16 ottobre 2018

Presadiretta – iperconnessi

Questa sera parliamo di smarthone, la nostra scatola nera – così ha esordito Iacona nell'ultima puntata della stagione di Presadiretta: non c'è aspetto della nostra vita che non passi dal nostro smartphone.
Ha cambiato la nostra vita, il modo in cui fare business e ha arricchito le compagnie web.

Che fine ha fatto la web tax?
Il deputato PD Boccia ha dato la colpa all'ex presidente Renzi, che ha bocciato la sua proposta.
Il pd ha sposato la tesi delle compagnie americane: se tassate le imprese del web, loro non vengono ad investire in Italia.
Una sciocchezza, ha spiegato Boccia: queste imprese ci vedono come consumatori e basta, non vengono in Italia per investire.
Le compagnie web hanno una base imponibile che va dai 50 ai 60 miliardi, per una imposta che potrebbe arrivare a 7-8 miliardi l'anno (sulla base di una legge europea).

Juncker non è credibile quando parla di web tax, ha proseguito Boccia: ha fatto accordi con queste imprese, per fare dumping.
Boccia ha raccontato di contatti da parte di ambasciatori americani, una cosa che in America indignerebbe se fatta al contrario.
Anche il M5S era favorevole a questa proposta, finché Grillo (che aveva idee simili a Renzi) non scomunicò la scelta dei suoi deputati.
Ora c'è una tassa per ogni transazione: ma non è la soluzione, la soluzione giusta è far pagare le imposte, come qualunque altra impresa. Google, Air bnb, Facebook..

Le proposte del governo non sono tutte da buttare, la diagnosi che fanno della società non è da buttare: il pd deve riconnettere le istituzioni ai luoghi del bisogno e questa manovra ha questa ambiguità. Perché è una manovra a debito, ma se raccontiamo che risolviamo i problemi degli italiani a debito, diciamo una sciocchezza. Servirebbe avere coraggio e mettere tutte le risorse per ridurre le tasse sul lavoro: il governo non ha coraggio perché sta frammentando le risorse in tanti rivoli per soddisfare tutti.

Iperconnessi di Lisa Iotti

Siamo noi a possedere lo smartphone o è lui a possedere noi?
Dalla mattina alla sera, quante ore passiamo a guardare lo schermo del ns smartphone?
Non ci rendiamo conto del tempo che ci passiamo assieme: ci sono persone che la prima cosa che fanno è postare una foto per testimoniare della propria esistenza.
O guardare le foto di una star del web. O guardano il meteo a Bora Bora per sognare.
Siamo super informati per questo?
Riusciamo a non farci risucchiare da questo mondo?
No.
Nemmeno riusciamo più a leggere le pagine di un libro, troppo noioso rispetto al caos della rete.
Le persone che hanno sostenuto il test per Presadiretta sono state al telefono dalle 3 alle 4 ore, in un giorno.

I ricercatori hanno studiato la simbiosi con questi dispositivi: ci sono più schede mobile che persone al mondo, siamo terzi al mondo in Italia come diffusione degli smarthone, mediamente lo tocchiamo 2917 volte al giorno. Meglio perdere una valigia che lo smartphone …

Senza smartphone arriva la nomofobia, la paura di rimanere senza collegamento, senza questo compagno: a NY il sindaco De Blasio ha fatto installare nelle strade colonnine con porte usb, per ricaricare anche in strada.
Le nuove auto sono estensione dei cellulari: vedere sullo schermo dell'auto quello del cellulare.
Siamo su internet una media per 6 ore al giorno: una montagna di relazione da cui non è possibile staccarsi, perché ogni giorno si creano nuovi contenuti, mail, foto, messaggi.

Com'è l'uomo nuovo, l'uomo cellularis?
Tornare indietro ad un mondo senza internet è impossibile, nessuno lo vuole. Ma lo smarthone ha rivoluzionato la nostra vita in modo prepotente, perché sta cambiando anche le nostre capacità cognitive, senza che ce ne accorgiamo.
Diventeremo come i pesci rossi?
In America la percentuale di persone morte attraversando senza guardare è salita del 230%, ad Anversa hanno creato corsie apposta per chi legge messaggi.
In Cina e Germania hanno creato dei semafori a terra per aiutare le persone che camminano guardando per terra.
In Svizzera hanno realizzato un video choc, che mostra un ragazzo investito mentre attraversa con le cuffiette senza controllare i veicoli.

