28 maggio 2017

Walter Tobagi, piazza della Loggia, il racconto della realtà

Pochi giorni fa abbiamo celebrato l'anniversario dei 25 anni dalla strage di Capaci, il primo atto di terrorismo mafioso contro lo stato da parte della mafia (e forse non solo la mafia) dopo la sentenza del Maxi processo a cosa nostra.
Molti hanno commentato dicendo che lo Stato, nonostante il ricatto delle bombe, è stato in grado di rispondere, le istituzioni hanno tenuto, come già successo nel passato con la lotta al terrorismo nero e al terrorismo rosso.
Quando erano altre bombe (o forse le stesse, chissà) a scoppiare e ad uccidere persone inermi: a Milano alla banca dell'Agricoltura, a Brescia durante una manifestazione indetta dai sindacati.
O quando gruppi eversivi di estrema sinistra colpivano uomini dello Stato, magistrati, uomini delle forze dell'ordine e poi anche avvocati e giornalisti.

Oggi, 28 maggio 2017 è un'altra data importante nel nostro calendario laico: in questa data si ricordano la bomba a Piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 e l'omicidio del giornalista Walter Tobagi, a Milano il 28 maggio 1980.
A legare questi due eventi questa lotta contro i nemici della tenuta delle istituzioni: la bomba a Brescia si inserisce nel terrorismo di destra che doveva preparare il terreno ad un golpe, ad uno spostamento a destra dell'equilibrio politico. Questo almeno nella testa dei manovali della morte, gruppi di estrema destra come Ordine Nuovo che hanno agito anche con le coperture di corpi dello stesso stato (lo testimoniano i depistaggi che per troppi anni hanno allontanato i magistrati dalla verità, i rapporti degli ordonovisti coi servizi e con ufficiali della Nato).
Dire «le stragi le hanno fatte i servizi», a sottintendere che il terrorismo di destra di destra non c'entra, è una comoda scappatoia. Senz'altro è vero, e alcuni ex terroristi l'hanno raccontato, che la galassia della destra eversiva si è sentita usata e poi scaricata dai padrini nascosti nelle forze di sicurezza statali, quando fu evidente che l'«ora X» del colpo di Stato non sarebbe mai arrivata, perché allo status quo bastava l'intentona. Ma è troppo comodo, da parte di chi militava in quel mondo, proclamare la propria estraneità sulla base del seno di poi, l'evidenza che le stragi hanno stabilizzato il potere in senso neocentrista. I servizi erano coinvolti in una partita giocata dalla destra eversiva. Ci hanno creduto davvero, e a lungo, i camerati che a furia di botti e attentati, sarebbero riusciti a innescare una svolta autoritaria.Una stella incoronatadi buio, di Benedetta Tobagi Pagina 288, Einaudi editore


Bombe, quella di Milano, quella dell'Italicus, quella di Brescia, che sono servite a stabilizzare la politica centrista nel nostro paese, impedire qualsiasi cambiamento politico, qualsiasi alternanza dei governi, bloccata dagli accordi di Yalta che avevano bloccato l'Italia nell'area di influenza atlantica.
La bomba non fa che approfondire la spaccatura. Manlio mi spiega che dietro al netto rifiuto, suo e di tanti compagni, della prospettiva del «compromesso storico» c'era proprio il sentimento dell'impossibilità di governare insieme alla forza politica che di fatto ha avallato per anni le coperture agli stragisti. In questo senso, la bomba ottenne l'effetto auspicato da molti golpisti di rendere più difficile il consolidarsi di una prospettiva del compromesso cattocomunista verso cui tende la «repubblica conciliare», come la definiscono con sarcasmo i missini.Una stella incoronata di buio, di Benedetta Tobagi Pagina 215, Einaudi editore

