03 luglio 2011

Il brigatista e l'operaio di Giovanni Bianconi



L'omicidio di Guido Rossa, storia di vittima e colpevoli

Il brigatista e l'operaio sono Vincenzo Guagliardo, operaio e membro delle Brigate Rosse, e Guido Rossa, operaio e sindacalista della CGIL alla Italsider di Genova.
Le loro strade si sono incontrate in una mattina il 24 gennaio 1979, in una strada di Genova del quartiere Oregina: “lui aveva trent'anni, l'altro quarantaquattro. Lui teneva in mano una pistola pistola 7,65 silenziata, l'altro un sacchetto dei rifiuti da gettare nel cassonetto. Lui era appostato dentro un furgone, l'altro era appena uscito di casa. Lui era pronto a sparare, l'altro stava andando al suo lavoro di operaio metalmeccanico presso lo stabilimento Oscar Sinigaglia di Cornigliano, dv'era delegato del consiglio di fabbrica per conto della CGIL, da un decennio iscritto al Partito Comunista Italiano”.
In quella fredda mattina, le loro strade si incrociano drammaticamente: l'operaio ha deciso, su indicazione del suo sindacato stesso, di denunciare un suo collega operaio che distribuiva volantini delle Br nell'azienda. Per isolare quella zona grigia all'interno delle fabbriche di operai che simpatizzava (o quanto meno, non criticava apertamente) quei terroristi che compivano attentati, atti dimostrativi, gambizzazioni, incendi.
Siamo nel 1979, e le BR hanno già avuto il battesimo di fuoco con le due morti a Padova nella sede dell'MSI (Giralucci e Mazzola), l'omicidio del giudice Francesco Coco a Genova e la strage in via Fani per il rapimento del presidente Moro (poi ucciso dopo i 55 giorni di prigionia).
La denuncia da parte di un operaio stesso di un altro operaio, Francesco Berardi, fu un atto di estremo coraggio: Rossa, sindacalista con la passione della montagna, si trovò quasi stritolato dal meccanismo giudiziario. Lasciato quasi solo dal sindacato e dai compagni, firmò da solo la denuncia, e da solo si presentò al processo.
Le Brigate Rosse lo condannarono per questo gesto (che andava a minare proprio il clima favorevole che permetteva loro di continuare a rimanere nelle industrie): doveva essere “solo” una gambizzazione, un ferimento. Invece, complice un disguido tra Guagliardo e il complice Riccardo Dura, Rossa fu colpito diverse volte a morte.

"Il brigatista e l'operaio" mette assieme queste due vite, per raccontarci due cose: la sofferenza delle vittime, come la figlia di Guido, Sabina Rossa. Che negli anni ha cercato di rispondere alla sua domanda: perchè? Perchè quelle morti? Quelle scelte così nette, che mettevano le persone e le loro famiglie in secondo piano, persone che non erano più considerate come tali, ma come funzione di un meccanismo più ampio.
Per rispondere a questo, Sabina ha voluto incontrare dopo tanti anni l'assassino del padre, oggi in regime di semilibertà, per sapere da lui.
Risposta che arriva dal racconto della vita del brigatista: figlio di una famiglia trasferitasi dalla Tunisia in Italia, a Torino.
Entrato nelle Br, per portare avanti la lotta per il comunismo e la dittatura del proletariato: è un bel confronto quello che Bianconi fa del libro. Da una parte l'operaio e dall'altra il brigatista senza alcuno scrupolo per le azioni criminali che deve compiere: effetti collaterali della sua battaglia (tanto da ritenere la morte di Rossa un errore tecnico), in nome di un ideale ritenuto valido.

Scriveva Rossa, l'operaio:
" Da parecchi anni mi ritrovo sempre più spesso a predicare agli amici l´assoluta necessità di trovare un valido interesse nell´esistenza. Un interesse che si contrapponga a quello quasi inutile dell´andare sui sassi, che ci liberi dal vizio della droga che da troppi anni ci fa sognare e credere semidei, superuomini, chiusi nel nostro solidale egoismo, unici abitanti di un pianeta senza problemi sociali, fatto di lisce e sterili pareti sulle quali possiamo misurare il nostro orgoglio virile, il nostro coraggio, per poi raggiungere il meritato premio, un paradiso di vette pulite e perfette, scintillanti, dove per un attimo o per sempre possiamo dimenticare di essere gli abitanti di un mondo colmo di soprusi e di ingiustizie, di un mondo dove un abitante su tre vive in uno stato di fame cronica, due su tre sono sottoalimentati, e dove, su 60 milioni di morti all´anno, 40 milioni muoiono per fame. Per questo penso che anche noi dobbiamo finalmente scendere giù, in mezzo agli uomini, a lottare con loro, allargare fra tutti gli uomini la nostra solidarietà, che porti al raggiungimento di una maggiore giustizia sociale, che lasci una traccia, un segno tra gli uomini di tutti i giorni e ci aiuti a rendere valida l´esistenza nostra e dei nostri figli...."

15 febbraio 1970 lettera di Guido Rossa all'amico Ottavio, compagno di vette e scalate.

Questo invece scrivevano le Br, nella rivendicazione:

Un nucleo armato della BR ha giustiziato Guido Rossa, spia e delatore all’interno dello stabilimento Italsider di Cornigliano. Il suo tradimento di classe è ancora più squallido e ottuso in considerazione del fatto che il potere i servi prima li usa, ne incoraggia l’opera e poi li scarica. Compagni, da quando la guerriglia ha cominciato a radicarsi dentro la fabbrica, la direzione Italsider, con la preziosa collaborazione dei berlingueriani, si è posta il problema di ricostruire una rete di spionaggio, utilizzando insieme delatori vecchi e nuovi. L’obiettivo che il potere vuol raggiungere attraverso questa rete di spionaggio è quello di individuare e annientare all’interno delle fabbriche qualsiasi espressione di antagonismo di classe”.

