25 ottobre 2007

Il golpe di via Fani di Giuseppe De Lutiis

Trent'anni dopo, siamo ancora qui a parlare del caso Aldo Moro: l'agguato in via Fani, l'eliminazione della scorta, la prigionia e la sua uccisione da parte delle Brigate Rosse.

Siamo ancora a parlare dei misteri Caso Moro: il memoriale scomparso, i postini delle BR che potevano andare in giro in una Roma blindata; i covi delle BR; il falso comunicato numero 7 (ad opera di Toni Cicchiarelli); l'operato dei servizi segreti e delle forze dell'ordine in gran parte iscritti alla P2, le mancate perquisizioni ...

Ma i brigatisti non sono stati tutti arrestati? Non sappiamo già tutto del caso Moro?
Perchè uno storico come De Lutiis parla di golpe in via Fani?
Cosa è rimasto ignoto di quella primavera del 1978?

Noi sappiamo oggi ciò che si è voluto che si sapesse: Sciascia parlò della spettacolarità del rapimento (che dava il senso di potenza delle BR); della messa in scena fatta dalle forze dell'ordine che creavano posti di blocco in Val D'Aosta ma non andavano a perquisire l'appartamento di via Gradoli (uno dei covi romani).

Sappiamo poco della storia del rapimento di Aldo Moro, la cui figura, il cui insegnamento viene ricordato ad ogni anniversario.
I 55 giorni della prigionia sono come un buco nero della nostra storia.
E il libro cerca, per quanto possibile, di mettere dei punti di fermi.
Su una storia iniziata più di 30 anni prima a Yalta, laddove le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale avevano deciso come dividersi il mondo in aree di influenza.
Questa divisione non poteva permettere l'ingresso nel governo del più grande partito comunista dell'Europa occidentale.
Non lo avrebbero permesso gli Stati Uniti, ma anche la Russia lo avrebbe considerato di effetti devastanti: avrebbe rafforzato il concetto di eurocomunismo, specie nei paesi dell'Europa orientale, come Ungheria e Cecoslovacchia, dove i tentativi di far evolvere il comunismo era stato represso dalla casa madre col sangue.

Non lo avrebbe nemmemo permesso Israele, per lo spostamento in chiave filo araba della politica italiana, specie dopo l'accordo con i palestinesi di Aldo Moro nei primi anni 70.
Ma oltre al coinvolgimento di potenze straniere (e dei relativi servizi), altri personaggi nazionali avevano interessi a muoversi: quei partiti piccoli come il PSI che sarebbero stati schiacciati dall'alleanza PCI-DC.

Infine l'autore approfondisce la genesi e l'evoluzione del terrorismo italiano, rosso e nero e tutti i punti oscuri legati ad esso:
- le BR erano infiltrate sin dal 1973 (Silvano Girotto frate mitra); si arrivò all'arresto dei vertici Curcio e Franceschini (ma non Moretti), eppure questò non impedì il rigenerarsi delle BR.
Che dal 1974, sotto la conduzione di Moretti, passarono dai rapimenti e rapine, alle uccisioni o alle gambizzazioni.
- Il cambio della guardia: il 1974 segna anche il cambio della guardia sul fronte del terrorismo: se la prima metà era caratterizzata da quello nero (con ampi coinvolgimenti dei servizi, come dimostra il caso Giannettini), la seconda metà è nel segno del terrorismo rosso.
Nonostante la decapitazione dei vertici operata con l'arresto di Curcio.

Il capo dell'ufficio D del SID, generale Maletti, aveva detto "Ora non sentirete più parlare di terrorismo nero, ora sentirete parlare soltanto di quegli altri".
Una semplice premonizione o c'è qualcos'altro?

Forse il terrorismo stragista del periodo 1969-1974 serviva a destabilizzare per portare il paese verso una svolta autoritaria.
Impedire il cambiamento in senso progressista come già era accaduto in Grecia. La seconda fase della "strategia della tensione" (dentro cui il fenomeno terrorista si innesta, sebbene abbia origine diverse) invece tendeva a "destabilizzare per stabilizzare".
Perpetuare il potere sempre nelle stesse mani, negli stessi partiti.
Anche il polititologo Giorgio Galli, nel suo libro "Piombo rosso" parla della trategia dello "stop and go" per l'azione di repressione del terrorismo rosso. Le BR furono tenute in vita perchè funzionali. Ma a cosa?

Il libro, più che concentrarsi sulle cronache dei 55 giorni del sequestro, segue tutte queste piste: dai rapporti delle BR con i servizi esteri (da quelli dell'est ai tentativi del Mossad); i legami con la scuola di lingue a Parigi, Hyperion, ritenuta da molti una sorta di centrale internazionale del terrorismo di sinistra. Con coperture da parte dei servizi francesi e americani.

Giovanni Pellegrino presidente della Commissione Stragi per 7 anni, suggerisce in un suo libro che l' Hyperion in realtà costituisse un punto d'incontro tra Servizi segreti delle nazioni contrapposte nella Guerra Fredda, necessario nella logica di conservare gli equilibri derivanti dagli accordi di Yalta. L'Hyperion, quindi sarebbe stato uno mezzo per azioni comuni contro eventuali perturbazioni dell'ordine di Yalta, come avrebbe potuto interpretarsi la politica di apertura al PCI di Moro. [3]Essa sarebbe stata connessa con un'altra misteriosa struttura denominata Superclan [wikipedia]
Il ruolo di Senzani; le analogie e diversità tra il rapimento Moro e quello dell'assessore Cirillo; i legami con il gruppo di Edgardo sogno (gli ex partigiani della Franchi).
I legami con la ndrangheta calabrese in via Fani (il legionario De Vuono) e il ruolo passivo avuto dai servizi (in gran parte infiltrato dalla loggia P2) durante il sequestro.

Gli strani silenzi delle BR sul covo: fino al 1982 nessuno degli arrestati aveva voluto indicare l'ubicazione del covo. Solo dopo le dichiarazioni del ministro degli interni Rognoni su via Montalcini tutte le BR sposarono la medesima linea. Il possibile ruolo della Banda della Magliana: i vertici della banda abitavano a pochi passi da via Montalcini (alcuni appartamenti dei palazzi che si affaciavano a questa via senza uscita erano in mano al Sisde).
Infine una pista che forse non è stata mai approfondita abbastanza: quella che porta al ghetto di Roma e alla strana figura di Igor Markevitch. Ne aveva parlato anche Mino Pecorelli, che evidentemente ne sapeva abbastanza del rapimento: nel suo articolo "Vergogna Buffoni!" 


Pecorelli sostiene che il generale Dalla Chiesa (lui lo chiama “Amen”) era andato da Andreotti dicendogli che aveva individuato la prigione di Moro e chiedeva l’autorizzazione per il blitz. Ma il presidente temporeggiò – secondo Pecorelli – perché doveva chiedere il permesso alla “loggia di Cristo in paradiso”, chiara allusione alla P2. Pecorelli allude poi a una “amnistia che tutto verrà a cancellare in cambio del silenzio” e promette nuove clamorose rivelazioni.[loggiap2]
La tesi finale di De Lutiis colloca dunque il sequestro e l'assassinio dello statista nel quadro internazionale, dello scontro tra le due potenze. Ma fa emergere anche nuove valutazioni su quello che sono stati gli anni di piombo e il terrorismo rosso.
Unico difetto, la complessità della stesura: è un libro che pretenda già una certa conoscenza di fatti e persone. Per questo risulta preziosa la presenza, in appendici al libro, di una vasta sezione di note approfondimenti.


La scheda del libro sul sito di Sperling

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