C'è chi guida mentre si sta al telefono: le nostre reazioni cambiano se sei disattento dallo squillo del cellulare, anche solo lanciare uno sguardo rischia di farci andare fuori strada.
Yannick era una ragazza olandese: è morta proprio perché un guidatore ha risposto ad un messaggio e non si è accorto della ragazza.
Perdere la vita per una cosa stupida: ci sono moltissime Yannick nel mondo, raccontano i genitori.
Ogni anno muoiono 250mila persone, per un costo di 20mila miliardi l'anno. Non ce lo possiamo permettere.

E l'uso degli smartphone sta cambiando la nostra postura: non siamo più persone erette, ma chini sul display, creando tensione sul collo e le spalle.
La gente cammina guardando a terra e il loro mondo si restringe: cambia il mondo e anche la nostra testa, la nostra capacità di concentrazione.
Siamo tutti multitasking, vero, ma a costo di uno stress al cuore, con una caduta dell'attenzione.
Il tempo davanti ad uno schermo oggi è in media di 40 secondi: con questo periodo di attenzione non riesci a fare alcun pensiero profondo e le persone sono meno produttive.

Mentre stiamo scrivendo, ci fermiamo per guardare il cellulare, chattare, rispondere ad una mail: perdiamo ore di lavoro, ore di tempo.
Dobbiamo continuamente spezzare l'attenzione per spostare il focus: switchiamo ogni frazione di secondo il punto dell'attenzione, col risultato che secondo uno studio di Microsoft abbiamo la soglia inferiore a quella del pesce rosso (otto secondi; il pesce rosso nove).

I cambiamenti sono a livello biologico, all'interno del cervello: pensiamo meno e pensiamo in modo più semplice.
Il professor Merzenich ha studiato la plasticità del cervello: ogni giorno possiamo modificare il nostro cervello, in meglio e in peggio, dicono i suoi studi.
È un macchina in grado di rimodellarsi e a sapersi orientare: le nuove tecnologie stanno cambiando il cervello perché assegniamo alla macchina un compito che dovrebbe essere del cervello, non facciamo più lo sforzo di orientarci in uno spazio nuovo.

Il professore sostiene che si dovrebbero studiare meglio gli effetti di queste tecnologie: all'università di San Diego i ricercatori si sono chiesti se avere lo smartphone vicino, avesse già un effetto sulle persone.
Il test fanno su qualche centinaio di persone che avevano il cellulare lontano hanno fatto test migliori, perché il loro cervello non era risucchiato dallo smartphone.
Risucchia parte della nostra attenzione, riduce le nostre risorse cognitive e la capacità di risolvere problemi complessi.

Quando il nostro smartphone squilla, si accende anche la ghiandola surrenale, è una reazione istintiva che deriva dall'uomo primitivo: maggiore ansia, che a lungo termine danneggia il nostro organismo.
Si tratta di stress inutile: lo smartphone è una trappola, dunque, una finta evoluzione.
Ad ogni notifica siamo costretti a dare retta al dispositivo, il cervello è come se avvertisse un segnale di pericolo, e noi dobbiamo controllare mail e messaggi per questo pericolo.

E questa provoca a catena, il controllare in modo compulsivo nuovi messaggi, perché siamo sempre in attesa di novità: come un allarme che continua a scattare.
L'effetto finale è come quello della dipendenza dalle droghe: meglio chattare che fare sesso? Che mangiare qualcosa di buono?
Meglio un like, una piccola gratifica.

Usare internet sviluppa le cellule frontali del cervello, che è continuamente “eccitato” dalla marea di informazioni: ma sono informazioni che rischiano di formattare il cervello.
Cambia anche il modo di leggere, che tu abbia davanti un libro o una pagina web: si fa zig zag sulle pagine, piene di stimoli, pieni di link che rischiano di farti perdere la comprensione del testo.

