21 luglio 2011

Il poliziotto che cercava i soldi della mafia


Scrivono i giornalisti Bolzoni e D'Avanzo nel libro "Il capo dei capi", che a Luchino Bagarella tremavano le mani quando sparò, alla schiena, i 4 colpi che uccisero il capo della Mobile Boris Giuliano. Il 21 luglio 1979, in quella estate in cui sbarcò in Sicilia Michele Sindona, nel suo finto rapimento, per sfuggire al crac delle sue banche e soprattutto per mercanteggiare con Cosa Nostra la sua vita.

Boris Giuliano si era messo in testa di seguire la pista dei soldi, l'unica cosa che lascia sempre una traccia nel suo passaggio: alla dogana, negli aeroporti, nelle banche.
In quei templi inviolati (come li definì in seguito il consigliere istruttore Rocco Chinnici) dove si accumulavano i soldi della mafia per il traffico di droga.
Il tesoro della mafia, custodito segretamente da banchieri con pochi scrupoli: sapeva di portare avanti un indagine difficile e poco gradita, per questo lo avevano battezzato "lo sceriffo". Per questa sua ostinazione nelle indagini sul traffico di droga (ma anche quelle sui rapporti mafia politica, sul rapimento del giornalista Mauro De Mauro), il Corto e i palermitani lo vollero morto.

Il poliziotto che aveva studiato a Quantico, all'FBI, che andava in giro con la pistola sotto l'ascella e che aveva imparato a conoscere Cosa Nostra, a studiare i flussi finanziari, a comprenderne i nuovi traffici dell'eroina importata dalla Thailandia, dal Laos, dalla Birmania.

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