27 luglio 2015

Una stagione selvaggia, di Joe Lansdale

Quel pomeriggio in cui tutto cominciò ero nel grande campo dietro casa con il mio buon amico Leonard Pine. Io avevo in mano il calibro dodici e lui lanciava in aria i piattelli.- Lancia, - dissi. Leonard lanciò, un altro piattello partì verso il cielo, io scattai con il fucile e lo centrai in pieno.- Ragazzi, - disse Leonard, - non ti capita mai di mancarne uno?- Solo se lo faccio apposta.Era un bel po' che preferivo tirare al piattello invece che sparare agli uccelli in carne e ossa. Uccidere non mi piaceva più, ma sparare mi divertiva ancora. Prendere la mira, premere il grilletto, sentire il rinculo e vedere il bersaglio esplodere in mille pezzi dava una soddisfazione speciale.
- Vai ad aprire un'altra scatola, - disse Leonard. - I piccioni sono tutti morti.- Lancio io, spara tu per un po'.- Ho sparato il doppio di te e ho mancato metà di quelle caccolette.- Non importa. E comunque i miei occhi si stanno stancando.- Stronzate.Leonard si avvicinò, si pulì le manone nere sui calzoni kaki, si avvicinò e prese il calibro dodici. Stava per caricare il fucile e io stavo per caricare il lancia piattelli quando Trudy girò l'angolo della casa.

Hap Collins e Leonard Pine sono nati con questo libro, primo di una serie di noir ambientati in Texas con protagonisti questa coppia incredibile di detective.
La stagione selvaggia rappresenta il loro battesimo, dunque, in molti sensi: li troviamo così, nell'incipit della storia, a sparare cartucce contro bersagli.
Leonard reduce dalla guerra in Vietnam, nero, repubblicano e gay (nessuno è perfetto).
Hap, reduce da un passato dentro i movimenti degli anni sessanta, la galera per aver rifiutato la chiamata per la leva e un matrimonio. Tanti sogni finiti non troppo bene. Come il matrimonio con Trudy, la ex moglie.
È lei che, quel freddo giorno di inverno texano, sbuca da dietro l'angolo proponendo a Hap un affare.
Mi mise la mano sulla spalla. - Hap, amore mio, che ne diresti di fare duecentomila dollari facili facili? Esentasse”.

Nella vita non ci sono duecentomila dollari facili, per uno come Hap: la vera storia di quei soldi parte da Howard, l'attuale compagno di Trudy, che in cella ha avuto la soffiata dei soldi di una rapina in banca. Finiti in fondo al Sabine, un fiume di quelle parti, un fiume che Hap conosce bene.
Trudy convince Hap (che in effetti non è uno che resiste molto al fascino delle donne) che tira dentro l'affare anche l'amico Leonard.
Che, avendo diciamo un diverso orientamento sessuale, riesce a vedere la cosa da un punto di vista più distaccato. E anche a giudicare Trudy e i suoi veri obiettivi in modo razionale
“Dal mio punto di vista è solo una puttana con la lingua lunga, e tu un coglione di prima categoria che sa distinguere un'erezione e il vero, dolce amore. Buonanotte.La cosa che preferisco di Leonard è la sua sensibilità. ”

Hap e Leonard vengono presentati così al resto della band, tutti reduci in varie maniere degli anni sessanta. La stagione selvaggia … Ci sono i sognatori di un mondo migliore, reduci di gruppi che hanno fatto militanza armata contro il sistema, figli di papà.
Ma anche la ricerca dei soldi, in un affluente del Sabine, in un posto ben particolare noto a Hap, si rivelerà una “stagione selvaggia”.

Primo perché ci sono da raccogliere quei soldi dal fondo fangoso e freddo delle acque:
- Non ti lascerò stare là sotto a lungo, con o senza bombole d'ossigeno. Se non torni su in fretta, verrò laggiù a salvarti il culo.- So che è la tua parte preferita, Leonard, ma porta a galla anche il resto insieme a quello.- D'accordo.

E poi perché i tranelli e i doppi giochi sono sempre in agguato.
Per salvare la pellaccia, i nostri due investigatori (che ancora non sanno di esserlo) dovranno lottare contro altri cattivi cui quei soldi fanno gola.

Il finale, amaro ma salutare come una medicina che cura i malanni, Hap si ritrova da solo a riflettere sui suoi passati ideali, sul suo presente e un po' anche sul futuro:
“Io invece non avevo nemmeno più una stazione da raggiungere nella vita. Era come aveva detto lei, vivevo alla giornata e pensavo che andasse bene così.Ma ancora una volta lei mi aveva mostrato un po' di cuore e di anima e mi resi conto del perché finivo sempre con il seguirla.Al di là di tutto, lei era convinta che le cose potevano migliorare. Che la vita non era solo un gioco. Anch'io le avevo creduto, una volta, e avevo perso, ed ecco perché, mio malgrado, mi era sempre piaciuta averla intorno, non importa come mi sentivo dopo.Mi faceva pensare che gli esseri umani potessero cambiare davvero le cose. Alla fine il suo modo di farlo non era migliore di quello contro cui combatteva, ma c'era dell'idealismo.Con tutto quello che sapevo adesso, non avrei mai più potuto sentirmi come allora. Ero troppo esperto e pratico per tornare a guardare la vita attraverso un paio di occhiali rosa, o per pensare che uno potesse risolvere i problemi del mondo a tavolino.Ma perdere il mio idealismo, smettere di credere nella capacità degli esseri umani di andare oltre i loro istinti primitivi, significava diventare vecchi, amareggiati e inutili per gli altri, perfino per me stesso.L'idealismo era un po' come vedere Venere nel cielo del giorno. Una volta ero in grado di vederla. Ma con il passare del tempo mi serviva meno e volevo scrollarmene di dosso la responsabilità, e avevo perso la capacità di vederla, di crederci”.

La scheda del libro sul sito di Einaudi.

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