09 ottobre 2018

Vajont 55 anni dopo: il nodo si è sciolto

9 ottobre 1963, Vajont: 55 anni fa avveniva la più grave sciagura avvenuta in Italia in epoca moderna.
Una tragedia che di naturale aveva ben poco, se non l'effetto finale, la frana caduta dal Monte Toc sull'invaso della diga di Longarone, sollevando un'onda che si era abbattuta su Longarone e altri paesi della valle del Piave.
2000 morti, la metà dei quali nemmeno più ritrovati, spazzati via dal fango e dalle acque. Un effetto falla out pari a due bombe atomiche di Hiroschima.
Dopo la serata su Rai2, il teatro della memoria di Marco Paolini, per diversi anni il nodo al fazzoletto aveva funzionato: anno dopo anno, ogni 9 ottobre ci ricordavamo della tragedia e delle sue cause tremendamente umane.
L'aver messo davanti a tutto, anche davanti al buon senso, il guadagno, il denaro.
Nulla poteva fermare una delle più grandi opere di ingegneria idraulica al mondo, fatta da noi italiani.
Perché noi eravamo bravi una volta, a realizzare queste grandi opere.
Meno bravi a comprendere i segnali che la natura ci aveva lanciato, molti anni prima di quel maledetto 9 ottobre.
La frana ad Ortisei poco lontano. La frattura in cima al monte Toc. I rumori dalla montagna. La prima frana sul Toc.



La Sade era uno Stato nello Stato, poteva decidere di spostare geologi scomodi, di tenere nel cassetto relazioni troppo allarmistiche (come quella di Ghetti, docente di idraulica a Padova), poteva mettersi al di sopra di presidenti di provincia, sindaci. Poteva permettersi di zittire giornali (quelli di cui non era proprietaria, come l'Unità di Tina Merlin).
Perché era il progresso, e il progresso non si poteva fermare per quattro montanari ignoranti, come venivano considerati gli abitanti di Erto e Casso che per anni hanno portato avanti una loro battaglia contro la Sade.
Per gli espropri.
Per i pochi soldi dati.
Per le mancate rassicurazioni sui rischi della frana.



Il progresso non poteva essere bloccato nemmeno da quei giornalisti che, il giorno dopo la tragedia, cercavano di uscire dal canovaccio che ripeteva è solo colpa della natura.
"Un sasso è caduto nel bicchiere ..." (Dino Buzzati)

Sciacalli venivano chiamati i giornalisti come la Merlin che si ostinavano a ripetere che era tutto previsto, che non è vero che questa era una strage senza colpevoli.
Per anni, dopo quel nodo alla memoria, ci siamo ricordati del Vajont, di Longarone e di Erto e Casso.
Oggi, se parli di Vajont, viene in mente la faccia di Mauro Corona che pure era presente quella sera del 9 ottobre 1997.
Il nodo al fazzoletto purtroppo si è sciolto e così, anno dopo anno, siamo costretti a rivivere (per fortuna in piccolo) quella storia attraverso tutti gli eventi "imprevisti" drammatici che si ripetono sul nostro territorio.
Alluvioni, frane, montagne che scivolano a valle. Ponti che crollano (non pensate che quello che è successo a Genova questa estate sia così diverso).
E ogni volta altre morti da piangere.

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