28 giugno 2019

Il depistaggio di Stato (da Depistato di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza)

Esce per Chiarelettere un nuovo saggio scritto da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza sulla strage di via D'Amelio (in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta) e sul depistaggio organizzato da uomini in divisa per creare la "pista Scarantino".

Sul Fatto Quotidiano è uscita una anticipazione

“Su Agnese e i figli gli occhi del Viminale e di un prete”Borsellino - Tutti i buchi neri del 19 luglio ‘92 nel racconto di 27 anni di falsi testimoni e false verità, alla luce delle nuove sentenze

Pubblichiamo un estratto del libro “DepiStato” di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Chiarelettere), in libreria da oggi
Nei mesi immediatamente successivi alla strage di via D’Amelio, il Viminale sembra più preoccupato a controllare la famiglia Borsellino che a cercare la verità. Lo racconta nell’aula del processo ai tre poliziotti accusati del depistaggio il funzionario di polizia Gioacchino Genchi citando, come “ideatore” del controllo, l’allora capo della Criminalpol, Luigi Rossi.
Nell’udienza dell’11 gennaio 2019 a Caltanissetta, Genchi racconta: “Rossi era molto attento a tenere rapporti con la famiglia Borsellino. C’era uno studio scientifico di come si dovesse creare attorno alla famiglia un cordone di protezione e controllo. Si studiavano le mosse e gli accorgimenti, si individuò un sacerdote, padre Bucaro (già fondatore del Centro Paolo Borsellino e oggi direttore dei Beni culturali della Diocesi di Palermo, nda), si finanziò con centinaia di milioni uno pseudo centro dove poi tutta la contabilità sparì dagli hard disk, e questo prete tallonava la signora Borsellino. Il prefetto Rossi, attraverso padre Bucaro, mantiene il controllo e una sorta di ibernazione della famiglia Borsellino affinché non potesse nuocere alla gestione (delle indagini, nda) che continuava a fare. Perché era chiaro che la famiglia Borsellino non poteva tollerare La Barbera”.
 
E qui Genchi tira fuori dalla sua memoria un aneddoto […]: “Una sera andammo in una pizzeria di Palermo […]: eravamo io, La Barbera, i pm Cardella e Boccassini. Entrò la signora Agnese con i familiari, tutti si alzarono, la signora era indignata e si rifiutò di dare la mano a La Barbera. C’era un’ostentata dimostrazione di carenza di fiducia che Agnese volle palesare a La Barbera. […] La ragione fu fatta risalire dai pm Boccassini e Cardella all’agenda rossa. Dicevano: ‘La signora Borsellino è convinta che l’agenda l’hai fatta sparire tu’. Questa cosa innervosiva moltissimo La Barbera”.
Pure il pm Nino Di Matteo, durante la requisitoria del processo Trattativa, ha fatto riferimento a una sorta di controllo istituzionale su Agnese Borsellino, anche se in senso benevolo: “Il magistrato Diego Cavaliero ha spiegato la preoccupazione che la signora Agnese aveva nei confronti dei figli, che l’aveva indotta per tanto tempo a… subire in qualche modo il pressing benevolo e in buona fede delle istituzioni e delle forze di polizia che dal giorno dopo via D’Amelio hanno sempre costituito una parte integrante della vita della signora Borsellino”.
 
Ma chi è padre Bucaro, l’uomo che secondo Genchi doveva tenere “ibernata” la famiglia del giudice ucciso? Fondatore del Centro Paolo Borsellino e per qualche anno inseparabile amico e consigliere di Agnese Borsellino, il sacerdote Giuseppe Bucaro nel 2005 finì sotto indagine della Procura di Palermo per riciclaggio con Massimo Ciancimino e il tributarista Gianni Lapis. L’inchiesta ruotava attorno a una donazione di 5 milioni di euro destinata al Centro Borsellino, struttura nata con l’obiettivo di tutelare i minori con famiglie problematiche offrendo loro servizi di accoglienza, mensa, ricreazione e assistenza. Secondo l’ipotesi accusatoria, il sacerdote aveva chiesto a Lapis la donazione, che sarebbe transitata su un conto corrente cifrato in Svizzera: insomma, per gli investigatori e per l’accusa, presidente del Centro Borsellino si sarebbe prestato a ripulire parte del “tesoro” di Vito Ciancimino. Gli inquirenti monitorarono centinaia di movimenti bancari e ascoltarono migliaia di ore di conversazioni intercettate tra Ciancimino, Lapis e Bucaro, scoprendo che il sacerdote non aveva mai avuto rapporti diretti con il figlio di don Vito e che era stato il professor Lapis a mediare l’accordo sulla maxi-donazione. Davanti ai magistrati, […] il sacerdote si difese sostenendo che in questo modo intendeva “coprire” i grossi introiti del suo Centro, perché temeva che, se si fosse saputo della consistenza del patrimonio, c’era il rischio che “venissero rapiti i bambini”. Una versione che, però, non convinse nessuno. Nel 2007 l’indagine fu archiviata ma la Procura, pur sollecitando l’archiviazione, parlò di “ambiguità” dell’intera vicenda.

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