Pochi giorni fa abbiamo celebrato
l'anniversario dei 25 anni dalla strage di Capaci, il primo
atto di terrorismo mafioso contro lo stato da parte della mafia (e
forse non solo la mafia) dopo la sentenza del Maxi processo a cosa
nostra.
Molti hanno commentato dicendo che lo
Stato, nonostante il ricatto delle bombe, è stato in grado di
rispondere, le istituzioni hanno tenuto, come già successo nel
passato con la lotta al terrorismo nero e al terrorismo rosso.
Quando erano altre bombe (o forse le
stesse, chissà) a scoppiare e ad uccidere persone inermi: a Milano alla banca dell'Agricoltura, a Brescia durante una manifestazione
indetta dai sindacati.
O quando gruppi eversivi di estrema
sinistra colpivano uomini dello Stato, magistrati, uomini delle forze
dell'ordine e poi anche avvocati e giornalisti.
Oggi, 28 maggio 2017 è un'altra
data importante nel nostro calendario laico: in questa data si
ricordano la bomba a Piazza
della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 e l'omicidio del
giornalista Walter Tobagi, a Milano il 28 maggio 1980.
A legare questi due eventi questa lotta
contro i nemici della tenuta delle istituzioni: la bomba a Brescia
si inserisce nel terrorismo di destra che doveva
preparare il terreno ad un golpe, ad uno spostamento a destra
dell'equilibrio politico. Questo almeno nella testa dei manovali
della morte, gruppi di estrema destra come Ordine
Nuovo che hanno agito anche con le coperture di corpi dello
stesso stato (lo testimoniano i depistaggi che per troppi anni hanno
allontanato i magistrati dalla verità, i rapporti degli ordonovisti
coi servizi e con ufficiali della Nato).
Dire «le stragi le hanno fatte i servizi», a sottintendere che il terrorismo di destra di destra non c'entra, è una comoda scappatoia. Senz'altro è vero, e alcuni ex terroristi l'hanno raccontato, che la galassia della destra eversiva si è sentita usata e poi scaricata dai padrini nascosti nelle forze di sicurezza statali, quando fu evidente che l'«ora X» del colpo di Stato non sarebbe mai arrivata, perché allo status quo bastava l'intentona. Ma è troppo comodo, da parte di chi militava in quel mondo, proclamare la propria estraneità sulla base del seno di poi, l'evidenza che le stragi hanno stabilizzato il potere in senso neocentrista. I servizi erano coinvolti in una partita giocata dalla destra eversiva. Ci hanno creduto davvero, e a lungo, i camerati che a furia di botti e attentati, sarebbero riusciti a innescare una svolta autoritaria.Una stella incoronatadi buio, di Benedetta Tobagi Pagina 288, Einaudi editore
Bombe, quella di Milano, quella
dell'Italicus, quella di Brescia, che sono servite a
stabilizzare la politica centrista nel nostro paese, impedire
qualsiasi cambiamento politico, qualsiasi alternanza dei governi,
bloccata dagli accordi di Yalta che avevano bloccato l'Italia
nell'area di influenza atlantica.
La bomba non fa che approfondire la spaccatura. Manlio mi spiega che dietro al netto rifiuto, suo e di tanti compagni, della prospettiva del «compromesso storico» c'era proprio il sentimento dell'impossibilità di governare insieme alla forza politica che di fatto ha avallato per anni le coperture agli stragisti. In questo senso, la bomba ottenne l'effetto auspicato da molti golpisti di rendere più difficile il consolidarsi di una prospettiva del compromesso cattocomunista verso cui tende la «repubblica conciliare», come la definiscono con sarcasmo i missini.Una stella incoronata di buio, di Benedetta Tobagi Pagina 215, Einaudi editore
La stagione del terrorismo rosso,
delle Brigate Rosse e dell'arcipelago delle centinaia di sigle
unificate nella sigla del “partito armato” nasce, a fine anni
'60, da slogan come “resistenza tradita”, dalla bomba di Milano,
messa dai fascisti con le coperture dello stato, che fece da alibi
per proseguire la “lotta di classe” usando forme di lotta
più incisive, fuori dalla legge, fuori dai partiti, dai sindacati.
