19 gennaio 2015

Presa diretta – la battaglia per il lavoro

Un centinaio di vertenze sono finite sui tavoli del ministero dello sviluppo. Tra queste anche quella dell'Ast di Terni. Nel frattempo il governo ha approvato la legge del lavoro, il jobs act: servirà a creare posti di lavoro?Una puntata di Presadiretta interamente dedicata alle due battaglie, perse, sul lavoro: Terni e Livorno. Due casi di multinazionali che hanno avuto mani libere di fare quello che hanno fatto, lasciando dietro solo problemi.

14 dicembre Terni: la messa di Natale. Dopo 40 giorni di sciopero contro il piano industriale, la vertenza per la AST si è conclusa con un accordo: questo mese i soldi ci saranno, lo stipendio arriva. Buon Natale, dice l'amministratore allegato!
La Thyssen voleva licenziare 550 operai e chiudere il secondo forno: con l'accordo il forno non si chiude, per adesso. Ma l'azienda ottiene che 190 operai siano licenziati subito (che è quello che chiedeva all'inizio).
Questo è il famoso accordo sbandierato dal governo di Renzi: la fine dell'acciaieria è solo rimandata. Dove sono le garanzie? Che succederà tra quattro anni?
Lucia Morselli, AD, non da garanzie sul futuro, perché la ditta non è “profittevole”. Si devono tagliare costi di lavoro, anche nell'indotto.
Fino al 30 settembre c'è il contratto per le ditte terze, si parla sono mille persone. Che forse perderanno lavoro.
Nonostante l'accordo però, 300 operai hanno deciso di andarsene, con un incentivo da 80000 euro lordi, perché non hanno fiducia nel futuro, non accettano più i rischi.
Se Renzi pensa che questo sia stato un buon accordo, che salva l'acciaio, sbaglia - dicono gli operai.

Vogliamo un mercato del lavoro giusto, non vogliamo regole complicate” - questo è quello che diceva Renzi in uno dei suoi spot da elezione permanente.
Il mercato è quelli in cui 310 lavoratori di Terni si sono licenziati volontariamente, o forse sono 400: siamo vicini ai 550 esuberi richiesti all'inizio dalla Thyssen. Se questo è un ottimo accordo, perché 400 lavoratori si licenziano?
Le piccole ditte dell'indotto stanno già licenziando perché non sopportano il taglio del 20% che l'AST di Terni ha chiesto.
La crisi di Terni è ancora tutta lì e non è stata affatto risolta.

La battaglia di Terni.
L'intera città si era mobilitata, il 17 ottobre, per difendere l'acciaieria.
Che aveva un fatturato da 2 miliardi di euro: dal destino della fabbrica dipende il destino di una regione, l'Umbria.
Il declino è iniziato quando la Thyssen ha puntato sull'acciaio inossidabile, abbandonando il magnetico. Quando il primo è calato, si sono persi posti di lavoro.
Gli investimenti fatti non si sono rivelati produttivi e hanno deciso di abbandonare il mercato.
Così il manifatturiero dovrà comprare l'acciaio da fuori.

Gli errori della multinazionale nel mondo li pagano i dipendenti, italiani.
Nel 2011 inizia il gioco dell'oca della AST: la Thyssen la vende ad una multinazionale finlandese. Bocciata dalla commissione europea. Scelta sbagliata, perché poi sono arrivati i cinesi che si sono presi il 30% del mercato europeo.
I finlandesi rivendono alla Thyssen Terni nel 2013, ma solo perché lo imponeva l'Europa: la Thyssen non era felice di ricomprarsi l'impianto. Fin da subito era chiaro che il loro obiettivo era ridimensionare Terni per rivenderne lo stabilimento.
Terni era uno stabilimento di eccellenza: i governi Monti e Letta non hanno fatto nulla e l'Europa che non ha battuto un colpo. L'Europa ha difeso i più forti: i tedeschi e i finlandesi.

I lavoratori sono andati a Bruxelles per incontrare Tajani: l'europarlamentare da la colpa alla concorrenza, ma il risultato è che si è avvantaggiata la sola Germania. E forse in questo gioco anche la politica ha avuto un peso.

