arrivano dal Pakistan – non c'è riscaldamento né acqua calda.
I gestori del centro non commentano – chiedete alla Prefettura.
Questo non è accoglienza, questa non è cooperazione: spendiamo più di 1 miliardi dei fondi per la cooperazione per fare accoglienza, un fiume di soldi (più di un terzo), che anziché finire ai paesi poveri per aiutarli, finiscono in Italia spesso nelle tasche di profittatori come quel Buzzi di mafia capitale.

4,6 miliardi sono i soldi investiti nei paesi poveri, per vari progetti nel mondo: in 5 anni questi fondi sono raddoppiati.
Ma sono soldi spesi per accogliere migranti nel nostro paese: questa voce della cooperazione è cresciuta di 10 volte, sono il 40% della spesa per i paesi poveri che finiscono a casa nostra.

Aiutiamoli a casa nostra?
Presa diretta ha raccontato la storia del centro di Latina, un centro sporco dove le lezioni di italiano le hanno dovute pagare coi loro soldi.
Il centro è gestito dal consorzio creato da Buzzi, oggi in amministrazione controllata.
Il comune non ha competenza – dice l'assessore: con gli stessi soldi però è possibile fare vera accoglienza, come ha mostrato la responsabile del progetto SPRAR.
Accoglienza diffusa, in case vere, dove si insegna veramente la nostra lingua e un lavoro: sempre con i 35 euro che arrivano dal ministero dell'Interno, un sistema che si rivela più economico rispetto ai centri di accoglienza CARA e CAS..

Sul sito openaid sono riportati i fondi e i progetti all'estero, non quelli per la cooperazione in Italia: c'è un'esigenza di maggiore trasparenza, che il ministero dell'Interno deve ancora soddisfare.
Mancano indicazioni sui centri, sulla qualità del servizio.
Mancano anche i controlli da parte delle prefetture su come sono spesi soldi nei centri, per evitare che si ripetano storie come quelle di mafia capitale.

Bombardiamoli a casa loro.
Di certo quando li bombardiamo non li stiamo aiutando a casa loro: nello Yemen i bombardamenti hanno colpito civili, scuole e perfino funerali.
Chi forniva le bombe all'Arabia? Anche l'Italia ha fatto la sua parte, le bombe sono le MK82 e 84, bombe d'aereo, che possono essere teleguidate e che esplodono in mille frammenti.
Armi che uccidono in maniera indiscriminata.
Sono bombe realizzare in Sardegna da un'azienda controllata dalla RWM: l'Italia non potrebbe vendere armi a paesi in guerra, a paesi che violano le leggi sui diritti umani.
In questa zona della Sardegna, povera, lo stabilimento della RWM è una delle poche occasioni di lavoro: potremmo riconvertire l'azienda, per non produrre altri strumenti di morte e perché queste fabbriche sono facilmente delocalizzabili.

L'associazione Rete Disarmi ha firmato un esposto alle procure di Roma e Brescia per vederci chiaro, su questo traffico di bombe dalla Sardegna all'Arabia: è un traffico che sarebbe proibito, per le leggi italiane, ma di cui il governo è consapevole.
Quello in Yemen è un conflitto non riconosciuto dalle Nazioni Unite, l'Arabia non è soggetta ad un embargo (sebbene l'Unione Europea abbia fatto un appello per mettere un embargo con l'Arabia).
Ma nonostante questo, è un affare che sta a cuore a molti politici e a molti esponenti della Difesa.
Anche dal sindaco di Domusnovas, perché c'è un economia che viaggia attorno a quei 120 posti di lavoro della RWM Italia.
“Noi non amiamo la guerra, ma qualcuno ci deve dire di che cosa dobbiamo vivere”: sono ragioni comprensibili, il solito ricatto del lavoro.

Tra gli effetti della guerra in Yemen c'è anche il fatto che molti profughi dall'Etiopia seguano ora la pista libica per scappare dal loro paese.
E arrivare qui da noi, dove trovano politici che da una parte sono felici di vendere armi all'Arabia dall'altra vorrebbero ricacciarli in mare...

Bloccare l'autorizzazione è una decisione politica, conferma il sottosegretario Giro, agli affari esteri: vedremo come deciderà il prossimo governo.

Dovremmo investire di più in vera cooperazione, perché aumenta la nostra influenza all'estero, la stabilità del pianeta: per anni abbiamo rinunciato ad entrare nel continente africano, non abbiamo contato nulla per anni in Africa e in Medio Oriente.
Italy is back – commenta il sottosegretario, che vorrebbe arrivare allo 0,4 del PIL in cooperazione.

Come quello che facciamo a Brindisi, dove c'è la base della WFO, dove si distribuisce il cibo in tutto il mondo.

Come il progetto “università per l'Africa”: sono gli accordi per far studiare gli studenti africani in Italia. La maggior parte sono camerunesi, arrivati con visto di studio che vogliono studiare informatica, farmaceutica, chimica, ingegneria ..
Vogliono prepararsi ad una professione che un giorno sarà strategica per il futuro del loro paese, per costruire un paese più solido, capace di crescere con le loro conoscenze.

Il Camerun è un paese dilaniato dalla guerra contro Boko Haram, che ora sta destabilizzando i paesi confinanti; è un paese messo in crisi anche dai rifugiati che arrivano da paesi vicini, per altre guerre che in questa parte del mondo non mancano.
È importante stabilizzare questa regione: Elena Marzano è andata a visitare il centro di ricerca e cura a Yaoundé, dove lavora il medico Colizzi.
In un centro realizzato anche grazie a fondi italiani, si lavora contro l'AIDS: sono passati dal 15% al 4% come percentuale di persone positive all'AIDS.
Questa storia, l'università per l'Africa, testimonia quanto sia importante aiutarli veramente a casa loro.
La cooperazione italiana ha regalato macchinari, costruito il centro di ricerca, formato medici e ricercatori, dove si pubblicano articoli letti nel resto del mondo.

Riducendo il contagio, il paese ha potuto puntare sull'agricoltura: il Camerun è uno dei maggiori esportatori di frutta dell'Africa.
Un altro progetto di cooperazione ha permesso di portare l'acqua in un villaggio dell'interno grazie all'energia elettrica di un impianto fotovoltaico.
La piazza centrale di Yaoundé è stata progettata da un architetto che ha studiato a Roma.

Ma c'è anche cooperazione che non fa bene all'Africa: come in Etiopia dove la Salini Impregilo sta costruendo una diga, sul fiume Omo.
Una diga che sta mettendo in difficoltà la popolazione che vive attorno al fiume, perché in una zona desertica.
La storia delle controverse dighe della Salini Impregilo è stata raccontata qui: il fiume che si abbassa, la foresta fluviale che si ritira, per far spazio alle piantagioni di cotone.
L'acqua viene tolta all'agricoltura, l'acqua è stata tolta per creare latifondi che non arricchiscono la popolazione locale.
Questa cooperazione che non aiuta gli africani a casa loro è finanziata da noi.
Ricordatevelo quando sentite un politico che dice “aiutiamoli a casa loro ..”: i migranti economici li stiamo creando noi, togliendo loro l'acqua e i mezzi per sopravvivere.

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