Mentre ieri sera (e nelle sere passate)
sui talk show apparivano le facce di Salvini, Le Pen e Renzi, su RaiStoria veniva trasmesso un bel documentario sull'uso della propaganda
da parte di Benito Mussolini.
La poderosa macchina da guerra del
regime, forse l'unica macchina da guerra, capace di costruire il
consenso, convincere le masse, costruire l'immagine.
L'immagine del Duce sempre in
movimento, che non si ferma davanti a nulla, in mezzo alle folle,
alla gente. L'ufficio stampa di Palazzo Chigi controllava ogni
foto, ogni immagine che ritraeva il Duce. Scartando quelle riuscite
male o gli scatti che lo ritraevano attorniato da preti (che
portavano male) o da povera gente.
Le notizie che i giornali dovevano
pubblicare erano scelte da Palazzo Chigi e dal suo staff.
Il presidente del Consiglio più
mediatico, coi mezzi di allora (radio e giornali), era anche il
presidente della censura, delle veline.
E del soffocamento delle opposizioni:
non solo l'opposizione dei partiti, delle poche voci fuori dal coro
nell'informazione. Anche i collaboratori più intelligenti che
potevano oscurarne la figura, venivano allontanati. Meglio gente
stupida e fedele.
E poi il lessico: il linguaggio del
Duce era basato da slogan secchi, comprensibili dal popolino, che
focalizzavano l'attenzione su un nemico esterno che cercava di
bloccare l'azione rivoluzionaria del fascismo.
“Noi tireremo diritto”.
“Molti nemici molto onore”.
"Barcollo ma non mollo" ... nemmeno di un centimetro.
Il Duce non sbagliava mai, non si
poteva ammettere di aver sbagliato. E quando proprio il merdone era
grosso, si arrivava all'ammissione di responsabilità davanti al
parlamento.
Come col delitto Matteotti. Il mandante
politico sono io.
Ai tempi del Duce non si rubava, perché
le notizie scomode erano censurate e perché quando c'era lui i ladri
venivano presi e mandati in galera. Questo diceva la propaganda, che
chiaramente non poteva raccontare del clan Petacci e del clan Ciano,
dei gerarchi che Mussolini aveva piazzato in banche e giornali, per
ricompensarli.
Che c'entra tutto questo? Perché
parlare di storie vecchie di 70-80 anni?
Perché quando vedo certi personaggi
che vanno in televisione, mostrano generosi il loro corpo su giornali
e riviste, ripetono in continuazione i loro slogan, che oggi si sono
tramutati in tweet da 140 caratteri con tanto tag, mi sembra di
rivedere le stesse cose.
Forse perché a noi piace così.
Il modello uomo forte, uomo solo al
comando, giovane e veloce, che sbaraglia i nemici che vogliono
frenare il paese. Che ad ogni problema ha pronta la battuta, la
soluzione semplice.
Che non ha tempo per ragionare, per
studiare. Per riflettere.
Che non accettano i corpi intermedi tra
leader e popolo: ecco perché sono sempre in televisione e su
internet. Senza nessun giornalista che faccia domande vere, che
rinfacci errori e strafalcioni.
Per dire, i dipendenti della Lega che
andranno a casa. Che fine han fatto i soldi nelle casse del partito?
Oppure, come mai gli 80 euro non hanno
spostato consumi e PIL?
Cosa c'è di sinistra nel dar manlibera alle multinazionali nel licenziare le persone?
Non è contrario alla Costituzione
mettere a rischio i livelli di servizio nella sanità, per colpa dei
tagli agli enti locali?
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