Due pagine, del libro “La convergenza” di Nando dalla Chiesa, sulla colonizzazione delle mafie e in particolare della ndrangheta, in Lombardia.
Poche righe prima, l'autore scrive che “la mafia, nella sua essenza, è potere prima che profitto. Non esisterebbe, la sua impresa, senza la sovranità sul territorio”.
Sovranità conquistata grazie ai coni d'ombra: il terrorismo rosso prima, le bombe di cosa nostra del 1992-93 e Tangentopoli. E ora, la politica di contrasto ai rom e agli immigrati.
Da parte del governo più lombardo della storia.
Poco dopo, prosegue il ragionamento sulla colonizzazione:
“La leadership realizzata sul mercato mondiale della cocaina, e che ha fatto della ndrangheta la principale organizzazione criminale in Europa e non seconda ad alcuna nel mondo, apre in effetti ad una vera e propria svolta nei rapporti di potere. I profitti immensi del narcotraffico cercano campi e affari in cui investire e danno una forza contrattuale elevatissima soprattutto in fase di crisi economica. Gli investimenti prendono spesso la via immobiliare. Il piano regolatore, come già nella Palermo degli anni sessanta, diventa il cuore per autonomasia del nuovo potere mafioso. Edilizia pubblica, grandi infrastrutture, aree edificabili, strutture di servizio, centri commerciali. La legge aiuta, ci avrà pensato qualche manina nella disattenzione generale.Incredibilmente infatti, le imprese del movimento terra (quelle in cui la mafia è più forte da sempre, quasi ontologicamente) non sono soggette all'obbligo del certificato antimafia e dunque quelle dei clan escono trionfanti dal gioco dei subappalti. Spuntano ovunque. Anche nei lavori dell'alta velocità, anche in quelli delle autostrade, anche in quelli della metropolitana milanese. Hanno buoni metodi, d'altronde, per scoraggiare una eventuale concorrenza. E visto che danno lavoro, può anche capitare, come accaduto a Milano, che i sindacati intervengano presso il prefetto per fare restituire il certificato antimafia a una ditta con più di cento dipendenti che l'odore di mafia e l'ha addosso.Di più, si diffonde tra le imprese legali del nord la convinzione che sarà più facile vincere un appalto se si assicura preventivamenge un subappalto a una impresa di ndrangheta.È questa che ha i veri rappporti con la politica locale […] negli anni duemila il quadro è completamente cambiato. E la ragione è semplice. Se un'organizzazione traffica in cocaina, può farlo senza l'appoggio di assessori o consiglieri o parlamentari. Ma un'organizzazione che voglia investire massicciamente sullo sviluppo del territorio ha bisogno di rapporti stretti con l'amministrazione pubblica. E dunque cercherà di avere in ogni città o paese che le interessi, i “suoi” consiglieri comunali o meglio ancora i “suoi” assessori o sindaci; e attraverso loro i “suoi” tecnici, magari fatti venire apposta dalla Calabria. Non porterà più solo voti, ma finanzierà campagne elettorali. Per questo nella classe politica di governo diventa sempre più impellente l'imperativo di negare contro ogni evidenza la presenza dei clan nella regione, con l'effetto di disarmare civilmente i propri governanti.Due, in proposito, sono gli episodi più significativi che si verificano nelle istituzioni. Il primo riguarda la Commissione Parlamentare Antimafia della legislatura 2001-2006 (gli anni dell' “assalto”). Alla commissione arrivano allarmi contigui e di analogo tenore da tutte le fonti investigative e giudiziarie . La Lombardia, vi si scrive, è ad altissimo rischio ndrangheta. La regione è un po' la testa di ponte verso l'Europa. Sta anzi diventando l'epicentro operativo dell'organizzazione, tanto che i gruppi locali sembrano acquisirvi qualche autonomia dalla madrepatria. Il tutto corredato con mappe articolate delle presenza dei clan e dei rami di attività prevalenti. Indagini e processi. Gli stessi consulenti della commissione stendono un rapporto di mezza legislatura che, sul tema, è preciso e rigoroso. Diversi commissari, non solo della minoranza, sollecitano a quel punto un viaggio conoscitivo sul posto o delle audizioni sistematiche a Roma. Sono richieste ufficiali e informali. Ma alla guida del paese c'è il governo più lombardo della storia. Che non gradisce la visita e ciò che essa simbolicamente può rappresentare. La commissione durante la legislatura viaggia ovunque. A sud, ovviamente, ma anche al nord. [..]Ma in Lombardia in cinque anni non ci va mai, se non per la criminalità cinese.Il secondo fatto riguarda la commissione Antimafia del consiglio comunale di Milano eletto nel 2006. Anche in quella sede infatti c'è chi si preoccupa dele notizie che si accavallano sulla metastasi mafiosa in città e nellhinterland. In particolare inquieta, e interessa direttamente l'amministrazione pubblica, il fenomeno incontrollato dell'impossessamento da parte dei clan delle case popolari, secondi i meccanismi simili a quelli realizzati dalla camorra a Napoli. I clan, calabresi e siciliani, ma anche quelli pugliesi e napoletani, hanno assunto il controllo degli appartamenti, li occupano abusivamente, ne fanno mercato, trasformano interi abitati in loro fortini sottratti alla legge, nel terrore degli inquilini legali. A Quarto Oggiaro, al Niguarda, al Giambellino, al Corvetto, in zona Forlanini. Non solo, a distanza di 17 anni dalla commissione Smuraglia riesplode la questione Ortomercato. Sempre struttura comunale e sempre regno dei clan. Un'inchiesta della magistratura traccia un quadro allarmante: traffico di droga e riciclaggio, organizzazione di cooperative e consorzi, controllo del lavoro nero. Vi dominano i clan di Africo: i Morabito, i Palamara, i Bruzzaniti.A Palazzo Marino le minoranze, soprattutto il gruppo consiliare del Pd, chiedono l'istituzione di una commissione di indagine sulla mafia in città. La sindaco Letizia Moratti afferma di non essere contraria. Ciononostante si apre contro la proposta un autentico fuoco di sbarramento. Si accavallerebbe o addirittura disturberebbe le inchieste giudiziarie. Di nuovo si presenta la confusione (talora strumentale, talora frutto di genuina ignoranza) tra livello politico-amministrativo e livello giudiziario. [..] Si dichiara a favore il presidente della del consiglio comunale, Manfedi Palmeri, del Popolo delle libertà. Dopo un anno e sull'onda di una raccolta di firme di cittadini la commissione viene finalmente istituita all'unanimità. Un mese dopo accade un fatto senza precedenti nella storia d'Italia. Il consiglio comunale ne chiede l'abrogazione. È il marzo 2009. Chi l'ha chiesto? Chi l'ha preteso? Forze interne o esterne alle istituzioni? Il pretesto è una lettera del prefetto Gian Valerio Lombardi sulla illegittimità di una commissione che comprenda, in virtù di una delibera di enti di rango inferiore, esponenti dello Stato. Vi si indica il precedente di di un giudizio contrario da parte della Corte Costituzionale su un provvedimento della regione Marche.Il fatto è che la commissione milanese non prevede l'arruolamento di alcun esponente dello Stato, ne prevede solo l'audizione, ovviamente a discrezione degli stessi interessati [..].Il comune prende la palla al balzo, come se avesse architettato un gioco delle parti, e chiude la commissione. La quale alla fine un primato comunque lo conquista: pur non essendo mai entrata in funzione, colleziona da parte dei consiglieri di maggioranza più dichiarazioni di ostilità di quante ne abbia collezionato fino a quel momento la ndrangheta.”
La convergenza, pagine 231-234.
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