C'è un sistema di potere su cui stanno
investigando i magistrati, che avrebbe condizionato le elezioni
regionali in Sicilia, corrotto, comprato sentenze.
Di questo si occupa il servizio di Luca
Chianca.
Ma prima, nell'anteprima, un servizio
di Cecilia Bacci su come non sono tutelati i consumatori italiani che
soffrono di allergie nei ristoranti italiani.
E' intollerabile di Cecilia Bacci
Per il regolamento europeo 1169
ristoranti, bar, pasticcerie dovrebbero pubblicare la lista degli
allergeni nei cibi che offrono (sono 14 quelli previsti dalla legge):
la legge è del 2011, ma sono entrate in vigore nel 2018.
Nonostante questo la legge non è bene
applicata: la lista degli allergeni (che possono provocare un shock
anafilattico) non è disponibile in molti di questi esercizi
commerciali.
Dario Longo, esperto di diritto
alimentare, la considera una violazione dei diritti del consumatore,
che deve poter leggere se un alimento, un cibo, un preparato è
idoneo per lui.
Rossore, asma, disturbi intestinali
sono i disturbi più leggere, ma si può arrivare anche ad uno shock,
per cui la persona va portata subito al pronto soccorso.
Queste persone, con delle allergie,
devono muoversi con dei dispositivi da portarsi dietro, almeno due
stick in realtà, per fermare la reazione ed essere sicuri: per
queste, mangiare fuori casa è causa di ansia, specie se non sai se
il cibo che stai mangiando è entrato in contatto con prodotti
pericolosi.
In pochi casi nei menù trovi la lista
di tutti gli ingredienti: chi controlla l'applicazione della legge
europea? Anche i vigili possono fare questi controlli, possono dare
sanzioni fino a 24mila euro (che sono arrivate solo di recente, nel
2018).
Oggi non sappiamo quanti siano le
persone con allergie, servirebbe fare fare tutta una serie di
analisi, dai cittadini ai centri allergologici: nessuno fa il proprio
dovere, né al ministero, né tra i ristoranti.
Il fascino della divisa – di
Emanuele Bellano
IL ministro del prima gli italiani (ma
non è il solo) indossa le divise delle forze dell'ordine che però
non sono fatte in Italia. Come tante altre parti del made in Italy è
finita all'estero, in aziende italiane che hanno delocalizzato in
Romania e Moldavia.
Pagate ad un prezzo non giusto, visto
che capi che costano 90 euro, sono pagati da noi fino al 40% in più.
L'amara giustizia – Luca Chianca
Oggi il nemico si combatte con la
delegittimazione, coi dossier, con le indagini pilotate: dietro il
sistema Amara, avvocato dell'Eni, secondo le accuse che gli vengono
contestate dai magistrati, c'era anche questo.
Il servizio di Report comincia da un
ufficio dell'Eni a Roma, personale di Scaroni: è rimasto operativo
anche fino a poco tempo fa, qui l'avvocato Amara gestiva le
operazioni non istituzionali per conto dell'azienda.
Amara, nell'intervista con Chianca, ne
parla di ufficio top secret: in questo ufficio si incontrava con
l'avvocato Granata, braccio destro di Descalzi.
Amara era riuscito a bloccare altre
interviste di Report, come quella fatta con Armanna dove parlava
della tangente per il blocco OPL245: Eni aveva chiesto alla Rai di
bloccare quell'intervista, pericolosa per l'azienda.
Armanna aveva raccontato che 50 ml di
quella tangente era rientrata cash in Italia e rientrata nella
disponibilità dell'Eni stessa: Chianca era volato in Congo, per
intervistare l'imprenditore Ottonello. Chianca è stato detenuto per
due giorni in carcere e qui ha perso parte del materiale girato:
Amara racconta di essersi mosso per bloccare il lavoro di Report,
parlandone con Luca Lotti (allora sottosegretario del governo Renzi).
I rapporti non istituzionali passavano
per Amara: Armanna doveva essere fermato per le sue accuse fatte
contro Descalzi, alla procura di Milano.
In che modo fermato? Rovinandone la sua
immagine.
Alla fine il servizio di Report è
andato in onda lo stessi mentre il deputato Lotti, ha negato quanto riportato da
Amara, spiegando che si difenderà in Tribunale.
Amara è il fine architetto di un
depistaggio internazionale: è lui l'autore delle lettere anonime
finite alla procura di Trani e poi quella di Siracusa con sui si era
inventato un finto complotto contro Descalzi.
Con quel finto complotto internazionale
si è poi fatto fuori il consigliere Zingales, membro del cda
dell'Eni che stava facendo domande scomode (al responsabile
dell'ufficio Legale Mantovani) su quella tangente in Nigeria.
Le lettere anonime, partite dai vertici
dell'Eni, portarono a delle denunce che poi non ebbero seguito: ma a
seguito di queste, Zingales si dimise.
Amara era l'autore delle lettere e,
sostiene Armanna, un ruolo lo ha avuto Lotti.
Dopo Zingales, anche il consigliere
Litvack fu silurata, inventandosi un finto rapimento: informazioni
reali in un contesto inventato, a Siracusa. Il pm Longo aprì un
fascicolo sulla Litvack che venne spostata ad altro incarico
dall'Eni.