La stagione del terrorismo rosso, delle Brigate Rosse e dell'arcipelago delle centinaia di sigle unificate nella sigla del “partito armato” nasce, a fine anni '60, da slogan come “resistenza tradita”, dalla bomba di Milano, messa dai fascisti con le coperture dello stato, che fece da alibi per proseguire la “lotta di classe” usando forme di lotta più incisive, fuori dalla legge, fuori dai partiti, dai sindacati. Se lo stato usa le armi, per creare terrore, se usa la violenza contro i cittadini, non c'è altra soluzione che rispondere con altrettanta violenza.
Nei lunghi anni Settanta il terrorismo italiano rappresentò per il sistema democratico una minaccia senza uguali in Europa. Questo libro, che ricostruisce pagine essenziali ma poco note della lotta armata in Italia, è un intreccio unitario di cronaca, testimonianza e storia che, a partire da Padova e dal Veneto, svela le strategie insurrezionali del partito armato in tutte le sue articolazioni, movimenti di massa e avanguardie combattenti, Autonomia Organizzata e Brigate Rosse”.
Terrore rosso, di PietroCalogero, Carlo Fumian, Michele Sartori - Dalla terza di copertina

Si iniziò coi rapimenti mordi e fuggi di dirigenti dei gruppi industriali, incendi a depositi:
Nel 1973 ero giudice istruttore a Torino. Le prime azioni delle Brigate rosse erano attentati contro cose: sabotaggi, incendi in stabilimenti industriali. Poi il salto di qualità con i sequestri “mordi e fuggi” di capireparto e sindacalisti di destra, “interrogati” e liberati dopo poche ore, ma esposti - secondo la logicaterroristica - alla pubblica gogna. Così, a Torino venne rapito, il 12 febbraio 1973, il sindacalista della Cisnal Bruno Labate, sequestrato al mattino sotto casa, sottoposto a “processo proletario”, fotografato e rilasciato di fronte ai cancelli della Fiat Mirafiori, incatenato a un palo, con un cartello appeso al collo e la testa cosparsa di pece. Alla fine dell’anno, le Br di Torino colpirono ancora più in alto. Sequestrarono un importante dirigente Fiat, Ettore Amerio, e lo tennero prigioniero per ben otto giorni, dal 10 al 18 dicembre 1973, pretendendo in cambio la revoca della cassa integrazione.Le due guerre - Gian Carlo Caselli Melampo editore

Per passare all'attacco al cuore dello Stato: l'omicidio del giudice Francesco Coco a Genova, nel 1974, degli altri magistrati milanesi Emilio Alessandrini e Guido Galli (uccisi perché lavoravano bene, perché davano col loro credibilità a quello Stato che questi gruppi criminali volevano solo abbattere). Agli omicidi dell'avvocato Fuvio Croce a Torino (dove si stava tenendo il processo alle Br), fino al rapimento di Aldo Moro e all'uccisione della sua scorta in via Fani il 16 marzo del 1978.
Guerra in cui a venire uccisi erano anche operai, sindacalisti come Guido Rossa, ucciso a Genova nel gennaio 1979, dopo aver denunciato un altro operaio che faceva da postino per le Br, per la distribuzione dei loro comunicati deliranti:
Più che rimorsi, oggi Guagliardo [autore dell'omicidio] dice di aver impianti. Soprattutto di non aver capito prima l'eterogenesi dei fini: il mezzo della lotta armata era diventato un obiettivo in sé, e i soldati della rivoluzione si stavano trasformando in qualcosa che non era migliore di ciò che intendevano combattere. L'ex dirigente delle Brigate Rosse è consapevole di aver arringato individui, per convincerli a impugnare le armi, che hanno sparato per costruire qualcosa di diverso, ma probabilmente per motivi di affermazione personale: forse uccidevano con la stessa leggerezza con cui hanno camminato sopra i cadaveri delle loro vittime, pur di uscire in fretta dalla galera e senza eccessive conseguenze per la propria esistenza”.Il brigatista e l'operaio, Giovanni Bianconi Einaudi



Ad unire queste due guerre e i due eventi da cui sono partito c'è un altro filo che porta alla scrittrice Benedetta Tobagi che in due successivi libri ha raccontato la storia del padre (Come mi batte forte il tuo cuore) e della strage di piazza della Loggia (Una stella incoronata di buio).


