Il piccolo siciliano pazzo, Peppino Impastato che voleva combattere la mafia senza nascondersi, a viso aperto, prendendo pure in giro il boss locale, Tano Seduto capo di mafiopoli.
E poi il presidente della DC Aldo Moro, colpevole di aver aperto il dialogo col partito comunista, per un governo di unità nazionale.
Entrambi uccisi perché si erano permessi di sfidare un potere che stava sopra di loro e sopra lo Stato, entrambi delitti pieni di depistaggi e misteri.
Quello di Peppino Impastato si è chiarito solo anni dopo, quando Salvatore Palazzolo boss pentito, ammise il delitto di mafia. Altrimenti, grazie al lavoro dei carabinieri, il caso era archiviato come una morte accidentale, mentre stava preparando un improbabile attentato.
Per la morte di Aldo Moro i misteri e le zone d'ombra ancora persistono: causa delle soluzioni di comodo (per lo Stato, per la DC, per le BR) che sono diventate verità ufficiale.
Le BR che avrebbero dovuto rendere pubblico tutto quanto Moro raccontava ai carcerieri, di fatto hanno contribuito al mistero, al silenzio, al proliferare dei segreti.
Oggi Moro, e in modo diverso, Impastato, sono usati come icone, di una politica seriosa che non abbiamo più, e come icona di un'antimafia militante.
Un'antimafia cioè che non si limita alle solite parole di circostanza, che si limita a qualche parolina contro i boss ma poi fa finta di non vedere scandali, politici a braccetto coi boss portatori di pacchetti di voti.
Su Moro suggerisco la lettura dell'articolo uscito oggi sul Fatto Quotidiano, a commento del saggio di Rita di Giovacchino "Il libro nero della Repubblica": si parla del covo dove il presidente DC avrebbe trascorso gli ultimi giorni di prigionia, nel ghetto di Roma, vicino via Caetani.
L'indagine di Imposimato si interruppe prima di arrivare a qualche risultato, si basava su una piantina attribuita ad Adriana Faranda ..
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