Giulia Bosetti ha intervistato Enrico Gibellieri, ex membro del comitato Ceca (il padre della UE): aveva scritto due lettere ad Almunia, presidente della commissione concorrenza, spiegandogli i rischi della sua decisione sulla Outokumpu, la multinazionale finlandese. Lettere cui Almunia non ha risposto. La Germania ha un peso in Europa e lo esercita: noi pure abbiamo un peso, ma non lo usiamo.
Il risultato sono le crisi di Terni, Taranto e Piombino, la fine della siderurgia e della manifatturiera.
La giornalista di Presadiretta è andata a visitare il bacino della Ruhr: qui c'è un impianto della Outokumpu che, dopo l'acquisto di Terni, doveva essere ridotto. Alla fine, con la cessione dello stabilimento italiano, a Krepeld ci saranno altri investimenti e altre assunzioni.
Il sindacato tedesco IG Metall , appoggiato dal governo tedesco, non si è fatto mettere i piedi in testa: ha impedito i 1300 licenziamenti annunciati dalla Thyssen, ha ottenuto una garanzia fino al 2020, per impedire i licenziamenti.
“Noi non lo permetteremmo”, dicono qui i sindacati riferendosi a Terni.
Il 2020 non è un anno qualsiasi: nel 2020 la domanda di acciaio in Europa è prevista in ripresa.
Il contratto nuovo ha salvato 1200 posti di lavoro veri, non promessi.
I sindacati hanno convinto le multinazionali a non lasciare gente a casa, spiegando che i licenziamenti fanno perdere le competenze. Che poi, quando ci sarà la ripresa, non ritornano indietro.

Il ministro Guidi ha risposto sui licenziamenti di Terni: “sono aziende che hanno bisogno di una ristrutturazione”. Che significa meno posti, meno costi per le multinazionali.
Il ministro parla ancora di rilancio industriale: ma in Germania si tutelano i posti di lavoro, in Italia no. E il rilancio, si è capito, è solo nella testa del governo.
La ristrutturazione farà perdere competenze.
Certo, in Germania non hanno una ministri come la Guidi..

La crisi dell'industria e la crisi dell'economia.
Novembre 2014: gli operai da Bruxelles tornano a Terni. E la città li accoglie: le famiglie, i dipendenti dell'indotto.
Gente stanca, disperata. Gente che manifesta coi bambini appresso: si lotta anche per loro a Terni.
L'indotto fa lavorare 20000 persone: sono centinaia le aziende coinvolte dalla Thyssen.
Senza lavoro dalla Thyssen, sono aziende destinate alla chiusura.
“Nessuno ha mai fatto nulla per Terni” dicono questi lavoratori a Giulia Bosetti.
Agli incontri nelle sedi di Confindustria, la Ilsev non si presenta, finché in uno di questi, l'amministratore viene bloccato dai dipendenti che chiedono spiegazioni.
Per molti di loro la battaglia finirà col licenziamento.
E la battaglia è proseguita con l'occupazione del casello di Orte.
Per ottenere un altro incontro al ministero del lavoro.

29 ottobre, Roma: la manifestazione sotto l'ambasciata tedesca.
La marcia verso il ministero è stata interrotta dalle manganellate della polizia.
In un paese di ladri di corruzione se la vengono a prendere gli unici onesti?” - Landini.
La storia di Terni è una storia di fallimento europeo e della politica industriale che non c'è stata in Italia in questi anni.
In Germania l'accordo coi sindacati non ha fatto perdere posti di lavoro, in Italia non si è fatto nemmeno i contratti di solidarietà.
Landini sul jobs act: bisogna togliere l'apartheid nel lavoro ma in realtà è aumentato – dice Landini.
La precarietà non si è ridotta, se si pensa alle partite Iva. Semplicemente è più facile licenziare: non ci sono progetti su trasporti, energia rinnovabile ..
Il lavoro non si crea perché sei licenziabile: queste leggi, serviranno a Renzi per farsi bello in Europa.
Landini è stato chiaro: Renzi non ha il consenso in Italia, non ci ha messo la faccia in una campagna elettorale. Metteremo in campo tutti gli strumenti, anche i referendum.

