Che invece verrà usata dal governo per abbassare il debito (grazie a qualcosa che mi sembra più un trucco contabile) e per dare alle fondazioni bancarie il controlli di un pezzo di aziende pubbliche.
La Cassa del governo per le Fondazioni bancariedi Marco Lillo Qualcuno nei piani alti delle partecipazioni statali già la chiama “operazione Robin Hood al contrario”: come portare parte dei risparmi di milioni di italiani dalle Poste pubbliche (dove vecchine e famiglie li hanno depositati seguendo una tradizione centenaria) alle banche private, peggio: alle fondazioni bancarie, quei carrozzoni condizionati dalla politica che controllano gli istituti di credito. A giugno il governo Monti ha avviato con un decreto le pratiche per trasferire alla Cassa Depositi e Prestiti Spa, che già controlla quote di Eni, Terna e Snam Rete gas, altre tre controllate del ministero dell’Economia: Fintecna (che a sua volta controlla Fincantieri, 10 mila dipendenti e 2,4 miliardi di fatturato), la Sace (che assicura le esportazioni all’estero, riserve per 2,3 miliardi e 680 dipendenti) e la Simest (che finanzia e partecipa 230 società per favorirne l’internazionalizzazione). L’operazione non ha una logica industriale ma puramente contabile. La CdP, guidata da Giovanni Gorno Tempini e presieduta da Franco Bassanini, gestisce il risparmio postale e lo impiega sul conto di tesoreria e offrendo mutui agli enti locali, ma non appartiene interamente allo Stato: il 30 per cento del suo capitale è delle Fondazioni bancarie. Cdp pagherà per le tre spa pubbliche un prezzo intorno ai 10 miliardi di euro e, come per magia, dal giorno dopo il debito pubblico scenderà grazie a una partita di giro permessa dalla classificazione della Cassa fuori dal perimetro della pubblica amministrazione secondo Eurostat. QUESTA OPERAZIONE ha tre effetti: 1) trasferisce tre società pubbliche a una Spa che appartiene al privato per il 30 per cento; 2) carica di rischi aggiuntivi (Fincantieri, spa controllata da Fintecna, per tutti) una società come la Cdp che dovrebbe tutelare il risparmio delle famiglie italiane; 3) permette alle fondazioni bancarie di acquisire indirettamente il 30 per cento di queste tre società, senza tirare fuori un euro. Il trasferimento indiretto alle fondazioni private del 30 per cento delle tre società pubbliche fa leva sui risparmi delle famiglie e avviene prima ancora che le Fondazioni abbiano pagato il conguaglio dovuto per convertire la propria quota della Cassa. PER CAPIRE l’importanza del favore che il ministro dell’Economia Vittorio Grilli e il premier Mario Monti stanno per fare alle fondazioni bisogna partire dal dicembre 2003: il governo decide di trasferire il risparmio postale raccolto attraverso 14 mila uffici postali alla neonata Cassa Depositi e Prestiti Spa. L’allora ministro Giulio Tremonti, per dare una patina di privato alla Cdp, chiede alle Fondazioni bancarie (private) di sottoscrivere il 30 per cento del capitale allettandole con condizioni vantaggiose di ingresso. Salvo poi prevedere un conguaglio da versare entro il 2006, termine sempre spostato da Cdp con cambiamenti dello statuto fino all’attuale, dicembre 2012. Alla sua nascita nel 2004 il patrimonio netto della Cdp, ammontava a 3,5 miliardi mentre oggi vale 14,5 miliardi. Le Fondazioni che hanno versato 1 miliardo e 50 milioni per sottoscrivere il loro 30 per cento di azioni privilegiate hanno riavuto tutti i loro soldi incassando in questi anni dividendi per 1 miliardo e 76 milioni. Mai visto un affare migliore. La Cassa si è rivelata una gallina dalle uova d’oro e ha realizzato 12,1 miliardi di euro di utile distribuendone 3,2 miliardi, dei quali, circa un terzo è finito alle fondazioni senza che muovessero un dito. Il conguaglio dovrebbe essere il momento in cui finalmente le fondazioni metteranno mano al portafoglio per pagare il reale valore di questa partecipazione svenduta loro nel 2004. Al momento dell’ingresso in Cdp le fondazioni bancarie, infatti, hanno avuto la facoltà di convertire le azioni privilegiate in ordinarie pagando un conguaglio commisurato al valore effettivo del patrimonio netto. In pratica il matrimonio tra le fondazioni e il governo è a un bivio: per continuare a restare nella Cassa e per diventare così azionisti a pieno titolo delle tre società che la stessa Cassa sta comprando dal Tesoro, le fondazioni dovrebbero sborsare almeno 4 miliardi, una somma pari alla differenza tra il valore del 30 per cento del patrimonio netto di Cdp e il miliardo già versato nel 2004. Un prezzo ottimo: non è facile trovare società in grado di garantire un utile annuo di 1,5 miliardi con un patrimonio netto di 14,5 miliardi. Eppure le 66 Fondazioni non hanno alcuna intenzione di pagare una simile somma né vogliono rinunciare alle loro azioni e hanno chiesto un parere a Giuseppe Portale per sostenere la loro tesi: restare sul treno della Cdp ma pagando un biglietto con lo sconto. In questa situazione, con le fondazioni che non vogliono pagare il dovuto per restare nella Cassa, lo Stato sta per cedere a Cdp anche Fintecna Simest e Sace . IL RISCHIO di questa cessione graverà soprattutto sulle famiglie italiane che hanno depositato i risparmi all’ufficio postale. La Cassa ha già oggi circa 20 miliardi di partecipazioni societarie in attivo (un po’ troppi visto che dovrebbero garantire il pagamento dei buoni fruttiferi degli italiani) e sta per comprare azioni di tre società per ulteriori 10 miliardi. La Cdp gestisce il risparmio di milioni di italiani e nessuna banca potrebbe permettersi un investimento in capitale di rischio pari al doppio del patrimonio netto. La Corte dei Conti e la Banca d’Italia non hanno nulla da dire?
Di Cassa depositi e prestiti se ne occuperà anche la puntata di Report di domenica: "Un tesoro di cassa". Il tesoro dei risparmiatori ..
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