Nel
luglio del 2005, per i dieci anni dal massacro di Srebrenica (il più
grande genocidio europeo dalla seconda guerra mondiale), la rivista
Internazionale aveva dedicato un numero speciale all'evento.
In uno
degli articoli si parlava di una foto, che fissava nella sua crudeltà
tutto il senso di quella tragedia.
Dove le
vittime erano i musulmani europei di Bosnia, i carnefici i serbi
orotodossi e l'Europa (e anche la Nato e l'Onu) nel ruolo spettatori
ignavi.
La foto
è di una donna, scampata al massacro assieme ai suoi figli: Ferida
Osmanovic.
Aveva
visto gli stupri, le morti, le violenze.
Gli
8000 morti, le fosse comuni, i lager. Immagini che avevamo lasciato
nelle foto in bianco e nero dei nazisti.
Un
pomeriggio, lasciati in un villaggio vicino a Tuzla i figli Fatima e
Damir, Ferida entra nel bosco e si impicca.
Damir
raccontò poi, di fronte a questa foto, scattata da Darko Bandic,
fotografo croato "mi sono chiesto quali cose orribili le
erano successe per spingerla ad uccidersi. Ma non sono mai riscito a
scoprilo."
Srebrenica non è solo le fosse comuni, i caschi blu che non c'erano,
l'Europa che non volle vedere, quei campo sterminati riempiti di
croci.
È anche questa foto. Che racconta anche del dolore dei sopravvissuti. Che uccide per le cose che hai visto.
Oggi, su Repubblica, Sofri chiudeva il suo articolo con queste parole:
Sentiremo oggi i potenti venuti a commemorare. Il più acquetato di loro, Bill Clinton, aspettò 4 anni a decidere che ce n’era abbastanza; e anche nella sua amministrazione ci fu chi benedicesse la consegna a Karadzic e Mladic delle zone solennemente protette e la deportazione dei rifugiati, lamentando poi di non aver previsto lo zelo ultimo dei deportatori. Clinton aspettò 4 anni: fra poco, Obama ne avrà aspettati 5 con la Siria.
Ho fatto un calcolo approssimato: Bosnia, 100 mila trucidati, due milioni di profughi; Siria, che è grande poco più del doppio, 240 mila trucidati, 4 milioni di profughi, 8 milioni di sfollati. Anche le differenze sono istruttive: a Srebrenica gli aggressori invasati erano cristiani, le vittime musulmane, di quell’islam europeo di cui c’è tanto bisogno.
A Dohuk, Kurdistan, i giudici che indaganosul genocidio jihadista degli yazidi mi hanno detto quanto desidererebbero che i genetisti delle ossa sparpagliate di Srebrenica trovassero il tempo anche per le loro fosse. Adesso, ogni volta che vedo un nuovo genocidio, penso già a come saranno le commemorazioni vent’anni dopo.
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