Giulia Bosetti è andata a sentire Marianna Mazzucato: è l'autrice de “Lo stato innovatore”, dove si parla del nuovo ruolo di uno stato che investe.
In Italia non si può più parlare di pubblico: la storia di Silicon Valley racconta che lo stato ha investito nella tecnologia. Altro che solo il mercato.
Senza un intervento pubblico mirato, non crei occupazione, anche se diminuisci le tasse per le aziende.
Il jobs act è sbagliato: per motivi statistici perché le aziende italiane hanno tre quattro lavoratori, non 13. Perché le tasse non fermano gli investimenti: le tasse sono meno soldi incassati dal pubblico.
La relazione profitti salari è più alta che mai – ha concluso l'economista: bisogna aumentare i salari.
Senza un piano di investimenti (che non sono ponti o strade) non si creeranno posti di lavoro.

Il contrario di quello che si dice in Italia: “le aziende devono avere meno sassi nelle tasche”, spiega la ministra. I lavoratori, in Italia, sono sassi.

I dati dell'Istat sono impietosi: 43% di disoccupazione giovanile. Crollo degli investimenti esteri: -60% dal 2007. Su 154 vertenze al ministero, la maggior parte sono di multinazionali, e coinvolgono 70000 dipendenti.

Il caso della TRW di Livorno: lo stabilimento produceva pezzi di auto per la Fiat e non era in perdita. Ma per compensare la perdita del gruppo nel mondo, si è spostata la produzione verso Polonia e la Spagna. Una guerra tra poveri che spiega come ragionano le multinazionali.
450 operai sono andati a casa: mentre la TRW prendeva i soldi dei contratti di solidarietà, la stessa multinazionale stava già spostando le linee di produzione in Spagna. Un comportamento scorretto nei confronti delle nostre istituzioni: le multinazionali arrivano, sfruttano il territorio e poi se ne vanno.
E quando se ne vogliono andare, usano gli ammortizzatori sociali senza nessun vincolo imposto dal governo, e fine delle trasmissioni.
Ai dipendenti della TRW era stato detto che erano un gioiello, un modello. Da 7 anni non prendevano aumenti per venire incontro all'azienda e ora si sentono traditi.
L'Italia ha dato soldi pubblici per permettere alla TRW di aprire linee di produzione all'estero. Un bell'affare: Renzi non si è preoccupato del problema, qui l'articolo 18 non c'entra.
C'entra invece i baratto con le multinazionali: venite qui ad investire, in cambio dei diritti sul lavoro.
Per arrivare al modello polacco, o albanese. Dove non ci sono i sindacati. E l'azienda americana usa le commesse che vengono spostate come strumento di ricatto.
Le multinazionali approfittano di leggi comuni europee, che impediscano lo sfruttamento e la guerra tra poveri tra paesi.

In Spagna, guarda caso, si è fatta una riforma del lavoro per favorire l'arrivo delle multinazionali. E, ad ascoltare i sindacati, si è semplicemente permesso alle multinazionali di sfruttare la gente, col ricatto del lavoro che si sposta dove è più comodo.
Per le multinazionali è più facile licenziare, non devono più tenere conto dell'andamento dell'azienda: prima della riforma dovevano presentare le carte per giustificare i licenziamenti.
Gli effetti della riforma del lavoro sono stati disastrosi, per gli spagnoli. Da 3 anni i posti di lavoro non sono aumentati e abbiamo perso 650000 posti di lavoro, sono aumentate le persone sotto la soglia di povertà.
Quasi la metà dei lavoratori guadagnano la metà di mille euro. In Spagna si è giocato al ribasso su diritti e stipendi.
Come succederà in Italia.

Anche qui si è detto che limitando i diritti dei lavoratori si creano posti di lavoro, si attirano investimenti. Il lavoro è il motore della crescita economica. Non i licenziamenti.
I 450 dipendenti della TRW sono stati licenziati, con una buonuscita da 60000 euro lordi.
In Europa servirebbero leggi per impedire alle multinazionali di comportarsi così, di trattare la gente così.
E proprio mentre in Italia si tagliano diritti, vengono tagliati anche i fondi per il welfare, arrivano meno soldi ai comuni e regioni.
Che devono tagliare servizi. E dalla guerra sul lavoro, si arriva alla guerra dei servizi. Della scuola, dei pulmini, degli asili, della mensa.
Come a Viareggio.
Dei tagli al welfare se ne parlerà nella prossima puntata di Presa diretta. Della povertà degli italiani che ricade dai padri ai figli.

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