Nonostante fossero i dieci anni dalla
scossa del 6 aprile 2009, quest'anno l'anniversario del terremoto del
l'Aquila è finito in sordina, quasi nascosto da altre notizie
appartenenti al teatrino della politica, come la questione Tria, le
liti nella maggioranza, i cantieri da aprire e le periferie
abbandonate dove sono solo i fascisti ad occuparsi delle persone, come a Torre Maura.
Almeno questo doveva essere il canovaccio che però è stato
ribaltato da un ragazzo coraggioso, Simone, che è riuscito a mettere al loro
posto i fascisti di casa pound.
Eppure l'Aquila è un nodo al
fazzoletto che ci dovrebbe ricordare quanto sia fragile il nostro
territorio, quanto siamo incoscienti a costruire e costruire (il
partito del cemento che ha sempre fame di nuovi territori) senza
mettere mai in sicurezza.
Nella storia del terremoto del 6 aprile
2009 c'è dentro tanto del marcio di questo paese: la politica delle
promesse (non mantenute) e delle strumentalizzazioni, i costruttori
senza scrupoli, lo spreco di denaro pubblico perché si deve fare in
fretta, in urgenza, in deroga alle leggi (vedo anche il caso Expo).
Ma c'è dentro anche la volontà delle
persone del luogo di non arrendersi: c'è un episodio, ricordato
anche ieri sera a Propaganda live: quando gli aquilani, stanchi di
aspettare, presero le carriole ed entrarono nella zona rossa per
sgomberare le macerie.
L'allora Prefetto Tronca mandò la
Digos a fermarli ed identificarli.
Non dovevamo permettersi di
interrompere la macchina dello show dell'allora governo Berlusconi? O
cosa?
Sono anni che si sente parlare di messa
in sicurezza del territorio, dei mille cantieri da aprire sul
territorio per sistemare scuole, argini dei fiumi, montagne.
Eppure, quando arriva il dunque, si
rimane bloccati attorno alle solite mangiatoie pubbliche: le
autostrade, gli inceneritori, il TAV in val di Susa (su cui il PD si
sta giocando la faccia).
Purtroppo passeranno altri anni,
sentiremo altre promesse, assisteremo ad altre lacrime di coccodrillo
per altre tragedie.
Purtroppo.
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