Tullio De Mauro aveva detto il 71% degli italiani ha una incompleta capacità di comprendere un testo di media complessità.
Persone incapaci di affrontare ragionamenti complessi: chi lavora nei social le sanno queste cose, per acchiappare i potenziali utenti.

Nir Eyal è uno studioso del web, che ha scritto un libro su come prendere all'amo le persone coi social: i guru della rete hanno studiato psicologia, hanno ideato i loro prodotti (linkedin, whatapp) secondo questi criteri.
Fare cose semplici, dando loro una ricompensa “variabile”: così si acchiappano le persone.

Come i piccioni del professor Skinner: si crea l'abitudine perché si aspetta la prossima ricompensa, scorrendo la bacheca o la tweet list su twitter.
Dove si mescolano cose stupide con cose interessanti: si cattura lo sguardo della persona per monetizzare l'attenzione.
La nuova valuta del mercato digitale è l'attenzione: la pubblicità in rete nel 2017 ha superato quella televisiva e in 5 anni arriverà a 464 miliardi di dollari.

James Williams è un ex Google stategist: ha parlato a Lisa Iotti della capacità di Google di modellare le persone, di spingere loro a fare qualcosa che non avevano intenzione di fare.
È un potere che nemmeno le nazioni hanno.
Stesso discorso fatto da Jaron Lanier, ex microsoft.
Ci sono algoritmi che ti convincono di passare tempo sulla piattaforma, ti consigliano il prossimo video da vedere, i post su facebook, i commenti più vigorosi.
O quelli di odio che catturano più dei commenti pacati.

Ci fa sentire parte di una tribù, che comporta una polarizzazione del pensiero: l'algoritmo cerca un feedback immediato (come certi politici nostrani) e questo si ottiene con emozioni forti, come paura o indignazione.
Questo porta le persone ad essere più irascibili, non più intenzionato a confrontarsi con gli altri.

Non è che Google vuole modificare la democrazia: ma il loro business è questo, su questi principi basano il loro guadagno e noi siamo le loro cavie.

Ramsay Brown è il fondatore di Boundless mind: anche qui parlano di algoritmi di dipendenza, che si basano sugli studi della neuroscienza e su come le persone interagiscono coi social.
Ogni riga di codice modifica il nostro comportamento: twitter ti da poche righe per esprimere un pensiero e questo è già una condizione.

“Stiamo ricablando il tuo cervello” ammettono: i circuiti delle tue emozioni sono cambiati dal tuo telefono, in modo che noi possiamo prevedere.
Noi possiamo prevedere,ricablare e manipolare il cervello delle persone.

Facebook ha fatto un esperimento su alcuni suoi utenti, senza averli avvisati: ha selezionato le notizie che apparivano in bacheca, come se fossero delle cavie da manipolare.
Uno studio per migliorare i servizi, così si è difesa Facebook, che ha deciso di non rispondere alle domande di Lisa Iotti.

Questi algoritmi stanno portando miliardi di dollari dentro queste compagnie di internet: Facebook ha fatturato 40 miliardi di dollari, Google 110 miliardi di dollari.
Come se ne esce da questa rete di ricompense, ben nascosti nella sfera dell'inconscio?
Faremo la fine dei pesci rossi?

Safe Drive Pod è una società che produre una app che disabilita il cellulare mentre si è alla guida. Per la nostra sicurezza.
Usare la tecnologia per salvarci da queste tecnologie.
E poi il decalogo: non rispondere subito ai messaggi, togliere le notifiche, niente cellulare quando si mangia, non usare lo smartphone come baby sitter, non usarlo in riunione quando ci si annoia, non cercare l'informazione precisa se non la sai, mai guardare lo smartphone di notte, andare in posti dove non c'è rete.

C'è anche la soluzione drastica: togliere del tutto i nostri account sui social.
Così l'industria tecnologica sarà costretta a cambiare: questa l'idea di Jaron Lanier.

E poi limitare l'uso dei cellulari nelle scuole, togliere lo smartphone nelle classi,

Lisa Iotti ha intervistato Simona Panzeri, la responsabile comunicazione di Google: possiamo cambiare modello di business di Google, basato sulla cattura della nostra attenzione?
Si può cambiare, la nostra pubblicità è targhetizzata sulla persona, basta sulla sua navigazione.
Dovremmo pagare un abbonamento, come sta succedendo su Youtube, per vedere video senza pubblicità.
È possibile disabilitare gli annunci correlati alla nostra navigazione.
Nessuna manipolazione dunque.