Non avevano capito niente, del mondo del lavoro, delle lotte per i diritti, del valore della vita. Non si rendevano conto dei paradossi della loro ideologia: “siamo arrivati al punto di di diventare carcerieri attraverso sequestri di persona , noi che dicevamo di voler liberare un'intera classe di persone” pensa oggi l'ex dirigente Br “E siamo diventati giudici che hanno pronunciato verdetti di morte, sebbene ci ritenessimo soldati e il tribunale del popolo”.

Imboccando la via delle armi “gli eversori di quarant'anni prima si sono messi sullo stesso piano del potere che volevano combattere e soppiantare. Lo consideravano ingiusto e violento, e sono diventati a loro volta ingiusti e violenti”.

Nel racconto della vita di Guagliardo, preso come riferimento per altre storie parallele di altri terroristi, si affronta il tema della scelta delle armi: era questo ritenuto il male necessario perchè la lotta armata è l'unico strumento per provare a diffondere qualche seme di comunismo nel futuro.
L'alibi della strage di stato dopo la bomba a Milano del 1969 (se lo stato usa la violenza contro i cittadini, non c'è altra soluzione che rispondere con altrettanta violenza).
Il vedere nella persona che ti sta di fronte (che sia giornalista, magistrato, poliziotto, carabiniere, dirigente di industria) non un essere umano, ma una funzione dello sfruttamento capitalista sulla classe operaia, come scrivevano nei loro farneticanti comunicati.

Il libro si articola in cinque parti:
- Vorrei parlare con Vincenzo
- Guido Rossa amava scalare le montagne
- Prima di sparare a Guido Rossa
- Dopo aver sparato a Guido Rossa
- Vorrei parlare con il giudice

La prima e l'ultima raccontano dell'incontro di Sabina Rossa con Guagliardo (l'unico dei brigatisti del commando che nel 2005 ancora in vita e che aveva scontato una pena) e la sua decisione di perorare presso il giudice la richiesta di semilibertà.
Richiesta che lo stesso Guagliardo non aveva fatto nel passato, nemmeno cercando un incontro con le vittime per chiedere scusa. Per evitare che le sue parole fossero giudicate come un tentativo di ottenere uno sconto della pena.

Il capito “del dopo aver sparato”, racconta la storia delle Brigate Rosse attraverso quella di Guagliardo, con il ricordo soggettivo di ciò che erano realmente le Brigate rosse dentro le fabbriche nei primi anni 70, e con la ricostruzione dei percorsi che hanno portato alla scelta brigatista.
Dal rapimento del sindacalista Abate della Cisnal, al rapimento Sossi, fino agli ultimi colpi in Veneto. Gli arresti e i pentimenti, il rapimento per rappresaglia di Roberto Peci e la “ritirata strategica” del 1983.
Guagliardo fu arrestato con la sua compagna Nadia Ponti (poi sposata) a Milano nel 1980. E per molti anni, è rimasto uno dei pochi irriducibili a non essersi pentito: già nel 2005 aveva ottenuto la possibilità di uscire dal carcere per lavorare in una cooperativa che compone libri per ciechi.
Dove Sabina Rossa l'aveva già raggiunto per porgli le sue domande.

Commenta Bianconi:
“Più che rimorsi, oggi Guagliardo dice di aver impianti. Soprattutto di non aver capito prima l'eterogenesi dei fini: il mezzo della lotta armata era diventato un obiettivo in sé, e i soldati della rivoluzione si stavano trasformando in qualcosa che non era migliore di ciò che intendevano combattere. L'ex dirigente delle Brigate Rosse è consapevole di aver arringato individui, per convincerli a impugnare le armi, che hanno sparato per costruire qualcosa di diverso, ma probabilmente per motivi di affermazione personale: forse uccidevano con la stessa leggerezza con cui hanno camminato sopra i cadaveri delle loro vittime, pur di uscire in fretta dalla galera e senza eccessive conseguenze per la propria esistenza.
Io no, rivendica Guagliardo. Io non ho abbandonato la violenza rivoluzionaria per abbracciare quella dello stato , che dispensa benefici e privilegi ai reclusi per motivi politici a seconda di come si comportano. Io ho rotto con le scelte passate mentre i veri continuisti sono i pentiti, che hanno proseguito la loro guerra cambiando campo e mezzi: non più le Br e le armi, ma lo Stato e la delazione ”.

Sulla medaglia d'oro per il valor civile che Sandro Pertini concesse a Guido Rossa è scritto:

«Sindacalista componente del consiglio di fabbrica di un importante stabilimento industriale, costante nell'impegno a difesa delle istituzioni democratiche e dei più alti ideali di libertà. Pur consapevole dei pericoli cui andava incontro, non esitava a collaborare a fini di giustizia nella lotta contro il terrorismo e cadeva sotto i colpi d'arma da fuoco in un vile e proditorio agguato tesogli da appartenenti ad organizzazioni eversive. Mirabile esempio di spirito civico e di non comune coraggio spinti fino all'estremo sacrificio. Genova, 24 gennaio 1979.»
— Roma, 26 gennaio 1979.

Nell'aprile 2011, Guagliardo ha ottenuto la libertà condizionale dal Tribunale di sorveglianza di Roma, anche grazie alla testimonianza favorevole di Sabina Rossa, figlia dell'operaio Guido Rossa.

Il link per ordinare il libro su ibs.
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