Le parole di Paolo Borsellino alla commissione antimafia non ci aiuteranno, forse, a far luce su tutti i misteri sulle stragi di mafia (e sui perché dei depistaggi di Stato).
Ma ci raccontano della solitudine dei magistrati antimafia come lui, costretti ad usare l'auto personale per tornare a casa, perché c'era una sola macchina blindata in quei primi anni del pool e non poteva bastare a tutti.
Raccontano della carenza di personale, civile per la gestione degli atti e, in un altro audio, di magistrati alla procura di Marsala.
Sono parole che dovrebbero far riflettere sul vero impegno che ci ha messo lo Stato nella lotta alla mafia e su quanti sacrifici sia costata ai giudici del pool che oggi consideriamo delle icone, dei santini intoccabili.
Ma che quando erano ancora vivi erano soggetti ad insulti e a polemiche sterili, per esempio per il fastidio che davano le sirene delle scorte.
Ora, dopo gli atti della commissione antimafia desecretati, tocca ad altri documenti, come quelli dell'ex Sisde di Contrada che, con una procedura irregolare, fu incaricato dal procuratore di Caltanissetta Tinebra di indagare per primo sulla strage di via D'Amelio.
Lo stesso Contrada su cui gli stessi giudici di Palermo, compreso Borsellino, avevano indizi sui suoi legami coi boss mafiosi (come poi emerso dal processo per concorso esterno e che la sentenza della CEDU non ha smentito).
Tra pochi giorni ci sarà l'anniversario della morte di Paolo Borsellino e della sua scorta e so già che ci toccherà risentire le inutile parole di circostanza di ministri e politici sui due eroi, Falcone e Borsellino.
Ministri e politici che non si fanno problemi a frequentare (e chiedere voti) a personaggi equivoci, prestanome di mafiosi.
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