Walter Tobagi era un giornalista di 33 anni, quando fu ucciso a Milano il 28 maggio 1980: era nato per fare il giornalista, lo era stato fin dai tempi del liceo.
Il suo attentato fu rivendicato dalla sigla Brigata XXVIII marzo (la data della strage di via Fracchia quando i carabinieri fecero l'irruzione in un covo delle Br a Genova) di cui facevano parte Marco Barbone e Paolo Morandini: la consideravano (la rivendicazione e l'omicidio di Tobagi) un biglietto da visita per entrare a far parte delle Brigate Rosse.
Perché è importante questo legame tra il giornalista e uno degli episodi più sanguinosi della nostra storia?
Perché per comprendere la realtà in cui viviamo servono persone che sappiano comprenderne le dinamiche e che sappiano poi anche raccontarle.

Walter Tobagi era uno di questi. Benedetta lo racconta nel libro che gli ha dedicato: l'impegno nel sindacato dei giornalisti e l'impegno come giornalista nel sapercapire e comprendere l'Italia di fine anni 70. Le tensioni nella società, che sfociavano nei cortei di piazza, causa anch'essa del crescere del “partito armato”.
La lezione pare fin troppo chiara: le lotte sindacali più dure, quelle oltre i limiti convenzionali della legalità, sono servite agli arruolatori delle Br come un primo banco di prova e di selezione. Il sindacato dovrà tenerne conto, giacché i proclami nobili vanno accompagnati con revisioni coerenti. Questo può implicare anche una temporanea diminuzione del potere sindacale in fabbrica. Ma la scelta non ammette grandi alternative, se è vero come è vero (e tutti i dirigenti sindacali lo ripetono) che il terrorismo è l’alleato «oggettivamente» più subdolo del padronato, e se non viene battuto può ricacciare indietro di decenni la forza del movimento operaio.

In un suo articolo celebre sulle Brigate Rosse, successivo all'irruzione in via Fracchia a Genova, dove per la prima volta lo Stato mostrava la forza, scrisse: “si dissolve il mito della colonna imprendibile”.

Il suo motto, come emerge dai diari, dagli articoli, dalle pagine di appunti, dai libri è tratto dall'Etica di Spinoza: “humanas actiones non ridere, non lugere, necque detestari, sed intelligere” - non bisogna deridere le azioni umane, né piangerle, nè disprezzarle, ma comprenderle.

Comprendere dunque, per poter poi raccontare:
“Capire il mondo, fare i conti con il negativo, senza abbandonare la convinzione che esiste la possibilità di fare bene e migliorare le cose. Magari nel piccolo, ma esiste, sempre: anche quando tutto sembra perduto. Il riformismo di papà non era solo un insieme di convinzioni politiche, ma una sorta di condizione esistenziale: il sentiero stretto per sfuggire alla trappola duplice dell'arrendersi al cinismo e alla disillusione, da una parte, e allo sdegnoso rifiuto di mescolarsi con una realtà che sa di essere profondamente corrotta”.

La realtà corrotta in cui sono maturate le stragi, le bombe, l'estremismo nero.
E la realtà corrotta in cui sono cresciuti i “Demoni” (di Dostojewsky) che pensavano di cambiare il paese, di fare la rivoluzione per il proletario, a colpi di pistola. Si saranno pentiti del sangue versato o hanno semplicemente voltato pagina e lasciato all'oblio della memoria il compito di cancellare i ricordi.
Qualcuno si è rifatto la vita in Comunione e Liberazione, altri sono uomini d'affare in Giappone.


Il dovere della memoria è anche questo: ricordare, mettere in fila fatti e date uno dietro l'altro, fare i nodi al fazzoletto. Per far si che il passato ci sia di aiuto nelle scelte dell'oggi.

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