L'avvocato Calafiore aveva rapporti di
amicizia col pm Longo che avrebbe preso 30mila euro per questa
operazione, che arriverebbero dall'ufficio legale.
Amara si è mosso da solo, per farsi
bello, per accreditarsi con Eni (si parla di contratti milionari con
l'azienda), oppure l'ordine di far fuori Zingales e Litvack parte da
vertici dell'Eni?
Non lo sappiamo, nel frattempo Amara e
Mantovani sono sotto indagine per questa operazione.
Eni scrive di aver dato incarichi ad
Amara in modo trasparente ma si è comportata in modo diverso, di
fronte a questioni giudiziarie di suoi membri: Descalzi e Scaroni
sono rimasti al loro posto, mentre la consigliera Litvack si è
dovuta dimettere.
C'è poi la storia delle sentenze
pilotate, delle inchieste fatte arrivare al gruppo di persone della
rete di Amara: nella casa di suora Concetta si incontravano Amara con
un uomo dei servizi che gli dava fascicoli sullo stati di alcune
indagini, bozze di rapporti della Gdf.
Quando Longo viene messo sotto indagine
(per la finta denuncia di rapimento..), qualcuno lo avvisa delle
microspie messe nel suo ufficio: sarebbe stato avvertito da un altro
magistrato, Maurizio Musco.
Quest'ultimo aveva aperto un fascicolo
contro Eni, per una storia di inquinamento davanti Priolo, il
processo Mare rosso...
Con questo processo, finito in
archiviazione dei vertici eni, si sarebbe consolidato il rapporto tra
Amara e Musco: lo racconta un ex avvocato di Eni, Favi.
Salvatore Sciacca è stato consulente
di Musco: nei suoi studi ha mostrato il rapporto tra l'inquinamento e
malattie delle persone vicino ai centri Eni, per il mercurio presente
nel mare.
Alla fine Eni decide di risarcire le
persone e il pm Musco chiede l'archiviazione per Eni, sarebbe colpa
della Montedison che avrebbe sversato mercurio per anni.
Se non si è fatto il processo,
chiedetelo a Musco – racconta Sciacca.
Amara avrebbe avuto un ruolo anche in
una vicenda che ha coinvolto dei dipendenti di Eni: a queste persone
fu proposto di accettare un assegno per accettare il patteggiamento
senza fare cause legali all'azienda.
Altra storia è quella legata al calcio
scommesse: due giornalisti del Catania furono accusati di aver
venduto delle partite, notizia che appresero prima dai giornali.
Notizia falsa, ma partita sempre dagli
stessi personaggi: l'avvocato Ferraro, il pm Musco, il giornalista
Guastella.
Alla fine del procedimento giudiziario
Musco è stato assolto, mentre il giornalista è sotto indagine.
Chi si era accorto del sistema Amara
era un gruppo di giornalisti di Siracusa, La civetta di Minerva:
giornalisti di comodo, avvocati che denunciano i nemici ad un pm, un
sistema di società in cui erano assunti figli di magistrati o
giudici.
La rete di Amara avrebbe modificato
l'esito delle elezioni in Sicilia del 2014: Pippo Gianni, ex deputato
regionale, eletto nelle elezioni, perse il posto per colpa di una
sentenza comprata da un suo rivale.
Anche dietro a questa storia c'è
Amara:
Bufera sul Consiglio di Stato. Questa mattina il gip di Roma Daniela Caramico D’Auria ha emesso quattro ordinanze di custodia cautelare con l’accusa di corruzione in atti giudiziari.
Ai domiciliari sono finti il giudice Nicola Russo, già coinvolto in altre vicende giudiziarie, l’ex presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis, l’ex giudice della Corte dei Conti, Luigi Pietro Maria Caruso mentre il deputato dell’Assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso, seppur raggiunto dall'ordinanza di custodia cautelare, è al momento irreperibile ai magistrati in quanto risulterebbe all’estero.
Sono in totale quattro gli episodi di corruzione contestati dai magistrati di piazzale Clodio, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo. In totale – secondo l’accusa – il denaro utilizzato per corrompere i giudici si attesterebbe sui 150 mila euro. L’indagine si basa sulle dichiarazioni fatte negli ultimi mesi dagli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio del 2018 scorso nell’ambito in uno dei filoni dell’inchiesta.
Gli arresti di oggi, infatti, sono solo l'ultimo atto dell’inchiesta della magistratura intorno al cosiddetto Sistema Amara nato a Siracusa qualche anno fa. L'avvocato Piero Amara, uno dei più noti legali dell'Eni nel sud Italia, secondo i magistrati di diverse procure italiane, da Milano a Messina passando per Roma, è al centro di un sistema corruttivo tra imprenditori che partecipano agli appalti pubblici milionari, magistrati ordinari e giudici del Consiglio di Stato.
Sentenze comprate, risarcimenti fatti
arrivare ad una azienda privata e pagati dal comune di Siracusa,
soldi sottratti al pubblico e finiti ad un gruppo di privati.
Amara aveva rapporti anche con la
politica nazionale, Verdini e Lotti, per spingere la nomina a
consigliere di Stato per il giudice Mineo.
Mineo non fu nominato alla fine, perché
aveva un fascicolo aperto al CSM.
Gli anticorpi alla fine hanno
funzionato, ma probabilmente il finale di questa storia ancora deve
essere scritto, altre inchieste di Report seguiranno questa...
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