Io, nella puntata di Annozero che parlava di scuola, università e dei tagli (non di riforme), non ho visto facinorosi.
Non ho visto picchiatori, sprangatori, violenti.Non ho visto persone indottrinate (come accusava il signor Cota), ma persone semplicemente preoccupate.Ho visto tanti giovani protestare per i tagli alla scuole e universitàHo visto tante mamme, preoccupate per la sopravvivenza della scuola dei propri figli, per la riduzione o smantellamento del tempo pieno.
E adesso cosa faccio? Si chiedeva una ragazza separata, per cui ogni ogni giorno tra lavoro part time, corse a scuola per accompagnare i figli, è una battaglia. Ho visto tanti maestre che credevano nel loro lavoro.
Che spiegavano ai signori politici la differenza tra tempo pieno e modulo da 24 ore. Che spiegavano che oggi, i tre maestre, sono spalmati su due classi, per cui non è automatico avere due maestri più gratis, col maestro unico.
Ho visto una forte, bella mobilitazione nata dal basso, lontano da bandiere e partiti.
A Bologna, come a Roma, c'erano facce di italiani normali, costretti ad affrontare problemi come precariato, salari bassi, servizi insufficienti.
Certo la nostra scuola, la nostra università avrebbe bisogno di una bella riforma. Per la scuola spendiamo poco e male. Così come per la università e la ricerca, dove i pochi soldi finiscono in mille rivoli, nelle tante piccole università con pochi studenti.Così come servirebbe dare una svecchiata agli atenei, spesso in mano ai soliti baroni, dove i concorsi per le cattedre e i posti di ricercatore sono pilotati.
Ma di questo (baroni, concorsi truccati) non se ne occuperà il decreto Gelmini.
E, immagino, non se ne occuperà mai nemmeno in un prossimo futuro.
Una scuola capace di formare, che premia il merito e le capacità, potrebbe formare una gioventù capace di pensare con la testa propria e non con quella dei politici.
Per il momento, l'unica cosa che ho capito, è che le motivazioni ai decreti sono di natura economica. Tremonti ha chiesto dei tagli e i tagli si faranno.
Anche se a rimetterci sarà il nostro futuro.
Questi i numeri:
In Italia il 51% dei manager non sono laureati. All'estero sono il 24%.
I nuovi aprlamentari laureati sono scesi dal 91% (prima repubblica) al 64%, oggi.
La laurea evidentemente non è più un valore per entrare nella classe dirigente.