17 maggio 2017

Un vizio si trova - da l'Assedio di Giovanni Bianconi

Prosegue la lettura del libro di Giovanni Bianconi, sugli ultimi anni del giudice Giovanni Falcone.

Primavera estate 1991: stremato dall'isolamento in cui è stato costretto a Palermo, Giovanni Falcone accetta l'incarico come direttore dell'Ufficio Affari Penali presso il ministero di giustizia.
Lavorare col ministro Martelli, il socialista, che aveva fatto la battaglia per una giustizia giusta e su cui la mafia aveva dirottato i suoi voti nel 1987.
Lavorare per il governo Andreotto, capo della corrente che aveva sl uos interno il troppo chiacchierato eurodeputato Lima.

Ma, pensò Falcone, il gioco valeva la candela: da una parte le polemiche per aver abbandonato il suo posto in trincea come magistrato, dall'altro la possibilità di combattere la guerra contro le mafie su un altro campo. Ovvero, nel governo per mettere mano alle regole, per attuare quelle riforme nella lotta alla mafia che aveva in mente.
Una super procura nazionale col compito di coordinare tutte le indagini di mafia, che non dovevano essere più sparpagliate su tutte le procure ma destinate alle direzioni distrettuali.
C'è il rischio di assogettare le procure alla politica?
Forse. Ma quello che preoccupava Falcone era quanto aveva vissuto a Palermo con l'arrivo di Meli all'Ufficio istruzione, lo spezzettamento dei tronconi del maxi processo, la fine del pool, il fatto che gli venissero assegnati tanti piccoli processetti. Perché tutti devono saper fare tutto, altro che specializzazione in fatti di mafia.
Ma Falcone era anche preoccupato perché di lì a breve il maxi sarebbe arrivato in Cassazione, col rischio di vedersi bocciato il lavoro di anni per mano del giudice "ammazzasentenze", Carnevale.
Per questo il giudice più famoso d'Italia, nella lotta alla mafia, si era mosso per tempo, monitorando le sentenze della prima corte di Cassazione, che gestiva quasi tutti i processi per mafia e terrorismo che arrivavano presso la Suprema Corte.
Ma anche Totò Riina si preoccupava per il maxi processo in Cassazione, per motivi diversi:
Lo «zio Totò» l'aveva ripetuto più volte a capi e gregari: - Da Roma il processo tornerà indietro, perché quel Carnevale [il presidente della prima sez. della Cassazione, che definì Falcone un cretino] troverà qualche vizio, un qualcosa, un difetto... -E sarebbe stata la vittoria della mafia contro lo Stato. O almeno un pezzo dello Stato, quello che appoggiava «quel cornuto di Falcone».Ciò che interessava Riina era la sconfessione di quanto il giudice aveva intuito e costruito nella sua istruttoria, grazie a «quell'infame di Buscetta»: la struttura gerachica e piramidale di cosa nostra, che deliberava i delitti e dirigeva ogni decisione.Il «capo dei capi» era disposto ad accettare che per ogni singolo fatto ci fossero singole condanne, che ogni omicidio apparisse come un fatto separato dall'altro, senza collegamenti o mandanti giunti dall'alto. A lui importava smontare la teoria della Cupola, che aveva cambiato le carte in tavola con le istituzioni.A proposito dei referenti romani che dovevano occuparsi di aggiustare il processo, una volta Ignazio Salvo [grande elettore DC in Sicilia, a capo della società di riscossione crediti] ricordò a Brusca il proprio impegno per impedire che proprio Falcone andasse a guidare l'Ufficio Istruzione di Palermo. In quel caso andò bene, e lui si era rivelato affidabile. Ora avrebbe ritentato, ma non c'era più niente di sicuro..

[L'Assedio troppi nemici per Giovanni Falcone, pagina 117, Giovanni Bianconi Einaudi editore]




La Cassazione il 30 gennaio 1992 confermò l'impianto del maxi processo confermando la tesi di una mafia unitaria e verticistica le cui azioni erano riconducibili a quelle della Cupola.
Corrado Carnevale, dopo un lungo processo, è tornato in Cassazione.
La super procura si è realizzata, come la DIA.
Andreotti è stato condannato per mafia (fino al 1980), Lima ucciso dai corleonesi nel marzo 1992.
La mafia militare è stata sconfitta ma la la mafia stessa ha ora cambiato pelle. 
Le indagini sul rapporto tra mafia e politica (e in special modo per quanto riguarda la trattativa stato mafia) sono ancora tabù.
Totò Cuffaro, l'ex presidente della regione Sicilia condannato per favoreggiamento alla mafia, fa oggi lezioni di giornalismo.

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