L'interviste e i trailer del nuovo film di Spielberg ci hanno galvanizzato: la storia dei giornalisti del Washington Post (e della direttrice donna) che hanno tenuto la schiena dritta di fronte alle pressioni presidenziali, pubblicando gli articoli su Nixon, la guerra sporca in Vietnam.
Chi ha amato come me il film del 1975 "Tutti gli uomini del presidente", non potrà che amare anche quest'ultimo, ambientato temporalmente prima del Watergate.
Ma siamo in un film e siamo anche in America.
Non sempre il giornalismo americano si è dimostrato all'altezza della situazione: penso a quanto successo dopo l'11 settembre con la bufala delle armi di distruzioni di massa e i giornalisti embedded dentro la guerra in Iraq.
E siamo comunque in America, lontano dall'Italia che in questi giorni ha messo l'elmetto e ha deciso di fare la guerra alle fake news.
Solo che la guerra la combatteranno funzionari del Viminale che risponderanno al ministro di turno.
Qual è lo stato di salute della nostra informazione?
Non sta messa proprio bene: ieri sera seguivo l'intervista di Carlo De Benedetti ad Otto e mezzo che ha liquidato la vicenda della telefonata tra lui e il suo broker come una banalità, un polverone ridicolo.
Era un segreto di Pulcinella, si è difeso: né la giornalista presente e nemmeno altri hanno notato l'incongruenza.
Se era veramente un segreto (e non è così) allora altri broker e altri finanzieri si sono arricchiti solo perché avevano accesso ad informazioni riservate.
De Benedetti può star tranquillo comunque, la notizia è già sparita dai radar.
Può tranquillamente andare a votare PD e dirlo in televisione, senza che nessuno si indigni.
Nessun commento:
Posta un commento