Se lo stato usa le armi, per creare terrore, se usa la violenza
contro i cittadini, non c'è altra soluzione che rispondere con
altrettanta violenza.
“Nei lunghi anni Settanta il terrorismo italiano rappresentò per il sistema democratico una minaccia senza uguali in Europa. Questo libro, che ricostruisce pagine essenziali ma poco note della lotta armata in Italia, è un intreccio unitario di cronaca, testimonianza e storia che, a partire da Padova e dal Veneto, svela le strategie insurrezionali del partito armato in tutte le sue articolazioni, movimenti di massa e avanguardie combattenti, Autonomia Organizzata e Brigate Rosse”.
Terrore rosso, di PietroCalogero, Carlo Fumian, Michele Sartori - Dalla terza di copertina
Si iniziò coi rapimenti mordi e fuggi
di dirigenti dei gruppi industriali, incendi a depositi:
Nel 1973 ero giudice istruttore a Torino. Le prime azioni delle Brigate rosse erano attentati contro cose: sabotaggi, incendi in stabilimenti industriali. Poi il salto di qualità con i sequestri “mordi e fuggi” di capireparto e sindacalisti di destra, “interrogati” e liberati dopo poche ore, ma esposti - secondo la logicaterroristica - alla pubblica gogna. Così, a Torino venne rapito, il 12 febbraio 1973, il sindacalista della Cisnal Bruno Labate, sequestrato al mattino sotto casa, sottoposto a “processo proletario”, fotografato e rilasciato di fronte ai cancelli della Fiat Mirafiori, incatenato a un palo, con un cartello appeso al collo e la testa cosparsa di pece. Alla fine dell’anno, le Br di Torino colpirono ancora più in alto. Sequestrarono un importante dirigente Fiat, Ettore Amerio, e lo tennero prigioniero per ben otto giorni, dal 10 al 18 dicembre 1973, pretendendo in cambio la revoca della cassa integrazione.Le due guerre - Gian Carlo Caselli Melampo editore
Per passare all'attacco al cuore dello
Stato: l'omicidio del giudice Francesco Coco a Genova, nel 1974, degli
altri magistrati milanesi Emilio Alessandrini e Guido Galli
(uccisi perché lavoravano
bene, perché davano col loro credibilità a quello Stato che questi
gruppi criminali volevano solo abbattere). Agli omicidi
dell'avvocato Fuvio Croce a Torino (dove si stava tenendo il
processo alle Br), fino al rapimento di Aldo Moro e all'uccisione della sua scorta in via Fani il 16 marzo del 1978.
Guerra in cui a venire uccisi erano
anche operai, sindacalisti come Guido Rossa, ucciso a Genova nel
gennaio 1979, dopo aver denunciato un altro operaio che faceva da
postino per le Br, per la distribuzione dei loro comunicati
deliranti:
“Più che rimorsi, oggi Guagliardo [autore dell'omicidio] dice di aver impianti. Soprattutto di non aver capito prima l'eterogenesi dei fini: il mezzo della lotta armata era diventato un obiettivo in sé, e i soldati della rivoluzione si stavano trasformando in qualcosa che non era migliore di ciò che intendevano combattere. L'ex dirigente delle Brigate Rosse è consapevole di aver arringato individui, per convincerli a impugnare le armi, che hanno sparato per costruire qualcosa di diverso, ma probabilmente per motivi di affermazione personale: forse uccidevano con la stessa leggerezza con cui hanno camminato sopra i cadaveri delle loro vittime, pur di uscire in fretta dalla galera e senza eccessive conseguenze per la propria esistenza”.Il brigatista e l'operaio, Giovanni Bianconi Einaudi
Ad unire queste due guerre e i due
eventi da cui sono partito c'è un altro filo che porta alla
scrittrice Benedetta Tobagi che in due successivi libri ha raccontato
la storia del padre (Come mi batte forte il tuo cuore) e della strage
di piazza della Loggia (Una stella incoronata di buio).