Servirebbe un cloud pubblico, sostiene Boccia: il rischio è che i signori del web oltre ai dati privati avranno in mano i dati della sanità e dell'anagrafe, potranno prevedere le nostre azioni.
E magari ci indicheranno la strada da prendere.
Regole chiare per ogni business: Facebook è un editore o no?
Se non lo è, le fake news le deve rimuovere subito.
Stessa cosa per Amazon che rischia di essere il primo distributore e anche la prima banca.

Internet era nata per unire: oggi invece siamo divisi e si coltiva molta rabbia.
Lo stato deve regolare i fenomeni sul piano fiscale e sulle regole, sulla privacy e sulla sicurezza: chi è contrario o è ingenuo oppure fa da sponda a chi fa business.

Come ci comportiamo quando attaccati all'esca ci sono progetti politici? Cosa succede quando propaganda politica e analfabetismo digitale si incontrano?
L'Italia è seconda, dopo la Turchia, come analfabetismo funzionale, nemmeno sappiamo leggere il libretto del nostro cellulare.
Non sappiamo distinguere tra percezione e realtà, prendiamo decisioni sulla base di quello che crediamo di sapere, ma sono decisioni manipolate.

Alla università di S Orsola hanno dimostrato che una buona parte di persone non è in grado di distinguere il vero dal falso. Ed è ancora più vero per gli adolescenti.
Che non sanno nemmeno più scrivere o scrivono senza punteggiatura.
La scrittura diventa una questione orale: chi scrive non pensa all'interlocutore.
Si ragiona per preconcetti, non si va più alla ricerca del significato di un termine sconosciuto.
Sono le testimonianze della professoressa Faitelli, di Roma.
Secondo questi principi si creano le fake news: stiamo costruendo una generazione che non legge e non comprende.
È una generazione sull'orlo della peggior crisi degli ultimi decenni: hanno risultati peggiori dei loro coetanei degli anni 2000.

Se i cellulari stanno prendendo la mia memoria, dove sta la mia memoria – si chiede il professor Eustache a Parigi: perdiamo la memoria a lungo termine, quella rielaborata dal cervello e dunque la nostra identità.
Abbiamo bisogno del sonno, di momenti di riposo nel giorno, in cui facciamo scorrere i nostri pensieri: durante queste pause creiamo la nostra memoria, quella che ci permette di avere delle opinioni e di fare delle scelte.
La memoria è quello che fa si che noi siamo noi stessi.

Abbiamo milioni di informazioni a disposizione e questo ci da la sensazione che siamo più intelligenti: ci manca l'umiltà di dover cercare le cose, porci delle domande, essere riflessivi.
Cerchiamo online a gran velocità e stiamo diventando creature solo reattive, non persone che ragionano in modo razionale.

“Il vaso di Pandora è stato aperto” ci dice il professor Merzenich: per cambiare le cose dobbiamo essere consapevoli del rischio e di essere manipolabili.
Cittadini manipolabili da politici che oggi usano la rabbia e il cinismo per crescere di popolarità: succede in America e anche in altre nazioni.
Dove crescono politici che esaltano la sovranità: l'ex sviluppatore Lanier vede una correlazione tra l'aumento dei social con il crescere dei populismo.

Tutto passa attraverso lo smartphone, anche le scelte politiche, senza filtri intermedi, quando vince chi urla più forte, allora il rischio fascismo è vicino.
Anche qui, dove i nostri politici sono i re dei social.
E i partiti sono macchine acchiappa attenzioni, giocano sulle emozioni e alimentano paure e rabbia.
Non facciamoci acchiappare all'amo, usiamo il nostro cervello.

Elena Stramentinoli ha raccontato poi la guerra sul lavoro, il dumping tra paesi europei, in cui ci si ruba il lavoro puntando su salari sempre più bassi.
Una gara truccata che si basa sull'esistenza di paradisi fiscali, come ci ha raccontato la storia del caso Embraco.
Fino a dove vogliamo arrivare?

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