16 dicembre 2010

Milano è una selva oscura di Laura Pariani

Inverno, primavera, estate, autunno ..
Dante è uno dei senza fissa dimora più comunemente chiamati barboni, della città di Milano. Passa la sue giornate, dell'anno 1969 , nel corso delle stagioni di questa sua ultima stagione della sua vita, cercando un rifugio dove dormire, un posto in cui potersi riposare in pace (la cappelletta di S. Maria in Binda), durante il giorno, senza essere soccciato da un ghisa, uno dei pochi amici cui chiedere un pasto (come la trattoria di Rina), in cambio di qualche chiacchiera, di un racconto, di una storia.

Il quotidiano viaggio attraverso la strade di Milano, dal dormitorio delle Bande Nere, alle strade del centro della Milano di fine anni 60, è una occasione per rivedere i luoghi del suo passato, per rivivere i personali ricordi: perchè il Dante non è stato sempre una persona senza na gott .. Trovatello, nato nel 1899, era stato adottato da una famiglia borghese; dopo la morte di sopà Mili e somà Dorina, era stato curate da quelle arpie delle zie.

Poi la grande guerra, la scoperta dell'amore, il viaggio in America da uno zio per sfuggire ad un fidanzamento. Gli anni del fascio, la condanna al confino a Ponza per oltraggio al regime. La Zaira, la moglie che lo cornificava e la povera e la Milena, la povera figlia morta sotto il bombardamento di Gorla (che gli americani non potevano tornarsene a casa con le bombe negli aerei).
Il negozio di libri, poi diventato un banchetto e poi la condanna per qualche rivista considerata offensiva per la morale. Altri anni di carcere, per poi uscire senza avere più nulla. Solo una sporta, la borsa degli avanzi, con dentro "qualche baravaj che è quanto resta dei suoi naufragi".

Perchè la sua cultura, le sue poesie, i libri che ha letto (e ne ha letti tanti di libri, sa anche il latino) quella non te la può togliere nessuno.
Come la dignità. Che ti permette di sopportare le occhiate schifate dei passanti, e dividere le cicche e la grappa attorno ad un fuoco per scaldarsi, con gli amici.
"Che mi domando e dico: cos'ho mai fatto nella mia vita, oltre a scappare? Il Dante sorride tra sé mentre prova a rispondere...
Che se la vita la fosse un catalogo, potrebbe scriverci: andato in guerra, dato lezioni, emigrato, sposato, diventato padre, ammalato, confinato, letto libri, scritto quatter patanflànn di poesie, viaggiato di notte su un camion per un sacco di riso e una tolla di latte condensato da portare alla Milena, urlato per i bombardamenti, gridato d'allegria nel sole di aprile, venduto libri, perduto il lavoro, finito sotto processo, ben pistaa in la pirotta, camminato... Insomma, una lista lunga, e non sempre di faccende volgari".
Girando per le vie della sua città, milanese più milanese di molti milanesi, Diogene Colombo in arte Dante A. Lingera, è testimone delle tensioni nascenti: gli scontri con la polizia (e la morte dell'agente Annarumma), gli scioperi. E come risposta, la voglia di sicurezza, il risorgere del fascismo e della violenza, i ritornelli su patria Dio e famiglia. Il consumismo che avanza e che non accetta i cortei che spaventano le persone perchè brutti.

Un cammino, lungo il percorso della sua vita, che diventa il viaggio di Dante, come quell'altro l'Alighieri, in una Milano "selva oscura": un inferno raccontato in dialetto milanese, come quel poeta, il Carlo Porta, anche lui della razza dei "poeritt, ma gnucch". L'orgoglio gnucco dei donchisciotti che non si piegano.
A mitaa strada de quel gian viacc
che femm a vun la voelta al mond de là
me non trovaa in d'on bosch scur scur affacc,
senza un sentee de podè seguità;
domà a pensagh me sentì a vegnì scacc ..

O signor de poeritt, che quel degli altri al gh'an i cornitt ...
Un viaggio che si conclude, nel giorno in cui Milano esplode e sanguina per la bomba nella Banca dell'Agricoltura, con l'incontro con la nera signora.
Buona lettura, e buon viaggio lungo la selva oscura delle strade di Milano.

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