Walter Tobagi era un giornalista
di 33 anni, quando fu ucciso a Milano il 28 maggio 1980: era nato per
fare il giornalista, lo era stato fin dai tempi del liceo.
Il suo attentato fu rivendicato dalla
sigla Brigata XXVIII marzo (la data della strage di via Fracchia
quando i carabinieri fecero l'irruzione in un covo delle Br a Genova)
di cui facevano parte Marco Barbone e Paolo Morandini: la
consideravano (la rivendicazione e l'omicidio di Tobagi) un biglietto
da visita per entrare a far parte delle Brigate Rosse.
Perché è importante questo legame tra
il giornalista e uno degli episodi più sanguinosi della nostra
storia?
Perché per comprendere la realtà in
cui viviamo servono persone che sappiano comprenderne le dinamiche e
che sappiano poi anche raccontarle.
Walter Tobagi era uno di questi.
Benedetta lo racconta nel libro che gli ha dedicato: l'impegno nel
sindacato dei giornalisti e l'impegno come giornalista nel sapercapire e comprendere l'Italia di fine anni 70. Le tensioni nella
società, che sfociavano nei cortei di piazza, causa anch'essa del
crescere del “partito armato”.
La lezione pare fin troppo chiara: le lotte sindacali più dure, quelle oltre i limiti convenzionali della legalità, sono servite agli arruolatori delle Br come un primo banco di prova e di selezione. Il sindacato dovrà tenerne conto, giacché i proclami nobili vanno accompagnati con revisioni coerenti. Questo può implicare anche una temporanea diminuzione del potere sindacale in fabbrica. Ma la scelta non ammette grandi alternative, se è vero come è vero (e tutti i dirigenti sindacali lo ripetono) che il terrorismo è l’alleato «oggettivamente» più subdolo del padronato, e se non viene battuto può ricacciare indietro di decenni la forza del movimento operaio.
In un suo articolo celebre sulle Brigate Rosse, successivo all'irruzione in via Fracchia a Genova, dove per la prima volta lo Stato mostrava la forza, scrisse: “si dissolve il mito della colonna imprendibile”.
Il suo motto, come emerge dai diari,
dagli articoli, dalle pagine di appunti, dai libri è tratto
dall'Etica di Spinoza: “humanas actiones non ridere, non lugere,
necque detestari, sed intelligere” - non bisogna deridere le
azioni umane, né piangerle, nè disprezzarle, ma comprenderle.
Comprendere dunque, per poter poi
raccontare:
“Capire il mondo, fare i conti con il negativo, senza abbandonare la convinzione che esiste la possibilità di fare bene e migliorare le cose. Magari nel piccolo, ma esiste, sempre: anche quando tutto sembra perduto. Il riformismo di papà non era solo un insieme di convinzioni politiche, ma una sorta di condizione esistenziale: il sentiero stretto per sfuggire alla trappola duplice dell'arrendersi al cinismo e alla disillusione, da una parte, e allo sdegnoso rifiuto di mescolarsi con una realtà che sa di essere profondamente corrotta”.
La realtà corrotta
in cui sono maturate le stragi, le bombe, l'estremismo nero.
E la
realtà corrotta in cui sono cresciuti i “Demoni”
(di Dostojewsky) che pensavano di cambiare il paese, di fare la
rivoluzione per il proletario, a colpi di pistola. Si saranno pentiti
del sangue versato o hanno semplicemente voltato pagina e lasciato
all'oblio della memoria il compito di cancellare i ricordi.
Qualcuno si è rifatto la vita in Comunione e Liberazione, altri sono uomini d'affare in Giappone.
Qualcuno si è rifatto la vita in Comunione e Liberazione, altri sono uomini d'affare in Giappone.
Il dovere della memoria è anche
questo: ricordare, mettere in fila fatti e date uno dietro l'altro,
fare i nodi al fazzoletto. Per far si che il passato ci sia di aiuto
nelle scelte dell'oggi.
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