Cento passi separavano la casa della famiglia Impastato da quella del capo mafia Tano Badalamenti, capo di Cinisi, comune di mafiopoli.
Comune dove tutti sapevano, dei traffici della droga, degli appalti finiti agli amici per l'autostrada Palermo Messina, per l'aeroporto di Punta Raisi.
Ma tutti tacevano, per paura, per timore, perché è sempre stato così.
Perché a dire in faccia (o su un giornale, o attraverso la radio) ad un mafioso che è "tano seduto", ridicolizzare lui e la mafia, quella montagna di merda, ci vuole coraggio.
Meno coraggio l'ha avuto la mafia quando lo ha rapito e ucciso, inscenando quel finto suicidio grazie anche al contributo dei carabinieri.
Il coraggio, la forza, l'ingenua pazzia di Peppino Impastato sono stati riscattati anni dopo, dal pentimento del boss Badalamenti.
Peppino, illuso, voleva combattere la mafia senza nascondersi: la mafia che faceva e fa comodo a molti siciliani e non, politici e non. Perché da tranquillità, perché porta voti, perché aiuta negli affari..
Nello stesso giorno in cui si ricorda il piccolo grande eroe di Cinisi, si ricorda anche la morte del presidente DC Aldo Moro, l'ideatore delle convergenze parallele tra i due grandi partiti di massa, comunisti e democristiani, per cercare di tirar fuori la politica italiana dall'immobilismo.
"Il meno implicato di tutti", lo definì Sciascia nel suo saggio l'Affaire Moro, dove affrontava tutti gli enigmi del rapimento e della prigionia: le lettere, il covo, l'atteggiamento della DC e del PCI che non accettarono alcuna trattativa.
Oggi, almeno lasciamo da parte tutte le polemiche sterili, almeno per una sorta di rispetto verso lo statista democristiano, ucciso dalle BR (e anche dallo stato) e verso Peppino, ucciso perché lo stato aveva delegato quella parte di Sicilia alla mafia.
A futura memoria, se la memoria ha futuro..
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