21 dicembre 2010

Lucarelli racconta la morte sul lavoro

Ascanio Celestini nella sua introduzione: si è perso l'identità del lavoro, l'orgoglio di appartenere ad una categoria, come gli operai delle acciaierie che i bambini di una volta andavano ad osservare al cambio turno.
Oggi, gli operai hanno perso coscienza di classe e compito dei registi (e degli attori) è raccontare l'individuo: perchè la lotta di classe oggi la fa il padrone.
Almeno la coscienza individuale, l'etica, la dobbiamo recuperare.

Tante storie, dal nord al sud, di lavoratori, raccoglitori di frutta, italiani e immigrati.
Come la storia di Fausto, a Prestine, trovato morto su una strada per un incidente di moto. Un incidente strano: una sola ferita in testa, ed è vestito in canottiera e calzoncini, il vestiario di quando lavora in cantiere. E anche la moto non è sua, ma del padre di un geometra.

Le indagini del Gip, che non crede all'incidente, raccontano un'altra storia. Fausto è morto nel cantiere dove lavorava in nero. I colleghi, o presunti colleghi, anzichè chiamare il 118, avrebbero avvertito il capo. E qualcuno avrebbe inscenato l'incidente in moto. Ma è solo una pista investigativa: al processo i testimoni ritrattano. Una brutta storia, non solo per la morte sul lavoro, ma perchè è una storia di omertà, minacce. Nel profondo nord.

La seconda scena è quella di un muratore marocchino, nel lecchese, abbandonato lunga una strada da due persone che prima l'hanno rapito, poi minacciato con una pistola: voleva incontrare il padrone per chiedergli dei soldi in arretrato. "se parli con la polizia sei morto"? Cosa dovrebbe dire alla polizia?
Avrebbe potuto raccontare delle minacce nei confronti dei lavoratori immigrati, clandestini, dunque più deboli e ricattabili. Da parte di imprenditori lecchesi, con legami a famiglie della ndrangheta del nord.
E di certo la ndrangheta, non ha cuore la sicurezza nei cantieri.

Altra immagine è quella dei colpi di fucile a Rosarno: siamo a gennaio 2010, Aiva è un raccoglitore di arance a Rosarno. Da un fuoristrada spunta un fucile da caccia. Cosa sta succedendo?
Chi sta sparando agli "africani", che qui vivono in una situazione di indigenza e povertà, in decine costretti a dormire assieme dentro cameroni. Come capitava agli italiani che dalle regioni del sud venivano a lavorare al nord. Spesso in nero, spesso con una paga inferiore. Perchè erano terroni.

A Salerno, a Casalbuono, in un laboratorio improvvisato, lavorava Giovanna. Non voleva studiare e aveva deciso di lavorare senza contratto in quel posto, per 1,5 euro all'ora.
E' morta, nel luglio 2006, in seguito ad una scintilla, un corto circuito, che ha fatto bruciare le imbottiture dei materassi che cuciva e da cui è uscito un gas, simile allo Zyklon B che i nazisti usavano per uccidere gli ebrei.
E' morta assieme all'amica perchè ai primi segnali di incendio, anzichè scappare, ha cercato dell'acqua per spegnere il fuoco.
Il responsabile del laboratorio è libero, oggi, in attesa del processo di appello.

Anche alla Thyssen Krupp, la squadra che lavorava per la produzione dei nastri di acciaio, è morta perchè dopo il primo principio di incendio, non è scappata. Anzi, han cercato di spegnere le fiamme con degli estintori vuoti.
Poi, dal cielo, da un tubo sono uscite delle gocce d'olio. E si è scatenato l'inferno.
Sono morti in sette: Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rocco Marzo, Antonio Santino, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi.

Una morte assurda, come assurda deve essere sembrata l'atto di citazione per danni che Claudio ha ricevuto da parte della Umbria Olii, dopo l'incidente in cui hanno perso la vita (esplosi per aria, letteralmente) 4 colleghi.
30 milioni di euro di danni, chiesti dal signor Del Papa, alle famiglie degli operai morti.
Assurdo. Come assurdo è morire per lavoro, in una nazione che all'articolo 1 della costituzione recita "l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro".

Assurdo perchè se ci fosse stato l'impianto antiincendio nello stabilimento di Torino, in viale Margherita, le vite dei 7 operai potevano forse essere salvate. Ma lo stabilimento era in dismissione e l'azienda non ha voluto spendere i soldi per la sicurezza.
C'è un processo in corso: per la strage della Thyssen (contro l'amministratore Harald Espenhahn e altri manager) e anche per l'incidente alla Umbria Olii.
Vedremo cosa dirà la giustizia e la magistratura, nel frattempo non possiamo che condividere le parole del collega Barbetta "non si può uscire di casa, andare a lavorare e non tornare più".

Cosa è diventato il lavoro oggi: solo un mezzo per fare soldi, al minor costo possibile e più in fretta possibile?
Questa è una incultura delle imprese che favorisce le morti sul lavoro.
Specie se a morire sono le persone indifese: come gli immigrati, i clandestini.
Lavoratori che si fanno male il primo giorno di lavoro, perchè è lì che i responsabili sono costretti ad assicurarli.

Costretti a subire minacce, come nella storia di Ion Cazacu: bruciato perchè aveva alzato la voce, per chiedere un suo diritto al padrone.
Come Jerry Masslo, morto a Villa Literno nel 1989: anche lui si era rifiutato di cedere di fronte ai suoi diritti.


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